PER LA PIRA – 5 Novembre 2019
La Fondazione La Pira mi fa un complimento – forse anche un complimento alla mia vecchiaia – facendomi presiedere, a San Marco, la celebrazione della Messa nell’anniversario della morte di La Pira. Li ringrazio e ringrazio anche tutti voi che siete qui presenti.
Nel luglio dell’anno scorso – luglio 2018 – Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto che riguarda le virtù eroiche del «sindaco santo» di Firenze Giorgio La Pira.
Vorrei partire di qui, da questa “venerabilità” di La Pira già riconosciuta dalla Chiesa. Sottolineare intanto i tempi rapidi del processo canonico di La Pira, tenendo conto anche del materiale enorme – scritti, lettere, pubblicazioni, avvenimenti – che sono stati esaminati.
In genere il cammino non è così rapido. Il Card. Newman è stato canonizzato da Papa Francesco tre settimane fa ed è un personaggio di assoluto rilievo nel rapporto tra la Chiesa cattolica e gli Anglicani, ma è un uomo dell’Ottocento.
Se sottolineo i tempi rapidi del processo canonico di La Pira è solo per dire che la Chiesa, di questa canonizzazione, ne avverte il bisogno. Ne ha bisogno lei, la Chiesa, ne ha bisogno l’Italia e ne ha bisogno il mondo.
La Pira è una personalità singolare. Se Dio ci vede tutti in qualche luogo del vangelo, come diceva Bernanos, La Pira l’ha visto certamente sul monte delle beatitudini. C’è una sua bella lettera del 1967 alle Suore di clausura – le claustrali, che, si sa, erano le sue confidenti – dove scrive per dir loro che è in partenza. Andrà in Terrasanta. “Salirò sul monte delle beatitudini, davanti al lago di Tiberiade, per “riascoltare” il discorso del Signore, il discorso delle beatitudini”. “Riascoltare” La Pira lo metto tra virgolette.
Sul monte delle Beatitudini, in altro modo, La Pira era già salito nella Pasqua del 1924, a vent’anni, a Messina. E’ quella la sua prima Santa Pasqua: un’esperienza mistica che è all’inizio del suo cammino di fede.
Ne parla in una lettera all’amico Pugliatti del settembre 1933: “Io non dimenticherò mai quella Pasqua 1924 in cui ricevei Gesù Eucaristico: risentii nelle vene circolare una innocenza così piena da non poter trattenere il canto e la felicità smisurata”. Ne ferma l’evento sulla prima pagina del Digesto di Giustiniano, lo strumento di lavoro fondamentale per suoi studi di romanistica:
Anno 1924
Con la mente più chiara / e l’anima aperta / in attesa di un venire cui la speranza non ha mai cessato di tendere e la Fede mai cessato di sollevare. / E sempre con umiltà.
A 20 anni: epoca di luce e inizio di Unione col Maestro
1° S. Pasqua.
Un linguaggio mistico, l’unico adatto ad esprimere ciò che è di per sé ineffabile: l’esperienza di Dio. Dossetti, nella Commemorazione tenuta a Palazzo Vecchio il 5 novembre 1987, la paragona a quella che fu per S. Francesco l’esperienza di San Damiano o per S. Ignazio di Loyola l’esperienza di Mamresa.
“Allora nasce La Pira – “esploratore del Paradiso, lui dirà – libero apostolo del Signore – annunciatore del Vangelo della grazia”.
Parlerà di Gesù, così lo chiama lui dovunque, quando parla e quando scrive: Gesù.
E, scriverà tantissimo, un po’ su tutta la stampa cattolica… Una Suora del Carmelo di Firenze, che legge questi scritti di La Pira, invia una lettera al settimanale per ringraziare il reverendo che dice cose tanto belle. Lui risponde alle riflessioni della suora. E, alla fine si rivela: “Un’ultima cosa: io non sono sacerdote come Ella ha supposto: Gesù non ha voluto e non vuole questo da me! Sono solo un giovane cui Gesù ha fatto una grazia grande: il desiderio sconfinato di amarlo e di farlo sconfinatamente amare..”.
Anche il linguaggio di La Pira negli anni giovanili, se si fa riferimento alle lettere ai familiari, agli articoli su Il Carroccio, su Gioventù italica, o anche alla Vita di Vico Necchi e poi in quella di don Moresco, pur sostenuto sempre da una solida base teologica e spirituale, è un linguaggio caldo, affettivo, da innamorato. E’ Gesù – anche l’umanità di Gesù – che egli contempla.
Vittorio Peri, per ricordare uno studioso serio, vede anche un’altra data che fa da spartiacque: l’epifania del 1951 a Roma, alla Messa nella Chiesa di Santa Maria in Vallicella, la Chiesa di San Filippo Neri. E’ l’Epifania e, quindi, arrivano i Magi e nei Magi egli vede i popoli che arrivano: si sente come affidata una singolare missione per l’unità e la pace. “Un messaggio di liberazione, di giustizia e di pace da portare «alla Russia sovietica, agli arabi, ai popoli dell’Africa nera che sono in fase di crescenza storica e di promozione storica, a tutti i popoli del mondo»…
Due date dunque. Sarebbe anche un errore interpretarle in maniera rigida, schematica, come due inizi. Non ci sono due inizi o tanto meno due conversioni. C’è un solo cammino, il cammino del discepolo che segue il Maestro, un cammino nella preghiera e nella contemplazione fatto con una docilità e una libertà assolutamente straordinarie.
- Caterina da Siena dice che S. Tommaso d’Aquino imparò la teologia «più col mezzo dell’orazione che per studio umano». Non so se è vero. Certo qualcosa di simile avviene in La Pira che ha una singolare intensità di preghiera. Chi ha avuto la fortuna di vederlo una volta pregare non lo dimentica più. «Dio – dice l’apostolo Paolo – rifulse nei nostri cuori per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio che rifulge sul volto di Cristo» (2 Cor 4,6). Nella Vita di Vico Necchi, libro che fu commissionato a La Pira da Padre Gemelli e che, direi, è un libro di grande valore “autobiografico”, egli scrive: «La storia della santità è storia dell’amore che ha consumato le anime alla pronunzia del dolcissimo nome di Gesù».
Il segreto di La Pira è proprio questo amore straordinario con cui guarda Gesù, l’umanità di Gesù, il volto del Signore. La sua fede non è un pensiero astratto, è un’esperienza. E vuole che sia così per tutti: quasi experimentalem Dei notitiam, ripete insistentemente. Chi lo accompagna in questo cammino? La Bibbia e la Summa di S. Tommaso d’Aquino sono i suoi libri. Poi ce ne sono tanti altri – c’è il Fornari, c’è Scheeben, Bossuet, Blondel, Marmion, Feret… ma gli serviranno soprattutto per provare la validità del suo discorso.
E ancorata alla Bibbia è la sua concezione dell’uomo e della storia. Della Bibbia, soprattutto, l’apostolo Giovanni e l’apostolo Paolo, per dire i due mistici del Nuovo Testamento, perché il linguaggio dei mistici è il suo linguaggio e, dei mistici, c’è in lui, fortissima, l’esigenza a unificare e sperimentare.
Unità e fisicità: «Quello che le nostre mani hanno toccato…» (1 Gv 1,1).
Nel 1934 è nata la Messa dei poveri a San Procolo.
La Pira a questa Messa sarà fedelissimo. Anche nel 1944, nei mesi in cui deve rifugiarsi a Roma, quella di San Procolo rimane una preoccupazione costante. Cerca anche di esportare in varie chiese della periferia romana – riferisce Vittorio Peri – questa Messa dei poveri stile fiorentino, non senza incontrare resistenze e ironie. Ne scrive sull’Osservatore Romano e sull’organo degli universitari cattolici Ricerca. “San Procolo, e poi Badia, Santo Stefano al Ponte, Santi Apostoli (ma si continuò sempre a dire San Procolo) – scrive in una bellissima pagina Fioretta Mazzei, – fu il suo punto di riferimento fisso, ogni domenica, per quarant’anni e più, perché vi andò fino all’agosto ’77; abbiamo registrato le sue ultime Ave Maria in quella chiesa. San Procolo fu soprattutto il suo riferimento mentale e spirituale, la sua famiglia in qualche modo. Come si trovava con loro non si trovava con nessuno. Quante volte San Procolo rimase il lievito ed anche, in piccolo, il modello di ogni sua azione, come il cerchio centrale di cerchi concentrici più vasti: l’Eucaristia e le genti”. “L’Eucaristia struttura i popoli”. L’universalità dei popoli intorno al Sacramento pensato da Gesù come sacramento di unità universale.
Una famiglia sola: ut unum sint. Una famiglia a cominciare dagli zoppi, i ciechi, i poveri del mondo, come dice la parabola; sotto certi aspetti i più capaci di intendere, quelli che non rifiutano: compelle intrare. Per capire La Pira, anche a scala mondiale, bisogna riflettere su queste cose. I popoli poveri… i non allineati di Bandung, i paesi della fame, tutti idealmente rappresentati a San Procolo…
C’è anche una “conversione” di La Pira alla politica nel 1936. E’ stato qualche tempo in Sicilia dove P. Gemelli gli ha consigliato di andare per riposarsi. Al ritorno prende dimora nel Convento di San Marco nella famosa cella n° 6 che i PP. Domenicani gli mettono a disposizione. Ha già una visione chiara di quello che sta succedendo: il nuovo impegno ideologico del fascismo, le leggi razziali, la guerra che si sta preparando. “Non basta rifugiarsi nella preghiera”, dirà. Non si può vivere la religione come fatto privato. Sta già nascendo il La Pira de La nostra vocazione sociale. “Non basta la vita interiore; bisogna che questa vita si costruisca dei canali esterni destinati a farla circolare nella città dell’uomo. Bisogna trasformare la società”
Nel Diario di Piero Calamandrei il nome di La Pira torna tante volte: per comuni prese di posizione: “…allora La Pira ed io abbiamo cominciato a urlare…” ( 9 – IX – 1939 ); o, quando la Francia sta per crollare per l’invasione tedesca, “…La Pira mi dice che i tedeschi non possono vincere perché milioni di creature innocenti pregano”. Buon La Pira: eppure chissà che questa intensità di pensiero e di fede che sale da tutto il mondo non abbia qualche suo peso misterioso contro la selvaggia mistica dei tedeschi” (18 – V – 1940).
Ma Gesù rimane sempre l’avvenimento definitivo – il fatto, come ama dire La Pira anche nell’ultima commoventissima lettera a Paolo VI. Ed è Lui, Gesù, ad inaugurare un tempo e uno stato nuovi e definitivi.
Chiudo raccogliendo un brano – la finale – di un articolo che scrissi per Avvenire, pubblicato il giorno dei funerali di La Pira. Scrivevo: “Vorrei aggiungere una notazione ultima sullo stile con cui il cristiano La Pira ha portato avanti la sua battaglia: aperto, ottimista, in positivo, mai rancoroso, legato ad una testimonianza di vita umile e coerente. Anche questo stile faceva di lui un autentico uomo di comunione. La Pira non ha mai saputo polemizzare con nessuno, neanche con La Nazione: mai contro. Un uomo di pace ma senza falsi irenismi, con tutti i valori cristiani in evidenza, dalla Grazia, ai Sacramenti, alla Chiesa, alla Madonna, al Papa, al Vescovo: ma nella pace. Una pace che era segno visibile e riconoscibile dello Spirito: un suo carisma, come era un carisma la sua povertà. Era impossibile non vedere. Perché i doni dello Spirito Santo operano con modalità fuori dell’ordinario e non è possibile confonderli”.