Firenze, 21/4/2016 – Martedì 26 aprile alle ore 16, nell’Aula magna “Cardinale Giovanni Benelli” della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale di via Cosimo il Vecchio 26, a Firenze, avrà luogo la presentazione del saggio intitolato “Abbattere i muri, costruire ponti” – Lettere a Paolo VI. Il testo, a cura di Andrea Riccardi e Augusto D’Angelo per le Edizioni San Paolo, raccoglie molte delle lettere di Giorgio La Pira a Paolo VI: redatte quali una sorta di “diario di bordo” del Professore, manifestano le visioni e i sentimenti di La Pira negli ultimi quattordici anni di vita, ricapitolando il suo pensiero e il suo metodo “storico”.
Il volume verrà presentato, alla presenza del preside della facoltà, don Stefano Tarocchi, e di Mario Primicerio, Presidente della Fondazione La Pira, dal prof. Augusto D’Angelo, curatore del volume e docente di Storia contemporanea presso l’università Roma 3, da don Gianni Cioli, docente presso la Facoltà Teologica, e da S.E. Mons. Romano Rossi, Vescovo di Civita Castellana.
Riccardi e D’Angelo hanno operato una selezione di 223 documenti sugli oltre 1100 testi, tra lettere e telegrammi indirizzati da Giorgio La Pira a Paolo VI, il quale, a differenza dei suoi predecessori, era un amico quasi coetaneo del Professore. Dall’epistolario, testimonianza diretta di questa amicizia, si evincono i grandi avvenimenti del tempo, grandi figure della cristianità fiorentina come don Milani, iniziative quali i Convegni dei sindaci, il viaggio in Vietnam e nel Cile di Allende. Ma le lettere a Paolo VI, rispetto a quelle a Pio XII e a Giovanni XXIII, hanno il carattere distintivo di messaggi inviati ad un amico, divenuto Papa.
“Anche negli ultimi anni La Pira tiene infatti lo sguardo diretto al futuro, seppure il mondo di domani non sarebbe stato più il suo. Non è facile che una persona anziana non si ripieghi sul presente o sul passato. Ma il Professore cercava sempre di leggere la storia del futuro, cogliendo i segni dei tempi, per usare un’espressione divenuta popolare con il Concilio Vaticano II. Era un vero scrutatore dei segni dei tempi. Era quella che lui stesso chiamava, con un’espressione felice, la storiografia del profondo” ha commentato Andrea Riccardi.