Impressioni e pensieri intorno alla preghiera per la pace al Vaticano Giugno 2014
Rav Joseph Levi – Rabbino Capo della comunità ebraica di Firenze.
Articolo pubblicato anche sul Bollettino dell’am. Ebraico-Cristiana
- Bergoglio e La Pira sulla fede di Abramo:
Invitato dalla Radio vaticana a commentare la visita del papa Bergoglio a yad vashem ho riguardato e risentito le registrazioni della visita del papa, in particolare quella con la comunità islamica palestinese a Gerusalemme. Ho sentito il papa parlare della comune tradizione abramita delle tre religioni e mi ha fatto subito ricordare e riflettere sulle parole ed il pensiero di La Pira ed il suo operato in tale senso. Il riferimento ad Abramo come un giusto contenitore delle nostre tre fedi vicine ma diverse nelle loro credenze e la loro storia mi è sembrato giusto e convincente anche perché fu già formulato ed elaborato da La Pira, e mi sono detto: lo spirito di La Pira si sta rinnovando non più come un pensiero marginale della chiesa ma dal suo esponente più alto ed autorevole. È una bella notizia.
- Bergoglio e La Pira –Preghiera per la pace, fra Hebron e la città del Vaticano:
Il giorno dopo ho sentito l’altra notizia : l’invito a celebrare una preghiera insieme ad esponenti ebraico cristiani e musulmani in Vaticano. Nell’apprezzare l’iniziativa mi sono ricordato di nuovo di La Pira. Le memorie mi riportavano al lontano 1969, quando, durante la visita del sindaco di allora di Firenze, La Pira chiese di poter pregare sulla tomba di Abramo con rappresentanti delle tre grandi religioni monoteiste. Fu una mossa religiosa e politica complicata. La sua richiesta d’incontrare tutti i sindaci della Cisgiordania (così si chiamavano allora i territori dell’attuale autorità palestinese) fu respinta da Dayan che voleva mantenere le zone a sud e a nord della Cisgiordania separate per meglio controllare la zona. La Pira accettò la decisione politica di Dayan ma lo sfidò con la richiesta di avere un momento di preghiera comune a tutte e tre le religioni in una zona sensibile come la città di Hebron, che allora ancora prima dei grandi insediamenti israeliani nella città e dintorni, e ancor prima della nascita di Hammas, godeva ancora di una relativa tranquillità. Si trattava di convincere le autorità religiose locali, musulmani ed ebraiche di accettare una preghiera multi confessionale nella famosa grotta di Hebron dove ebrei e musulmani potevano pregare, ma separati e in orari diversi. Ottenuto il consenso delle autorità religiose l’evento fu consentito anche dalle autorità civili e militari. Partimmo da Gerusalemme con un semplice Taxi collettivo che serviva passeggeri israeliani e palestinesi in viaggio fra le città del sud. Noi abitavamo nella parte occidentale di Gerusalemme chiamata per l’appunto Via Hebron. Io allora giovanissimo studente accettai la proposta di mio padre di accompagnare la delegazione a seguito di un altro evento accaduto un anno prima. L’anno precedente mi fu proposto da mio padre di andare visitare con lui il vecchio e malato Martin Buber. Il mio orgoglio adolescenziale mi portò a rifiutare la proposta, Buber morì qualche mese dopo e così non ho potuto conoscere Buber di persona. Per fortuna accettai la proposta di fare il viaggio di pellegrinaggio con La Pira. Partimmo dalla Via Hebron verso Betlemme, dove eravamo ricevuti con grande solennità dal sindaco cristiano della città Elias Frege. Al ricevimento nel comune seguì la visita nella chiesa della natività per poi partire insieme con una delegazione ormai allargata ebraico-cristiana, indirizzata verso il comune di Hebron dove fummo ricevuti come degli angeli apparsi ad Abramo a Hebron, dal sindaco di allora, conservatore filo giordano. Muhamad Ga’aberi, che ci ha riservato un ricevimento solenne sotto una grande tenda orientale con tanto di humus, il pane arabo la pittà, e un ottimo caffè turco. Finite le cerimonie di accoglienza di stile mediorientale nella città di Abramo, Hebron-al-Hallil, la delegazione che ormai contava una quarantina di persone fu diretta, sotto protezione delle forze armate israeliane verso le tombe dei patriarchi. Nella grotta ognuno recitava un testo sacro della propria tradizione, ebrei e cristiani dei salmi che evocano la pace ed i musulmani testi del Quran. Fu un momento di grande emozione e speranza, anche se completamente incompreso e marginale. Al ritorno verso Gerusalemme con lo stesso Taxi collettivo eravamo in sette. Salutandoci alla fine del viaggio al sud La Pira dirigendosi per la seconda parte del suo viaggio verso le città palestinese del nord ci salutò con il proverbio toscano Una sola rondine non annuncia la primavera, e aggiunse, ma sette forse sì. Con queste memorie vive mi sono detto “questa volta le preghiere verranno svolte dalle più massime autorità religiose e civili. Anche se molto lentamente le preghiere di allora hanno forse servito a qualche cosa”. Pensiero accompagnato anche da un arriere pensee: “Sarebbe bello se potessi partecipare alle preghiere inter confessionali anche questa volta”.
- L’invito a far parte della delegazione:
Il venerdì mattina 6 Giugno ricevo un comunicato in segreteria che un mio conoscente di Roma mi sta cercando d’urgenza. Pensai: “Chi sa quale problema è emerso questa volta con il cibo kasher a Roma che mi cercano con tale urgenza”. Chiamo solo per correttezza l’amico che mi dice “Allora confermi la tua presenza al Vaticano la domenica alle 19.00? Ti devo dare delle istruzioni come arrivarci”, gli risposi “Non so di che cosa stai parlando” e lui “Ti stanno cercando da più di tre giorni dall’ufficio del rabbinato centrale d’Israele”. Insisto a dire che non ne so nulla. Dopo non più di cinque minuti ricevo la chiamata dal direttore generale del rabbinato d’Israele che mi comunica che hanno scelto di chiedermi di far parte della delegazione che accompagnerà il presidente Peres alla preghiera per la pace programmata in Vaticano, specificando i salmi e brani di lettura a me affidati. Risposi con qualche irritazione: “Con un annuncio così tardivo sarà molto difficile ma cercherò di fare il mio meglio”, in realtà sembrava che qualcuno ha pensato che il rabbino di Firenze che pregò con La Pira ad Hebron non poteva mancare al secondo appuntamento al Vaticano. Una soddisfazione per il riconoscimento del faticoso lavoro per la pace ed il dialogo interreligioso fatto a Firenze in questi ultimi vent’anni assieme agli altri amici del dialogo interreligioso cristiani e musulmani. Un riconoscimento collettivo al nostro lavoro leale ispirato da La Pira che a Firenze si svolge come una dottrina accettata da tutti gli esponenti religiosi e civili, che ha dato ottimi frutti in città grazie allo sforzo di tutti. Un riconoscimento al lavoro fatto precedentemente in Israele. Faccio tutte le preparazioni necessarie per poter essere presente all’incontro in rappresentanza della città di Firenze, della sua comunità ebraica, e degli amici delle varie confessioni con i quali da anni lavoriamo insieme per mandare avanti il dialogo. Il riconoscimento è anche loro.
- L’incontro delle delegazioni:
Nei tanti incontri di dialogo inter religiosi ai quali ho partecipato , come è nella logica dei contatti umani, i momenti di incontri informali sono quelli più importanti. Si creano nuovi rapporti e amicizie si dicano delle cose che in situazioni più formali non si possono dire e via dicendo. Anche questa volta si sono prese delle foto, selfie e normali: tutta la delegazione israeliana che comprendeva rappresentanti delle minoranze arabe israeliane: Druzi, cerchesi e arabi musulmani, assieme a Rav Rosen e Rav Skorka; le segretarie del presidente Peres con tutti i rabbini e gli arabi, e altri ancora dalla parte cattolica, i vari cardinali e monsignori legati al Vaticano e la curia di Roma. La delegazione palestinese è invece molto tesa, parla poco e non esce dagli schemi della formalità. Cerco di interessarli nella Preghiera per la pace che verrà letta fra qualche minuto ma non si creano le amicizie. Come si è visto qualche giorno dopo la pressione di Hamas è troppo forte. I problemi che aspettano in casa sono troppo pressanti. La delegazione non può permettersi di uscire dalle formalità. La stessa linea sarà seguita dal presidente Abbas, come se sapessero già quello che stava per accadere tre-quattro giorni dopo con il rapimento dei ragazzi israeliani. Si fa fatica ad esprimere speranze. Manca il calore di tali occasioni che facilita impegni ed incontri futuri. Stretti fra Netanyahu e Hamas gli esponenti del Al-Fatah della leadership palestinese sembrano avere poca speranza. Usano l’occasione per chiamare di nuovo l’attenzione sui diritti del popolo palestinese, fanno fatica ad esprimere parole di speranza. Rivolgono le loro parole alle divinità musulmane e cristiane. Non riescono a dialogare e accettare l’esistenza della divinità d’Israele. Sono fermi ancora su posizioni preconciliari, e anche le divinità non dialogano. In questo senso l’incontro lascia qualche delusione.
I tempi non sono ancora maturi. Il contingente è troppo pressante. Non trovo l’aspettata atmosfera distesa di fiducia e collaborazione alla quale ci siamo abituati a Firenze e nei vari colloqui fra Rabbini e Imam in America e in Europa. In medio oriente tutto è più assoluto e difficile. Ci vorranno ancora tante altre preghiere insieme per ricreare la fiducia fra i discendenti di Abramo e i discendenti di Efron l’Ittita, che pure credono in un unico e solo Dio, che sta al di là di tutti gli attributi che lo possono contenere, al quale appartiene l’esistenza e la vita, la giustizia, la misericordia e la pace, come insegnavano i grandi maestri dell’ebraismo e dell’Islam Avveroè e Maimonide. La realtà è troppo pressante per pensare e cercare l’armonia, la giustizia e la misericordia che appartiene, pare solo agli Dei. Le parole affidate al Dio onnipotente di non subire e non fare atti d’aggressione, di dirigerci verso la pace non si traducano in gesti di concreta comunicazione. È chiaro che siamo solo all’inizio.
- Le lingue: le difficoltà del dialogo si riflettano anche nelle scelte delle lingue usate.
I contendenti pregano solo ed esclusivamente nelle loro lingue nazionali: Ebraico per gli Ebrei, l’arabo per i palestinesi. La chiesa sceglie di parlare in più lingue. Il Patriarca greco ortodosso rivolge le parole a Dio in un perfetto inglese con pronuncia slava, il pontefice in un italiano corretto con pronuncia ispano argentina, il Monsignore di pelle nera in un italiano biblico con leggera pronuncia americana, la signora di Haifa, membro del movimento focolare, legge testi biblici in un perfetto arabo. Ora mi dico probabilmente un Cardinale leggerà un testo biblico in ebraico con una pronuncia latina, ma ciò purtroppo non avviene. Le chiese siriache usano l’aramaico ma la chiesa cattolica non osa ancora rivolgere preghiere di pace all’unico Dio in ebraico. Ci vuole pazienza per camminare con gli uomini, e non sappiamo ancora quale lingua parlerà il Messia quando apparirà per la prima o la seconda volta. Il Rabbino Rosen canta una parte della preghiera con una melodia di supplica del mondo ebraico askenazita, polacco-russo, l’Imam della moschea di Gerusalemme, con il canto tipico della preghiera araba mediterranea, aggiunge una lunga preghiera fuori programma in arabo, che senza la traduzione distribuita attraverso il programma ufficiale, pochi capiscono. Il ritmo della supplica rabbinica est-europea si mescola con la lentezza dolce del canto recitativo arabo.
- Il concetto pedagogico teologico. I testi scelti:
I concetti teologici ed i contenuti delle preghiere furano certamente concordate ma si sente una qualche confusione. La prima parte in tre lingue doveva parlare della bellezza della creazione, ma anche della gloria dell’uomo creato ad immagine divina. La grandezza dell’uomo e le sue potenzialità sono comuni al pensiero ebraico e cristiano e in modo forse minore al pensiero dell’Islam. Oltre il salmista anche Pico della Mirandola seppe esprimere la grandezza potenzialità dell’uomo basandosi su fonti bibliche, cristiane e kabbalistiche ebraiche (tesi che la chiesa però a suo tempo rifiutò). La seconda parte riguardava il perdono. Per fare la pace ci vuole l’umiltà, la riconoscenza della fragilità delle nostre stesse posizioni, chiedendo perdono a Dio significa nella tradizione ebraica chiedere perdono all’altra persona , o gruppo di persone verso il quale si sono commessi degli errori. Ammettere dei possibili errori deve giustamente essere il primo passo e scusarsi col nemico può scatenare il processo di selihà o sulhà in arabo. Concetto base così conosciuto e diffuso nella cultura religiosa ebraica e nei rapporti fra le varie famiglie e tribù nel mondo arabo. Nell’ebraismo il perdono riguarda principalmente il rapporto fra individui, la qualità del rapporto con l’altro creato come noi ad immagine divina, nell’islam ha anche forti connotazioni sociali. Il cattolicesimo moderno cerca di introdurre un concetto di richiesta di perdono collettivo. Anche qui la strada è ancora lunga da fare. La richiesta di perdono a Dio non è stata tradotta in richiesta di perdono al nemico per gli errori commessi da una parte o dall’altra. Nelle parole pronunciate in ebraico arabo e italiano c’era un richiamo alla riflessione sulla possibile richiesta di perdono che non si è tradotta per il momento in una vera prospettiva di sulha, di una ripacificazione politica e sociale. La richiesta di perdono rimane sospesa nell’aria , lancia una sfida, aspetta ad essere attuata, in futuro, quando la preghiera pronunciata avrà fatto il suo cammino.
- Gerusalemme: Gerusalemme era ovviamente ricordata da tutti:
Peres pregava per la pace di Gerusalemme citando i salmi di Davide, impegnandosi di nuovo a fare di Gerusalemme un città aperta a tutte le religioni. Se ti dimentico Gerusalemme. Anche Abbas e Papa Bergoglio ricordano Gerusalemme città della pace. Anche qui si mescolano politica e religione. Il presidente Abbas parla della città di Gerusalemme sacra all’Islam. Ricorda la sacralità della città ricordata nei vangeli e i testi cristiani, ma non va oltre. Non osa ammettere che la città di Gerusalemme è sacra anche per gli ebrei, i primi forse a dichiararla città sacra. Ci troviamo di fronte al paradosso del fenomeno religioso del sacro. Il sacro è difficilmente condivisibile. Ciò che è sacro per me difficilmente può diventare anche sacro per te. Il Dio unico si esprime attraverso spazi e luoghi diversi che non possano essere condivisi. Abbas ricorda la città santa ai musulmani e alla cristianità, chiede nella preghiera uno stato di diritto con la capitale Gerusalemme, seguendo però le posizioni dei nuovi alleati più estremisti, omettendo di ricordare il rapporto millenario del mondo ebraico e della bibbia con Gerusalemme città di Davide. Un altro problema dell’incontro, dove a causa della fretta di organizzare l’incontro mentre Peres è ancora in carica, non c’era il tempo necessario per fare il lavoro politico elementare e concordare i termini base dell’incontro. C’è da chiedersi, alla lunga, ebrei e musulmani riusciranno a riconoscere la sacralità altrui? Dove e come si esprime la coerenza e correttezza politica anche nelle preghiere. Chi influisce e chi è responsabile per chi? I testi sacri sono a servizio della politica, o viceversa, i testi illuminati permettono di sviluppare una visione più universale. Il sacro di per sé, è inclusivo o esclusivo. Allarga gli orizzonti o li restringe? Riusciamo ad educare noi stessi e gli altri ad includere e non escludere le posizioni e le visioni le credenze e le tradizioni dell’altro?
- I discorsi delle autorità:
I discorsi stampati delle autorità erano ovviamente di grande livello. E’ da notare il concetto di affidamento e dovere verso le nuove generazioni, guardando in avanti, del Pontefice che ricordava l’impegno e le difficoltà di lavorare per la pace e la costruzione invece delle energie dedicate alla guerra e la distruzione. Il richiamo allo spirito di collaborazione e costruzione della pace in contrapposizione allo spirito distruttivo del terrorismo in presenza dei presidenti Peres e Abbas era di particolare importanza. All’invito del pontefice il presidente Peres ha risposto rivolgendosi a tutti gli abitanti della terra santa e d’Israele: Ebrei, Musulmani e cristiani, beduini,druzi e cerchesi, con un nuovo impegno a costruire la pace giorno per giorno anche al costo di compromessi. Messaggio importante rivolto sia agli israeliani che ai palestinesi da un personaggio che conosce a fondo i dettagli e le difficoltà dei negoziati fra israeliani e palestinesi. Ricordando le sue memorie ed esperienze della guerra si è dichiarato di nuovo dedicato per il resto della sua vita alla costruzione della pace. Così facendo al di là delle preghiere ha potuto dare un impulso nuovo alle speranze di pace in medio oriente e nella terra sacra a tutte e tre le religioni. Il presidente Abbas ha risposto con parole di fiducia nell’iniziativa del pontefice sottolineando “la sua fiducia nella possibilità è sincero tentativo di trovare la pace fra Palestinesi e Israeliani”. Ha poi pregato per la città di Gerusalemme
“La porta che guida al cielo” secondo il corano, e la speranza di trovare la pace per gli abitanti della Palestina – musulmani, cristiani e Samaritani (!), nella ricerca di uno stato indipendente, sottolineando che “riconciliazione e pace sono i nostri obiettivi”, invocando la divinità di incoronare gli sforzi fatti per raggiungere la pace, implorando che “è il Signore che promuove la pace, e impedisce il “male e l’aggressione” di avere successo”, esprimendo così le aspettative dei palestinesi dall’evento della preghiera, e cioè di vedere rafforzate le loro richieste di uno stato indipendente con la capitale Gerusalemme “La prima Kiblà, la seconda sacra moschea, e la terza delle due sacre moschee”. Certo, come hanno mostrato gli eventi successivi della settimana con il rapimento degli studenti di una scuola religiosa israeliana, era ben consapevole dei rischi e i problemi che lo aspettavano al suo ritorno nei territori palestinesi e la forte contestazione del Hammas che gli ha appena accordato la costruzione di un governo di unità nazionale. L’esistenza ed il dialogo con il popolo israeliano figurava solo ai margini della posizione pronunciata. Hammas purtroppo non ha ritardato la sua risposta mettendo alla prova lo stesso governo d’unità nazionale appena costituito, con il rapimento dei ragazzi israeliani, operazione preparata da tempo ma eseguita solo tre giorni dopo il ritorno di Abbas dall’Italia e dal Vaticano. Diventa sempre più evidente che il conflitto che si profila in medio oriente non è un conflitto o una guerra di civiltà, fra diverse religioni, ma una guerra che attraversa i partiti, israeliani e palestinesi, shiiti e sunniti, ebrei cristiani e musulmani , ma un conflitto ed una guerra fra moderati e fanatici fondamentalisti che non hanno rispetto per la vita umana e non vedono nella manifestazione della vita, di ogni vita, una manifestazione dell’immagine divina come si è sviluppata nella tradizione ebraico-cristiana. Bisogna solo sperare che iniziative come quella del Vaticano e altre che verranno ancora potranno aiutare a compattare il patto fra moderati di tutte e tre le religioni avvicinando la pace sociale e politica in tutto il medio oriente. In Siria ed Iraq come in Giordania e fra i palestinesi e gli israeliani, come altrove in Pakistan e Afganistan, in Libia e in Libano. Non c’è dubbio che la leadership politica e religiosa condivide attualmente una grossa responsabilità per riuscire far vincere e compattare i moderati contro gli estremisti che ammazzano senza scrupolo persone, giovani inermi, bambini e donne in tutto il medio oriente e nell’Africa riducendo l’umanità a dei livelli sempre più bassi e brutali. In questo contesto anche la preghiera di Abbas aveva un suo senso e valore.
- Il ricevimento – Cibo Kasher e Arbit nei giardini del Vaticano:
Alla fine della preghiera c’è stato il saluto individuale di tutti i partecipanti al papa ed i due presidenti. Sui giardini è ormai scesa la sera e tutti sono stati invitati ad un rinfresco in un altro prato dei giardini. Paradossalmente qui si è mostrata la vicinanza fra gli ebrei e i musulmani, vicinanza che mostra ancora una volta la complessità degli intrecci culturali che le parti fanno fatica a riconoscere. Le tavole del ricevimento erano divise in due parti. Una centrale e l’altra, più piccola con il cibo kasher servito da un catering kasher di Roma. Intorno ai tavoli del servizio kasher le due delegazioni israeliana e palestinese si sono incontrate di nuovo. Malgrado la distanza politica i musulmani sapevano benissimo di poter servirsi con tranquillità del servizio bar kasher allestito per l’occasione. Imam e Rabbini si sono incontrati di nuovo, non più intorno al tavolo della politica e della preghiera, ma intorno al tavolo del cibo e delle pratiche religiose. Che possa il cibo avvicinare israeliani e palestinesi ricordandogli la loro radice culturale comune?
Un secondo episodio unico è avvenuto qualche tempo dopo. Un esponente della delegazione israeliana doveva come chiede la tradizione di recitare la preghiera del kadish in ricordo della mamma deceduta qualche mese fa. In modo del tutto informale e non programmato gli uomini della delegazione israeliana si sono riuniti per assicurare il numero necessario per una funzione collettiva che permette di recitare il kadish. Anche questo fu un evento storico. Fu probabilmente l’unica occasione, dai tempi di Paolo, che nei giardini del vaticano fu recitata una funzione pubblica ebraica della preghiera che include la lettura dello shemà serale, dichiarando la fede in una unica divinità. Mondi culturali e usanze religiose si sono incontrati nei giardini del vaticano per coltivare speranze per un nuovo mondo, di dialogo e rispetto per le varie manifestazioni culturali della famiglia umana.
- Le prospettive future: preghiere inter confessionali a Firenze ed Hebron:
In conclusione: questo primo incontro al massimo livello religioso e politico non è che un primo passo. Per ottenere risultati significativi ha bisogno di essere ripetuto periodicamente, invitando chi si occupa della politica , della vita e la morte delle persone, di riconoscere e ricordarsi della dimensione sacra della vita. Un ritiro periodico dei leader che gli permetterà di vedere e sentire il dolore e la speranza di chi soffre. I loro stessi popoli soffocati dalla mancanza della pace, oltre le difficoltà, le chiusure e le dinamiche dei conflitti quotidiani. L’esperienza e l’iniziativa del Vaticano va ripetuta in altre modalità ancora con momenti di ascolto e di preghiera dei responsabili per il futuro di tanti esseri umani. Preghiere invocate anche in altri luoghi di grande carica simbolica, possibilmente negli stessi territori contesi: sulle alture del Golan e nella Galilea, sul monte sacro alla minoranza samaritana, e in un campo aperto e neutro di Gerusalemme, nei campi aperti dei profughi e nelle nuove città costruite dagli israeliani, e perché no per noi fiorentini, anche di nuovo ad Hebron e a Firenze. Le speranze riaccese periodicamente riusciranno a illuminare i sentieri antichi del mediterraneo sui quali camminavano i nostri antenati in ricerca della divinità?