Spes contra Spem 2015: intervento di Maurizio Renzini
Giorgio La Pira e Thomas Merton
Un’amicizia e un comune impegno per la pace
di Maurizio Renzini
Premessa
Questo intervento, riguardante l’amicizia e l’azione parallela di due grandi personalità cattoliche della nostra storia recente, viene da me svolto in qualità di presidente dell’Associazione Thomas Merton Italia, che si interessa di promuovere e diffondere la conoscenza dello scrittore trappista americano, del quale quest’anno celebriamo il centenario della nascita. Esso fa riferimento a un mio articolo redatto sulla base della documentazione fornitami dal Thomas Merton Center presso la Bellarmine University nel Kentucky (USA) e pubblicato nel volume Universal Vision a cura della Thomas Merton Society of Great Britain and Ireland.
Ritengo necessari alcuni cenni figura di Thomas Merton (nella foto a sinistra rispetto a Giorgio La Pira). Nato a Prades, sui Pirenei francesi, il 31 gennaio 1915. A ventisei anni, dopo una giovinezza brillante ma irrequieta e segnata da traumi familiari, entrò in uno dei più rigorosi monasteri cistercensi americani. Qui divenne un prolifico e famoso scrittore, conosciuto soprattutto per l’autobiografia La montagna dalle sette balze. Costituisce una figura di riferimento nel panorama culturale cattolico del ventesimo secolo, per il grande valore della sua intera produzione, costituita di oltre cinquanta libri, numerosi saggi e composizioni poetiche, diari e lettere raccolti rispettivamente in sette e cinque volumi. Egli condusse una vita contemplativa ma entrò anche nell’arena del mondo, operando contro la guerra e la discriminazione sociale. Profondo conoscitore del pensiero orientale, è stato un pioniere del dialogo interreligioso. Morì tragicamente a Bangkok il 10 dicembre 1968 poco dopo aver tenuto una conferenza nell’ambito di un convegno internazionale sul monachesimo.
Il sindaco santo
«Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: così sarà la tua discendenza» (Rom 4,18). Questo passo , tratto dalla lettera ai Romani di San Paolo e riguardante la figura e il ruolo di Abramo nella storia, costituisce il costante riferimento per l’azione umana, spirituale e sociale di Giorgio La Pira (Pozzallo, 1904 – Firenze, 1977), una delle figure più significative nel panorama politico e culturale italiano. Proveniente da un’umile famiglia siciliana, fu docente di Diritto romano all’Università di Firenze e sindaco di questa città; ebbe anche vari incarichi parlamentari sempre operando sulla base di una solida fede cristiana, in coerenza con la sua scelta di appartenere all’ordine terziario dei Domenicani. Spes contra spem fu il motto per la sua azione energica e continua verso soluzioni di pace sulla terra, pur consapevole delle barriere culturali, religiose e politiche che rendevano arduo ogni confronto. Era mosso dalla radicale convinzione dell’azione di Dio nella storia e della necessità di riunificare tutti i popoli che per fede si riconoscono discendenti di Abramo. Quindi cristiani, ebrei e musulmani avrebbero dovuto incontrarsi in un processo di pace ed egli vedeva nel Mediterraneo l’analogo del grande lago di Tiberiade dove Gesù, solcando le acque, aprì la strada per l’abbattimento delle barriere. Qui la riunificazione nel medesimo Dio avrebbe assicurato lo stesso effetto su tutti gli altri popoli perché, come La Pira affermava, «il Medio Oriente è oggi il centro di gravitazione attorno al quale si muove la storia politica del mondo: la pace o la discordia di Gerusalemme sono, e saranno sempre più, i sintomi rivelatori della pace o della discordia delle nazioni»1.
Egli fece di Firenze, della quale fu sindaco dal 1951 al 1958 e dal 1961 al 1966, la città simbolo della pace promuovendo i «Colloqui Mediterranei» , quattro importanti occasioni d’incontro tra i popoli del bacino mediterraneo, e il Convegno tra i sindaci delle capitali del mondo con lo scopo di «unire le città per unire le nazioni». Coinvolse le più importanti personalità della politica e della cultura internazionali del suo tempo, viaggiando anche molto nella sua incessante missione di pace, mosso dall’utopia profetica di Isaia: «forgeranno le loro spade in vomeri e le loro lance in falci» (Is 2,4). Per tutto questo, ma anche per le opere di grande rilevanza sociale che La Pira realizzò a Firenze, in particolare a favore della povera gente, sempre animato da una profonda pietà cristiana che egli alimentava con la preghiera e con uno spirito autenticamente contemplativo, i suoi concittadini lo chiamavano il «sindaco santo». E’ onorato come Servo di Dio dalla Chiesa cattolica ed è stato da tempo avviato per lui il processo di beatificazione.
La via di Isaia
Giorgio La Pira nel 1961 aveva ricevuto una copia del saggio Christian Ethics and Nuclear War di Thomas Merton e da lui stesso inviato alla redazione del mensile Rocca della Pro Civitate Cristiana. Nonostante l’insistenza del sindaco di Firenze esso non venne allora pubblicato, in considerazione che gli scritti del monaco trappista contro gli armamenti erano stati messi sotto censura dai superiori del suo Ordine.
La Pira era quindi a conoscenza dell’impegno di Merton contro la guerra, e soprattutto contro quella a carattere globale, e volle fargli visita al monastero del Gethsemani in occasione di un suo viaggio negli USA, nel 1964, per un gemellaggio tra Filadelfia e Firenze, nel corso del quale si confrontò con personalità di grande rilievo nella scena politica internazionale e tra queste il segretario generale dell’ONU U-Thant. L’incontro tra i due avvenne il 16 ottobre con reciproco entusiasmo. Merton definì La Pira «ebulliently Christian, but a vey good head too»2 e si espresse dicendo che egli «impressed everyone he met»3. Il giorno successivo il politico italiano vide Adlai Stevenson, ambasciatore americano all’ONU molto stimato per le spiccate dote umane e intellettuali tali da renderlo candidato alla presidenza USA per ben due volte. Contemporaneamente Merton scriveva al suo amico W.H. Ferry raccomandandogli La Pira per la conferenza che stava organizzando sull’enciclica Pacem in terris4. L’incontro al Gethsemani costituì l’avvio di un’amicizia profonda tra i due, radicata nella fede e nel comune impegno per la pace, seriamente minacciata anche dalla sconsiderata politica estera americana di quegli anni.
I primi di novembre 1964 La Pira inviò a Merton un telegramma in latino con il quale esprimeva un sentimento di profonda comunione spirituale : «Aperit vobis Dominus portas Paradisi sicut nobis aperistis portas Monasteri stop Orate pro Florentia et pro nobis» ( Che Dio vi apra le porte del Paradiso come voi ci avete aperto le porte del Monastero stop Pregate per Firenze e per noi). Nella risposta (in francese perché il sindaco di Firenze aveva una limitata conoscenza della lingua inglese) Merton lo ringraziò riferendogli anche la gioia dei suoi confratelli per la visita al loro “deserto”, ritenendola un dono della provvidenza divina. Gli espresse poi la condivisione di quella «teologia della storia» secondo la quale il Signore si manifesta nel mondo attraverso gli eventi degli uomini imperfetti ed è quindi nostro dovere riporre fiducia in Lui con la fede e con la preghiera5. La Pira sosteneva fermamente questo finalismo nel bene al quale l’unica alternativa è la distruzione totale del genere umano. Già Isaia aveva visto «questo corso irreversibile della storia universale»6 che procede verso la foce della pace, pur con tutti gli ostacoli che si frappongono tra gli uomini. L’azione politica deve quindi mirare alla realizzazione piena del disegno di Dio. Merton dichiarava di non aver allora capito che cosa veramente il Concilio affermasse sulla pace e temeva l’atteggiamento belligerante del governo americano che rischiava di mascherare il grave pericolo di una guerra nucleare. Da parte di entrambi c’era una seria preoccupazione per la politica estera del Presidente Lyndon Johnson che era spinto dalla disastrosa illusione di liberare il mondo dal comunismo con la guerra nel Vietnam e con l’intervento militare nella Repubblica Dominicana. Su quest’ultimo La Pira elaborò delle riflessioni che espose al Consiglio comunale di Firenze e che subito dopo inviò a Merton il quale, con la sua lettera del 16 giugno 1965, condivise il contenuto di ferma condanna dell’azione americana ma manifestò anche preoccupazione per alcuni cambiamenti che stavano per essere apportati allo Schema 13, divenuto poi la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes. Entrambi sentirono l’esigenza di scrivere al Santo Padre per esprimergli in maniera franca quello che avrebbe dovuto essere l’impegno della Chiesa per un’autentica opera di pace. Con la lettera che Merton inviò al suo amico italiano il 3 giugno 1965 così si esprimeva : «il faudrait au contraire aller encore plus loin que Joan XXIII et Paul VI dans leur encycliques. Mais enfin, si on ne va plus loin, il ne faut pas en toutes les renverser»7 (Bisognerebbe al contrario andare ancor più lontano di Giovanni XXIII e di Paolo VI nelle loro encicliche. Ma in ogni caso, se non si va più lontano, non si deve comunque sovvertire il tutto).
La Pira vedeva in Merton un autentico messaggero di pace «portando il volto e il nome di Gesù»8 e apprese quindi con entusiasmo la notizia di una sua probabile visita all’ONU e alla Casa Bianca, invocando la grazia per la realizzazione di quell’«itinerario di salvezza», che si sarebbe collegato con varie altre azioni di pace in importanti capitali del mondo. Egli poneva tutto questo in continuità con il suo precedente viaggio in Palestina, effettuato con lo spirito della testimonianza della fede e della fratellanza universale : «…a Gerusalemme, in tutta la Giudea, in Samaria e sino agli ultimi capi della terra» (Atti 1,8). In una lettera inviata al senatore Robert Kennedy, copia della quale fu spedita anche al suo amico trappista, La Pira evidenziava la sua preoccupazione per l’aggravarsi della situazione in Vietnam, con un accorato appello a sostenere il messaggio storico e politico di suo fratello John: «o estingueremo la guerra o faremo del pianeta un rogo». Rivolgendosi a lui come un amico sincero gli esprimeva anche la necessità di «attraversare le frontiere nuove del mondo» che superano ogni schema ideologico e lo invitava a parlarne con Merton che sul tema della pace stava scrivendo intensamente e con grande sofferenza. Il senatore inviò una risposta che apriva «l’anima alla speranza» del disarmo, in cui La Pira vedeva l’unica via della pace, la via di Isaia per cambiare in aratri le spade. Mosso dall’ardente desiderio di contribuire a «pacificare, unire, civilizzare il mondo»9 egli agiva intensamente da Firenze per costruire questa strada di salvezza, parallelamente e in piena sintonia con l’azione che Merton esercitava attraverso i suoi saggi, le sue lettere, i suoi contatti con personalità di rilievo della politica e della cultura del suo tempo, compresi membri della famiglia Kennedy con i quali era in corrispondenza già dal dicembre 1961 tramite la signora Ethel, moglie del senatore : «It seems to me that the great problem we face is not Russia but war itself. War is the main enemy and we are not going to fully make sense unless we see that. Unless we fight war, both in ourselves and in the Russians, and wherever else it may be, we are purely and simply going to be wrecked by the forces that are in us»10.
Ut unum sint era solito ripetere La Pira per esprimere la forte esigenza di procedere verso l’incontro dei popoli , lo stesso percorso che indicava Merton per l’unificazione degli uomini in quanto epifania di Dio. Furono pertanto entrambi animati da un medesimo impegno per la pace sulla terra, consapevoli dei gravi pericoli derivanti da contrapposizioni per ragioni storiche, ideologiche o di pura affermazione del potere. Erano fermamente convinti che il problema della guerra andava affrontato alla radice, facendo cioè riscoprire la natura autentica dell’uomo, soprattutto la sua dimensione spirituale, attraverso l’incontro, il dialogo, la più ampia diffusione degli scritti per muovere le coscienze e per orientare le scelte di coloro che hanno responsabilità per il destino del mondo.
Firenze, città ferita
La Pira era consapevole che Firenze era un luogo privilegiato per l’incontro e per i suoi messaggi di pace, perché questa città non appartiene solo all’Italia ma al mondo intero. La sua bellezza, la sua storia, la sua arte, il suo fermento culturale ne fanno un crocevia per la civiltà. E’ una città in cui il confronto intellettuale e lo sviluppo del pensiero sono sempre stati ai più alti livelli. Lo stesso La Pira aveva qui trovato occasione di amicizia e di azione solidale con alcuni dei più acuti esponenti del pensiero cattolico degli anni sessanta e settanta, come Giuseppe Dossetti e padre Ernesto Balducci. Quest’ultimo, uno scrittore colto e illuminato da una visione profondamente ecumenica, scrisse, tra l’altro, una splendida prefazione all’edizione italiana di Faith and Violence di Thomas Merton, della quale quest’ultimo fu molto entusiasta.
L’ultima corrispondenza tra il monaco trappista e il sindaco si riferisce al 18 gennaio 1967, due mesi dopo la disastrosa alluvione di Firenze, con un telegramma di La Pira in lingua inglese : «Beg you send us few lines for book on recent flood of Florence and meaning Florence in world Please Urgently La Pira. » Merton, pur non avendo notizie dettagliate del disastro, rispose con una lettera e un breve saggio che compose quello stesso giorno. Qui esprimeva un profondo amore per la città di Firenze e tutto il suo turbamento per quel devastante evento: «Wherever disaster strikes at man, all men feel themselves threatened. But when disaster strikes at Florence, the knife is too close to the heart of our civilization. The shock and the alarm are universal: the worth and the very identity of our world are called into question»11. L’impegno profuso da migliaia di persone e gli aiuti da ogni parte per ricomporre in breve tempo la città con il suo immenso patrimonio di arte e di cultura, gravemente compromesso, danno il senso del suo valore universale e inestimabile: «Florence calls all men to solidarity against the forces of unreason and death that would betray and dishonor in man the image of God »12.
Conclusione
Il breve incontro al monastero del Gethsemani dell’ottobre 1964 e la successiva corrispondenza furono sufficienti per instaurare tra i due un’autentica amicizia sostenuta da un’altissima stima reciproca. Merton qualificava La Pira come «a very prominent Catholic politico in Italy, close to Paul VI» 13 e, in una lettera al giovane studente italiano Mario Falsina che gli aveva chiesto di fargli sapere quali fossero gli italiani che maggiormente l’avessero influenzato o colpito, egli indicava, oltre a Dante, i grandi santi e vari scrittori come Montale, Quasimodo e Pavese e alla fine riportava: «I add that I am glad to be friend of La Pira»14. Il sindaco di Firenze, pur essendo di undici anni più anziano, aveva una venerazione per Merton e scrivendogli si rivolgeva a lui con «beatissimo padre» e si congedava con «filialmente». Sono espressioni di un uomo umile e devoto che trovava nel suo amico americano la pienezza di una persona impegnata nell’arena del mondo agendo dal silenzio di un’intensa vita spirituale. La loro testimonianza umana, intellettuale e di fede costituiscono per noi un’eredità preziosa per le esigenze del mondo attuale.
Nella lettera che La Pira scrisse al Direttore del Thomas Merton Center nel maggio 1973 riferiva di avere un ricordo indelebile della sua visita avvenuta nove anni prima e che questa aveva avuto un grande significato: «voleva indicare che la civiltà tecnica non regge se nel secondo piatto della bilancia non si pongono i pesi della contemplazione e della preghiera, i pesi della purezza e della grazia!»15.
Note
- M.P. Giovannoni (a cura di), Il grande lago di Tiberiade – Lettere di Giorgio La Pira per la pace nel Mediterraneo (1954 – 1977), Firenze, 2006, p. 125.
- W.H. Shannon (edited by), The Hidden Ground of Love – Letters on Religious Experience and Social Concernes, Harvest/HBJ Book, S. Diego – New York – London 1985, p. 219.
- Patrick Hart (edited by), The School of Charity – Letters of Thomas Merton on Religious Renewal and Spiritual Direction, Harvest/ HBJ Book, S. Diego – New York – London 1990, p. 251.
- W.H. Shannon, The Hidden Ground of Love, p. 219.
- Letter of Thomas Merton to Giorgio La Pira, 13 November 1964.
- Giorgio La Pira, Spes contra spem in “La Badia” n°11, dicembre 1990, p. 58 s.
- Letter of Thomas Merton to Giorgio la Pira, 3 June 1965.
- Letter of Giorgio La Pira to Thomas Merton, 16 June 1965.
- Letter of Giorgio La Pira to Thomas Merton, 8 July 1965.
- Thomas Merton, Cold War Letters, Orbis Books, New York, 2006, p. 27.
- A brief essay of Thomas Merton about the flood of Florence sent to Giorgio La Pira, 18 January 1967.
- Ivi.
- W.H. Shannon, The Hidden Ground of Love, p. 219.
- Robert E. Daggy (edited by), The Road to Joy – Letters of Thomas Merton to New and Old Friends, Harvest/ HBJ Book, S. Diego – New York – London 1989, p. 349.
- Letter of Giorgio La Pira to the Director of the Merton Center, 29 May 1973.