Spes contra Spem 2015: intervento di Marco Luppi
Mediterraneo: nuovo lago di Tiberiade o tomba delle speranze?
intervento del Professor Marco Luppi (foto sotto)
Il Mediterraneo, non da oggi, rappresenta un punto nodale nella configurazione geopolitica di una realtà internazionale che continua a muoversi dentro un perenne stato di necessità e in vista della risoluzione delle crisi. Solo raramente ci si trova nelle condizioni di costruire e governare i fenomeni politici, economici e sociali dei tempi di pace, quelli che consentirebbero alla politica di dispiegare le sue migliori caratteristiche: la capacità di analisi del reale, il confronto tra legittime diversità, la ricerca di una soluzione alle diverse problematiche. Sulle rive di quel mare oggi si consumano alcune tra le più drammatiche vicende che interessano la comunità internazionale, sfidandola nella sua incapacità di elaborare processi di sintesi coerente e di giungere ad una deliberazione e concretizzazione condivisa. Il dramma dei migranti, quotidiano e spesso sconvolgente nel fissare alcuni fotogrammi che la civiltà globalizzata delle immagini rilancia immediatamente nelle case, nelle famiglie, nei palazzi governativi di tutto il mondo, è intrecciato a varie forme di squilibrio: le profonde disuguaglianze economiche tra il primo mondo e gli altri (migrazione economica); le crisi umanitarie di paesi che non hanno conosciuto, se non in parte, una transizione verso sistemi politici equilibrati e riformisti (utilizzando con cautela la parola democrazia, migrazione politica); la mancanza della libertà nell’usufruire di alcuni diritti fondamentali, a cominciare dalla libertà di esprimersi culturalmente, di professare un credo religioso, etc. (migrazione umanitaria e dei valori). Si scappa dalla miseria, si scappa dalla cronica assenza di futuro, si scappa dall’oppressione e dal fondamentalismo religioso/politico.
È sotto gli occhi di tutti come la comunità internazionale non sia preparata ad affrontare comunitariamente una crisi ciclica (le migrazioni sono sempre esistite, hanno rappresentato una variabile importante nella diversificazione delle storie culturali del pianeta), che mai come questa volta risulta co-generata da problematiche irrisolte e da questioni nuove: a) le crisi politiche e le instabilità del Nordafrica, la cui primavera si è trasformata nella maggior parte dei casi in un rigido inverno; b) l’impossibilità di portare a soluzione criticità antiche che oggi si caricano di ulteriori incomunicabilità e sfociano in una crisi bloccata dalla categoria schmittiana amico-nemico (questione israelo-palestinese-araba); c) la presenza di un fondamentalismo religioso (il Califfato dell’Isis, ma anche i molti volti di un assolutismo politico-confessionale che non tutela le libertà fondamentali) che continua a fare proseliti nella fase di disillusione e di mancanza di ideali che la civiltà occidentale vive da tempo; d) la difficile emersione del continente africano dal suo stato di arretratezza, che limita le enormi potenzialità di un contesto che i Paesi occidentali o i nuovi protagonisti statuali della comunità internazionale continuano ad utilizzare come il “comodo cortile” di casa propria; e) il protagonismo di nuovi/vecchi attori della rete diplomatico-politica (Iran, Turchia, per esempio), espressione di civiltà antiche e nobili ma problematiche, che configurano uno scenario diversificato, per nulla semplice da governare. Il fascino e la difficoltà di interagire all’interno dello spazio mediterraneo rimane immutato e rimanda a figure che, come La Pira, significativamente ne hanno fatto uno dei nuclei sperimentali per coraggiose operazioni di vera politica.
Quando il sindaco di Firenze realizzò uno dei grandi eventi che caratterizzeranno la sua esperienza amministrativa, i Colloqui mediterranei, la fase politica non presentava certo scenari semplici e scontati. In piena guerra fredda la proposta del “neoatlantismo” apparve ad alcuni un cedimento rispetto alla politica centrista e anti-sovietica, ad altri una proposta velleitaria di fronte alla scelta atlantista che la classe dirigente del Paese aveva compiuto solo pochi anni prima. Tale atteggiamento politico, che in Italia vide operare personaggi del calibro di Pella, Gronchi e Fanfani e che si basava sulla richiesta di un disarmo quanto più ampio possibile, sulla riforma della Nato e sulla profonda apertura nei confronti delle nuove realtà dei paesi in via di sviluppo, auspicava la concreta possibilità di un processo politico che instaurasse rapporti politici ed economici su basi democratiche e paritarie. Il mondo arabo, in particolare, era guardato come il tassello di una politica estera più aperta, che andava assolutamente coinvolto in un processo di dialogo e di pacificazione, importante dal punto di vista strategico ma fondamentale anche dal punto di vista economico, come dimostrarono il protagonismo di Mattei e dell’ENI nello sviluppo di importanti progetti energetici in Medio Oriente, che prevedevano non solo l’acquisizione delle risorse, la spartizione degli utili, ma anche la condivisione di competenze e di know how, puntando alla crescita complessiva degli attori in campo.
Tuttavia in La Pira vi era molto di più di un approccio neoatlantico, vi era una proposta di riconoscimento e valorizzazione di uno spazio geografico, storico e culturale. Il Mediterraneo era il tratto di mare che il Professore amò definire come il grande Lago di Tiberiade, ricordando il luogo in cui venne insegnata una dottrina di pace, in cui vennero compiuti miracoli della carità e della condivisione, in cui venne rinsaldata l’amicizia tra un Dio, declinato secondo i valori dell’amore, e il suo popolo, spesso alla ricerca delle motivazioni più importanti per le quali spendere la propria esistenza. All’interno di questo spazio ricco di rimandi e significati si possono evidenziare almeno tre elementi che la proposta di La Pira tese a rimarcare con forza. Primo: il Mediterraneo è lo spazio della nascita di culture millenarie, non casualmente strutturato per farle interagire. Nel discorso inaugurale al primo appuntamento dei Colloqui il sindaco disse:
Cooperare alla pace nel Mediterraneo e nel mondo, ma come? (…) La risposta, a mio avviso, è possibile se si considera la comune vocazione storica e per così dire permanente che la Provvidenza ha assegnato nel passato, assegna nel presente e, in un certo senso, assegnerà nell’avvenire (se noi le restiamo fedeli) ai popoli e alle nazioni che vivono sulle rive di questo misterioso lago di Tiberiade allargato che è il Mediterraneo. Questa vocazione o questa missione storica comune consiste nel fatto che i nostri popoli e le nostre nazioni sono portatori di una civiltà che, grazie all’incorruttibilità e alla universalità dei suoi componenti essenziali, costituisce un messaggio di verità, d’ordine e di bene valido per tutti i tempi, per tutti i popoli e per tutte le nazioni. Gli elementi essenziali sono (…) tre: 1) la componente religiosa della rivelazione divina che trova in Abramo – patriarca dei credenti – la comune radice soprannaturale (…). Il Tempio, la cattedrale e la moschea costituiscono precisamente l’asse attorno al quale si costruiscono i popoli, le nazioni e le civiltà che coprono l’intero spazio di Abramo. 2) la componente metafisica elaborata dai Greci e dagli Arabi: è ad essa che si deve l’immensa ricchezza di idee che sostengono una visione ordinata, essenzialmente metafisica e teologica del mondo, e che costituiscono intellettualmente ed artisticamente la bellezza stessa della civiltà di cui i nostri popoli e le nostre nazioni sono portatori. 3) la componente giuridica e politica elaborata dai romani. È a questa che si deve la strutturazione di un ordine giuridico e politico di cui gli elementi maggiori costituiscono il tessuto essenziale dove si articola ogni ordine sociale e umano autentico [1].
L’incontro, a volte fecondo, a volte teso e drammatico tra culture diverse aveva avuto un valore generativo nelle sue acquisizioni filosofiche e teoretiche, nelle sue sperimentazioni politiche, nel necessario definirsi di luoghi, tempi e proposte per la convivenza tra i popoli e le religioni. E questo richiama un secondo elemento fondante: il Mediterraneo è lo spazio dell’incontro tra le tre grandi religioni monoteiste, che hanno in Abramo il loro progenitore. Il vissuto religioso, allora come oggi, costituiva uno spazio di aggregazione e di condivisione, o il pretesto per il proliferare dell’odio, della discriminazione e dei conflitti. Il sindaco fiorentino ne era cosciente, per questo scrisse all’amico Pierre Corval, direttore di «Etudes Mediterranéennes»:
Ebbene, caro amico, io Le dico: ma non è proprio il Mediterraneo (e le nazioni ed i popoli che vi si affacciano) il “luogo” per così dire, più “interessato” a questa crisi così essenziale del mondo? Basta pensare a Gerusalemme, la città santa degli ebrei, dei cristiani, dei musulmani: tre religioni annodate in Abramo; tre civiltà “monoteiste” saldamente intessute con i valori culturali comuni. Dove sta la crisi? Proprio nella minaccia di sradicamento di questa pianta divina: nella negazione – non solo come fatto culturale e individuale, ma come fatto politico e collettivo – della radice stessa di questa pianta divina: viene negato il Dio di Abramo, di Isacco, di Ismaele, di Giacobbe (…). Ebbene: questo fatto politico così drammatico e di dimensioni così vaste – mondiali ormai! – questo fatto politico che, se prevalesse, muterebbe davvero (almeno per qualche tempo!) il volto della civiltà e del mondo, può lasciare senza riflessione particolarmente approfondita i popoli e le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo? Cristiani, musulmani, ebrei: la loro “geografia” religiosa, spirituale, culturale, civile, politica, non ha proprio nel bacino mediterraneo il suo spazio vitale? La minaccia di sradicamento dei valori essenziali della civiltà e del mondo non ha proprio qui la sua zona di pericolosità più acuta? I destini del mondo intiero, perciò, non sono posti in gioco proprio qui? La storia non si è fermata oggi proprio qui, per così dire, in attesa di una scelta e di una decisione? (…) Queste domande non sono né fantastiche, né astratte: esse pongono in piena evidenza il più concreto ed il più improrogabile dei problemi politici e storici del nostro tempo. Solo entro questa prospettiva, in questo quadro, assumono il loro vero valore ed il loro rilievo i problemi attuali del Mediterraneo: (…) solo se prospettati così questi problemi mostrano il loro volto vero [2].
La Pira, in una lettera a Nasser del 22 febbraio 1958, esprimeva la convinzione di come il Mediterraneo andasse valorizzato e tutelato, perché realtà ospitante alcune città simboliche (Gerusalemme, Roma, Atene, La Mecca, Alessandria), «città essenziali del Suo disegno storico: non città museo: no: ma città-fontane, città-fari, città-sante: città dalle quali zampillerà sempre, per tutte le generazioni, per tutti i secoli, per tutti i popoli, una luce inestinguibile di grazia e di civiltà!». Il compito di generazione culturale che aveva sede nel ‘grande lago di Tiberiade’, si sarebbe aperto verso una realtà più grande, che si può riassumere nel terzo elemento sintetico: il Mediterraneo è il luogo generativo di una cultura ampia, aperta, dialogica, che il Professore chiamò la ‘civiltà dell’universale’, considerata tale per la profondità delle sue caratteristiche e per la volontà di propagandare la pace come un sinonimo della lotta alla disuguaglianza, alla fame, all’ignoranza. Guardando con favore all’appuntamento di Bandung e alla politica di non-allineamento, sostenendo il processo di decolonizzazione e il desiderio di crescita del mondo arabo e africano, La Pira manifestava un’esigenza di apertura, di penetrazione all’interno delle problematiche principali nell’incontro tra popoli, stati, culture, che poi provò a concretizzare aprendo i Colloqui mediterranei all’incontro con l’Africa nera. In questa sede avvenne un passaggio decisivo: il Mediterraneo non poteva considerarsi uno spazio chiuso, auto-sufficiente, ma doveva guardare alle problematiche che spingevano alle sue porte e che richiedevano la dote di riflessione filosofica, sapienza giuridica, meditazione religiosa di cui era ricco. Durante il terzo appuntamento disse:
Ebbene, amici dell’Africa Nera: il compito che Dio vi affida, la missione e la vocazione di cui Egli fa ricchi i vostri popoli e le vostre nazioni e le vostre culture (…) nel momento stesso in cui voi entrate come attori essenziali nella storia presente e futura è come da voi stessi stato detto, quello di attirare e di integrare con elementi preziosi ed originali di giovinezza religiosa, spirituale, culturale, sociale, economica e politica; con aspetti inediti di bellezza e di luce – la vita e l’espansione (dopo le debite purificazioni e potature) di questa antica quercia mediterranea radicata nel cuore geografico, storico, religioso e civile del mondo (…). Il compito che Dio vi affida, la missione, la vocazione di cui Egli fa ricchi i vostri popoli e le vostre nazioni e le vostre culture è, perciò, quello di essere fattori essenziali e cause in certo modo motrici di quel rilancio storico (in atto proprio oggi) della “civiltà dell’universale” destinata ad estendersi a tutte le nazioni della terra per integrarle ed arricchirle tutte e per essere da tutte integrata ed arricchita. (…) Questa visione di contemplazione e di bellezza – amici Africani – non ci fa evadere dai problemi più urgenti della vita quotidiana dei vostri e dei nostri popoli: dal dovere immediato che abbiamo di sradicare dalle nostre città e dalle nostre nazioni i mali della disoccupazione, della miseria, della ignoranza: questo sradicamento pronto e deciso di questi mali costituisce la premessa medesima di quell’ardimentoso rilancio di civiltà alla quale voi e noi, come tutte le altre nazioni, siamo solidamente impegnati! È per questo, amici Africani, che siamo tutti tenuti a mutare profondamente le strutture invecchiate della società ed a strutturare l’economia, la società e lo stato (mediante tutti gli strumenti che la scienza, la tecnica e l’analisi economica del tempo nostro hanno creato e sempre più vanno creando) in modo tale da elevare i nostri popoli a quei livelli di giusto benessere, di scienza, di cultura, di bellezza, di contemplazione (…) e di pace (interna e internazionale) che sono i livelli storici proporzionati al destino infinito ed alla infinita dignità della persona umana [3].
In questo discorso vi è la sintesi della portata generale di una vocazione comune che sembra delinearsi in modo chiaro davanti agli uomini di buona volontà, davanti ad una comunità internazionale veramente interessata alla cooperazione e alla soluzione dei problemi. La cultura dell’universale possiede le caratteristiche sulle quali si sono costruite le fondamenta principali con cui è stato edificato ogni progetto duraturo: la pace, la ricerca di un nuovo umanesimo, il fecondo incontro tra culture. La pace appare come il requisito fondamentale, senza il quale è impossibile sperare di edificare qualcosa di duraturo. E qui non si può riferirsi solo alla “pace negativa”, intesa come assenza di guerra, una certa libertà dai conflitti e dalle contrapposizioni, ma come “pace positiva”, riferita alla disponibilità di coloro che sanno di dover costruire le condizioni per eliminare le radici di futuri e nuovi conflitti: la povertà, l’ignoranza, la disuguaglianza, un pensiero ideologico portato a marchiare il territorio, le appartenenze e i destini. Non è banale ricordare che l’evento politicamente più importante lasciato in eredità dalla Rivoluzione francese è stato un trittico: libertà, uguaglianza e fraternità, in cui il terzo fattore appare determinante per qualificare anche gli altri due. Chi ha cercato di esaltare il primo a scapito del secondo ha creato società individualiste e schiave del paradosso di un’opulenza svuotata dall’incontro con la realtà dell’altro; chi ha esalto il secondo a scapito del primo ha creato una collettività priva delle principali libertà, in nome di un’utopia che si è basata su uno stato di massificazione e di controllo. La fraternità, spesso problematica e mai banale (e che comprende anche una dimensione antagonista), afferma tuttavia quanto siano costitutivamente interdipendenti e interpersonali le nostre relazioni e come le possibili soluzioni a problematiche specifiche o universali non possano prescindere dal senso di co-abitazione e co-appartenenza che rimane anche quando si sono eliminati e valutati tutti gli elementi di differenziazione. Ciò richiama la scoperta di un ‘nuovo umanesimo’, in particolare lo sviluppo della categoria di persona, che in quanto tale deve poter usufruire dei diritti legati alla caratterizzazione individuale, ma dentro la valorizzazione del pieno compimento di sé, in quella che il filosofo francese Mounier riconosceva come la condizione per dispiegare le immense potenzialità e capacità dell’essere umano fattosi soggetto operante: «I tre esercizi essenziali della formazione della persona sono dunque: la meditazione, per la ricerca della propria vocazione; l’impegno, ossia il riconoscimento della propria incarnazione; la rinuncia, vale a dire l’iniziazione al dono di sé e alla vita altrui. Quando la persona manca ad uno di questi esercizi, ha perso la partita» [4].
Quest’estate ero ancora in Brasile per lavoro quando si è aggravata in maniera pesante la vicenda dei migranti, che mostrava il Mediterraneo e l’Europa attraversati da drammi umani, di tipo economico-sociale, ma anche da importanti gesti di solidarietà concreta e, in alcuni frangenti, da vera compartecipazione tra popoli diversi e in oggettive condizioni di disparità nel contesto generale, evidente nei poli opposti della scala pace-guerra, democrazia-autoritarismo, disagio-accoglienza, etc. Ciò che impressionava era sia l’impatto con la profondità dei problemi, ma anche le potenzialità della condivisione concreta e la speranza insita in un lavoro comunitario, quello che spesso latita e fatica ad emergere dentro l’Unione Europea e i suoi diversi attori. Ciò richiama un ultimo elemento importante: la cultura dell’incontro, le cui caratteristiche non sono mai risultate estranee a La Pira, alla sua sensibilità, alla passione con cui si è speso a favore delle relazioni tra persone, stati, organizzazioni. In primo luogo vi sono i riferimenti ad accoglienza e rispetto, parti integranti dell’inesausta predisposizione ad avvicinare gli altri con la mente aperta e lo spirito libero, soprattutto quando l’interlocutore mostra la debolezza della propria condizione e della propria storia. Poi si esalta il binomio ascolto e dialogo, oggi più che mai urgenti nei vari contesti della costruzione comunitaria interessata al bene comune, che si nutre delle diversità culturale e della libertà nel pensare al futuro. La dimensione dell’incontro evidenzia anche solidarietà e cooperazione, che sempre di più sembrano rappresentare i valori di riferimento per un’agenda politica che si avvicina alla complessità dei problemi attuali.
Da più parti si proclama la necessità di una stagione qualificante non solo a livello umanitario (accoglienza, piani di sviluppo, diritti di cittadinanza), ma anche di una progettazione politica che guardi alle generazioni future, quelle che saranno chiamate a costruire il cambiamento, quelle che, con puntuale lungimiranza, La Pira amava definire come le rondini che annunciano la primavera. Sulla linea del tempo e delle auspicate svolte storiche continua a campeggiare l’avviso paolino e lapiriano al medesimo tempo: Spes contra spem.
[1] Discorso di La Pira in occasione dell’apertura del primo Colloquio Mediterraneo, 3 ottobre 1958, ora in M. P. Giovannoni, Il grande lago di Tiberiade. Giorgio La Pira per la pace nel Mediterraneo (1954-1977), Firenze 2006, pp. 69-70.
[2] Lettera di La Pira a Pierre Corval, direttore della rivista di studi «Etudes Mediterranéennes», 23 agosto 1957, ora in M. P. Giovannoni, Il grande lago di Tiberiade…, cit., Firenze 2006, p. 27.
[3] Cfr. E. Balducci, Giorgio La Pira, San Domenico di Fiesole (FI) 1986, p. 91.
[4] Mounier, Rivoluzione personalista e comunitaria, Ecumenica editrice, Bari 1984, p. 78.