Don Gian Carlo Perego

Direttore generale Migrantes

Un cordiale saluto e un grazie al presidente della Fondazione Giorgio la Pira per avermi invitato, come direttore della Migrantes, a presiedere questa celebrazione eucaristica, nella memoria del servo di Dio Giorgio La Pira. La Parola di Dio quest’oggi è dura, indica provocatoriamente che la qualità dell’amore a Dio del discepolo supera la qualità dell’amore umano, familiare. Al tempo stesso, la Parola ci conforta con Paolo che il disegno d’amore di Dio è intelligente. In ogni discepolo del Signore noi incontriamo sempre amore e intelligenza, capacità di donare e discernimento camminare insieme. Anche in Giorgio La Pira. La Messa del povero, che noi ricordiamo ancora 80 anni dopo, ne è un esempio: l’amore a Dio, che l’Eucaristia alimenta, genera una nuova prossimità ai poveri, nuovi “colloqui con i poveri”, come scriveva nel 1941 l’amico Fanfani, ma anche una lettura intelligente della povertà, come farà La Pira nel 1951 con “L’attesa della povera gente”.

Eucaristia e attesa della povera gente

“Per quel vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri” – ricordato da Papa Francesco nell’esortazione Evangelii gaudium (n.48) – alla messa arrivano le attese della povera gente, che ritrovano una “fraternità” realmente costruita dal Signore e che impegna ogni cristiano a non guardare altrove, a non passare oltre, ma a ritornare in città portando nel cuore le sofferenze dei poveri, ma anche il desiderio di una prossimità rinnovata. Come ricorda la costituzione conciliare sulla Liturgia, i fedeli sono chiamati a esercitare “tutte le opere di carità, di pietà e di apostolato, attraverso le quali si renda manifesto che i seguaci di Cristo, pur non essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini” (n.9).

L’amore, la carità di Cristo – che è l’Eucaristia – genera una Chiesa capace di amare. Un amore che si rivolge all’interno e che fa della Chiesa una fraternità, un’agape, una comunione (cfr. Benedetto XVI, Sacramentum caritatis n.15). Un amore e una carità di Cristo che dall’Eucaristia “forma” un’esistenza nuova del credente, aiutandolo a rileggere i momenti e le scelte della vita alla luce di Cristo (sacramenti), a ripensare il proprio stile di vita alla luce di alcuni valori (gratuità, pace, riconciliazione), a valorizzare il senso del limite (dolore, sofferenza e morte), a camminare sulle strade del mondo come portatori di una speranza e di una civiltà nuova. Un amore e una carità che dall’Eucaristia rende attenti i fedeli anche alle persone più deboli e in difficoltà. Gli infermi i carcerati, i migranti sono tre categorie di persone alle quali guardare con una preferenza nelle nostre comunità anche a partire dal dono dell’Eucaristia (cfr. Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, nn.58-60). L’unione con Cristo che si realizza nel Sacramento ci abilita anche ad una novità di rapporti sociali: «la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale», scriverà Benedetto XVI nell’enciclica Sacramentum caritatis (n.89).

Alla messa del povero di S. Procolo chi partecipava imparava come lotta alla povertà, alla disoccupazione erano i segni concreti di una Chiesa povera e dei poveri, ma anche di una “repubblica”, di una “democrazia” che nascevano dalla comunione eucaristica. La “repubblica di S. Procolo” – come amava chiamarla La Pira – era il segno di una Chiesa in comunione e in cammino come la Chiesa delle origini: il modello che negli stessi anni ispirava  cristiani e santi come don Saltini, don Monza, don Mazzolari, don Dossetti, don Prandi, don Torregiani, don Facibeni, don Barsotti, don Milani. I poveri – scriverà ne L’attesa della povera gente La Pira “sono il documento vivente, doloroso, di una iniquità nella quale si intesse l’organismo sociale che li genera: sono il segno inequivocabile di uno squilibrio tremendo – il più grave fra gli squilibri umani dopo quello del peccato – insito nelle strutture del sistema economico e sociale del paese che li tollera: essi sono la testimonianza della ulteriore sofferenza che gli uomini (i credenti) infliggono a Cristo medesimo (“lo avete fatto a me”)”.

La Messa del povero inaugurava una “comune” frutto della comunione con Dio, teologica e non anarchica. “Piccolo paradigma – scriverà La Pira – di cristianesimo sociale”, gioioso. La messa del povero è una rinnovata  “moltiplicazione dei pani”, dirà la Pira. E pensando alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, dobbiamo riconoscere che Cristo ancora oggi continua ad esortare i suoi discepoli ad impegnarsi in prima persona: “Date loro voi stessi da mangiare” (Mt 14,16). Davvero la vocazione di ciascuno di noi è quella di essere, insieme a Gesù, pane spezzato per la vita del mondo (cfr. Benedetto XVI, Sacramentum caritatis, n.88). Combattendo anche gli sprechi, come si ricorda nella moltiplicazione dei pani.

Eucaristia e Mediterraneo

Dalla Messa del povero l’attenzione agli ultimi, con i colloqui del Mediterraneo, attraverserà il Mare nostrum, per arrivare in Africa, nel Medio Oriente e raccogliere le attese della povera gente più lontana, ma anche per costruire cammini di pace e di giustizia, di cooperazione e di sviluppo. Dal “microcosmo fiorentino” l’attenzione agli ultimi arriverà al “macrocosmo dei popoli e delle nazioni”. Una forza provvidenziale che – scriverà La Pira a conclusione del Terzo colloquio del Mediterraneo, il 24 maggio 1961 – “insieme abbatte e costruisce: abbatte l’otre vecchio dei regimi coloniali, dei regimi razzisti, dei regimi oppressori, dei regimi di miseria ed edifica (anche se in mezzo a mille resistenze rallentatrici) l’otre nuovo destinato a contenere il vino nuovo della sostanziale eguaglianza e fraternità e libertà dei popoli: una eguaglianza ed una fraternità ed una libertà che traggono valore e saldezza da quella comune paternità divina che fa di tutti gli uomini, in maniera essenziale, i figli e i fratelli di una sola famiglia”Cosa direbbe oggi La Pira di fronte ai 150.000 siriani, eritrei, palestinesi, somali, ghanesi, nigeriani, e di altre nazionalità, 23.000 dei quali minori, 12.000 minori senza famiglia che hanno attraversato il Mediterraneo in fuga da guerre e dittature e sono arrivati prima sulle coste della Sicilia, anche sulle coste della sua Pozzallo – dove ieri sono sbarcati ancora 329 migranti, tra cui 74 minori, 26 donne, cinque delle quali in cinta – nei porti della Calabria, della Campania e della Puglia e poi nelle nostre città. Parlerebbe di “grazia” o di “disgrazia”? Inviterebbe a un supplemento di gratitudine eucaristica, di fraternità o ad alzare muri e chiudere le porte delle città? Cosa penserebbe guardando a un Mediterraneo che da “strada di dialogo”, “ponte tra Oriente ed Occidente” è diventato – per parafrasare il titolo di un’opera di Bernanos – “un cimitero sotto la luna”, con oltre 3000 morti nel 2014 e, Dio solo sa, quanti morti nel 2015 con l’indebolimento di un accompagnamento dei migranti in mare? Come Papa Francesco, La Pira ci ricorderebbe che questi nostri fratelli e queste nostre sorelle migranti sono “la carne di Cristo”.

Eucaristia e nuovo umanesimo

Dalla Messa del povero nasce un nuovo umanesimo, che guarda a ogni persona e pensa a una società  come “una casa di grazia e di pace – sono sempre parole di La Pira – ed ove c’è per tutti una dignità, un posto e un pane”. Un umanesimo che porta La Pira a salutare l’annuncio del Concilio dato da Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959, come l’occasione, lo strumento per costruire l’unità e la pace del genere umano. Un umanesimo conciliare che La Pira sognava avesse una tappa celebrativa anche a Firenze, con una visita del Papa, dei vescovi e degli osservatori – anche ebraici e islamici -“a S. Maria del Fiore ed a S. Maria novella (ove è sepolto il Patriarca di Costantinopoli) in ricordo e quasi in collegamento col grande, drammatico e prefigurativo Concilio di Firenze” del 1439. A cinquant’anni dalla fine del Concilio Vaticano II, il sogno di La Pira potrà trovare in qualche modo la sua realizzazione nel Convegno che la Chiesa italiana celebrerà a Firenze, nel novembre 2015.

Conclusione: crescere nella condivisione

«Mai il genere umano ebbe a disposizione tante ricchezze, possibilità e potenza economica, e tuttavia una grande parte degli abitanti del globo è ancora tormentata dalla fame e dalla miseria…» (G.S. 4) . Queste parole del Concilio Vaticano II ripresentano l’attualità della messa del povero: di luoghi eucaristici dove si celebra e s’impara la condivisione. “La fame di pane nel mondo – scriverà Padre Pedro Arrupe – sarà saziata solo quando l’uomo imparerà a vivere non esclusivamente per sé, ma anche per gli altri, come ha fatto Cristo. Sarà saziata solo quando la legge interiore dell’amore, e non semplicemente l’interesse personale, la cupidigia e l’ambizione, governerà la nostra esistenza individuale e collettiva, ispirerà la nostra politica e regolerà le nostre strutture e istituzioni sociali. La fame di pane nel mondo sarà saziata solo quando l’uomo imparerà ad aver fame di Dio: del suo amore e della sua giustizia” (P. Arrupe, Eucaristia e fami del mondo, Roma, ADP, 2001). “Quando tanti popoli hanno fame – ribadirà Paolo VI nella Populorum progressio – quando tante famiglie soffrono la miseria, quando tanti uomini vivono immersi nella ignoranza, quando restano da costruire tante scuole, tanti ospedali, tante abitazioni degne di questo nome, ogni sperpero pubblico o privato, ogni spesa fatta per ostentazione nazionale o personale, ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile. Noi abbiamo il dovere di denunciarlo. Vogliano i responsabili ascoltarci prima che sia troppo tardi”  (n.53). L’umanesimo cristiano che si nutre alla mensa eucaristica alimenta anche questo impegno di denuncia, come atto di amore all’uomo. E a distanza di 80 anni scopriamo come La Pira – con S. Paolo – non ha corso e faticato invano, ma ha aperto la strada: una strada sulla quale ciascuno di noi, sostenuti dal pane eucaristico, siamo chiamati a camminare, a correre, anche con fatica.