Breve presentazione di Giorgio La Pira ai giovani che si preparano

alla veglia di Preghiera per la festa delle stimmate di San Francesco

Chiusi de La Verna, 16 settembre 2017

 

Care amiche e cari amici,
parlare di La Pira qui a Chiusi, preparandosi a passare una notte di preghiera e cammino verso il santuario de La Verna ci offre un’occasione assolutamente unica, credo, anche per andare al cuore della personalità di La Pira, che stasera vogliamo ricordare a quaranta anni dalla morte. Anzi addirittura questa festa delle stimmate ci permette di fare esperienza della stessa sorgente da cui sono scaturite le scelte, il pensiero e le azioni di Giorgio La Pira.

Le stimmate di Francesco, infatti, rappresentano in maniera visibile una realtà cui siamo chiamati tutti, anzi una realtà che ci appartiene in virtù del nostro battesimo: la partecipazione alla morte del Signore Gesù per risorgere con Lui alla vita nuova. Un fatto non solo simbolico, ma sacramentale e quindi una chiamata concreta, esistenziale, esperienziale, ecclesiale. Una vocazione che interpella la nostra libertà e la nostra capacità di amore.
Vi è un’esperienza profondissima che lega La Pira a La Verna e alle stimmate di Francesco, una esperienza di vita e quindi autenticamente spirituale.
Giuseppe Dossetti ricordando La Pira nel decimo anniversario della morte iniziava il suo discorso con una citazione di san Paolo che riporto per intero:
“Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati: siamo sconvolti, ma non disperati, perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, poiché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti noi che viviamo siamo consegnati alla morte a causa (per amore) di Gesù, perché anche la vita di Gesù sia manifesta nella nostra carne mortale” (1 Cor 4,8-11).
Ebbene, Dossetti, pensando a La Pira commentava questi versetti così:
“credo che nessun altra parola possa meglio rendere conto della persona e della vita di un uomo la cui esperienza globale può e deve essere riassunta, a mio avviso, come esperienza di dolore e di morte del suo io empirico e insieme esperienza in sé della vita e della gioia traboccante del Cristo Risorto”.

(Giuseppe Dossetti, Un Testamento fatto di parole, in “Essere nel mondo il missionario del Signore”. Testimonianze ecclesiali su Giorgio La Pira, Edizioni Polistampa, Firenze, 117).

 La vicenda di La Pira si riassume, quindi in questi due aspetti: nel dolore e nella morte dell’io empirico, nella esperienza della vita e della gioia traboccante del Cristo Risorto. Ecco perché La Pira è legato a La Verna: perché l’esperienza di Francesco e le sue stimmate sono esattamente morte dell’io empirico ed esperienza traboccante di gioia e di vita nell’incontro col Signore Gesù risorto e vivente per sempre, per la vita del Mondo.

Certo, questo linguaggio della morte dell’io empirico ci suona abbastanza incomprensibile, e anzi vorrei dire, per certi versi fortunatamente incomprensibile perché vuol dire che certe “mortificazioni” più legate alla paura del peccato e di un dio cattivo che all’esperienza della gioia di Pasqua ci sono estranee. Ma credo che dietro questo linguaggio arcaico vada ricercata una cosa vera e La Pira ce la può suggerire.

Infatti nella vita di Giorgio La Pira la morte dell’io empirico (come la chiamava Dossetti) e la gioia della Resurrezione si sono declinate come amore, libertà, sete e fame di giustizia. È quindi attraverso queste tre realtà che voglio raccontarvi un po’ Giorgio La Pira: amore, libertà, sete e fame di giustizia.

La libertà (interiore ed esteriore) di La Pira era così evidente che destabilizzava i suoi interlocutori, chiunque fossero, dall’ultimo barbone di Firenze al papa. Ma questa libertà, non facile, che richiede fatica, dolore e morte dell’io empirico, trova la sua radice più profonda e più autentica, lo abbiamo capito dalle parole di Dossetti, nell’amore.

A questo punto ci si aspetterebbe forse il racconto della vita di un santo mistico, di un maestro spirituale, di un uomo interamente dedito alla meditazione, alla preghiera e alla contemplazione e invece ci troviamo davanti a un politico! Non un politico mezzo prete, come è stato accusato, ma un politico politico (nonostante fosse anche un mistico vero): uno che faceva le campagne elettorali per vincere le elezioni e che anzi ha sempre vinto le elezioni cui ha partecipato.

In realtà per La Pira fare politica fu come una conseguenza necessaria della sua scelta di vivere l’Eucarestia insieme ai poveri tutte le domeniche. Un appuntamento costante, settimanale, con i poveri, nell’esperienza dell’Eucarestia come incontro col Cristo, ma anche con il popolo che lui raduna. Un popolo di fratelli e sorelle, un popolo di eguali, un popolo fatto di persone e di volti, per ciascuno dei quali Gesù ha dato se stesso, non importa quanto sfigurati dalla miseria materiale e morale. Cioè l’esperienza dell’Eucarestia non è solo incontro “religioso” e “devoto” con Gesù, ma anche incontro con gli uomini che il Cristo accoglie in tutte le loro fragilità e povertà ma soprattutto nella loro infinità dignità.

La Pira tirava le conseguenze da ciò che vedeva: se il popolo a cui appartengo è questo popolo con cui celebro l’eucarestia e se a questo popolo appartengono tutte le genti, perché tutti gli uomini sono chiamati alla salvezza e l’Eucarestia è il cuore misterioso dell’umanità in cammino, allora non mi posso limitare a dare un po’ di pane la domenica. O meglio, la domenica il pane si dà e di quello buono, perché da qualche parte bisogna pur cominciare, ma poi si deve continuare. Ebbene la politica per La Pira è stato semplicemente questo operare conseguente perché il bene comune (cioè, ai suoi tempi, come ai nostri: la casa, il lavoro, la scuola, l’ospedale) fosse più equamente distribuito fra gli uomini e costituisse la necessaria premessa per la libertà di ciascuno, o meglio per il difficile cammino di liberazione che mette ciascun uomo in condizioni di vivere una vita di relazione non sottoposta al ricatto della miseria per gustare (con la grazia di Dio), la bellezza, la poesia, l’amicizia, la gratuità, la solidità dei rapporti familiari e poi anche la preghiera, la liturgia, l’unione con Dio.

La politica quindi sgorga dall’Eucarestia e si manifesta prima di tutto come fame e sete di giustizia per i poveri, costruzione della città degli uomini in cui si lotta perché una porzione del bene comune sia attribuita a quelli che ne sono stati privati da un sistema economico e sociale ingiusto. La politica, cioè, è prima di tutto mettersi dalla parte dei poveri.

E però La Pira è riuscito a vivere la politica come la beatitudine di colui che ha fame e sete di giustizia, perché è stato un uomo estremamente libero! E’ riuscito cioè a dominare l’istinto di affermazione di se stesso, di controllo degli altri, di sete di potere e di ricchezza (questo ciò che Dossetti chiamava la morte dell’io empirico) di cui ciascun uomo (anche La Pira, san Francesco, ciascuno di noi) fa esperienza.

Solo un uomo sovranamente libero poteva riuscire, una volta diventato Sindaco di Firenze, a requisire le case sfitte per darle agli sfrattati, a occupare le fabbriche insieme agli operai licenziati, a costruire interi quartieri, oltre che a rifare ponti, strade, scuole. Ci sarebbe da parlare a lungo e non è possibile.

Ho pensato però fosse importante parlavi di un La Pira politico in senso stretto, e da dove sgorgasse la politica di La Pira, perché se non si tiene conto di questo non si capisce neanche il La Pira operatore di pace, il La Pira francescano che va disarmato dal Sultano d’Egitto (Nasser) o nel cuore dell’Unione Sovietica atea e persecutrice della Chiesa. Non si capisce neanche il La Pira del dialogo interreligioso. Il La Pira operatore di pace, infatti, è semplicemente il La Pira che ha capito che la pace la si persegue costruendo a livello globale una città degli uomini fondata sulla giustizia e sulla libertà, perché c’è un unico bene comune universale che appartiene all’intera famiglia dei popoli.

Ecco, e concludo, la terrazza de La Verna, da cui La Pira spesso partiva per i suoi viaggi di pace. La Verna, con la sua – scusatemi il parolone – concentrazione cristologica, è una terrazza perché mostra in prospettiva l’orizzonte del dialogo con gli altri, in particolare con le altre religioni (Francesco che va dal sultano). Non un orizzonte folcloristico e nemmeno dottrinario (per far contento qualche teologo), ma l’orizzonte concreto della costruzione della città degli uomini secondo il sogno di Dio, una città giusta e quindi pacifica.

Un’intuizione simile l’ha avuta, ma in questo è stato davvero capito da pochi, Giovanni Paolo II che non a caso volle riunire i rappresentati di tutte le religioni ad Assisi per pregare per la pace. Un’intuizione simile anima papa Francesco!
Per noi, credo, ne derivi un compito: siamo davanti ad una scelta, ad un bivio: possiamo lasciare che i profeti di sventura (quelli che gridano allo scontro di civiltà, come quelli, ancora più numerosi, che credono che debba esistere una sola civiltà) trasformino questo mondo dalle molte religioni in un contrasto continuo dove alimentare le paure e le guerre; possiamo impegnarci perché attraverso il dialogo questo mondo plurireligioso diventi più giusto e quindi più pacifico. La sfida è a misura del nostro vivere quotidiano e delle nostre aspirazioni più grandi e profonde. Io credo che stasera La Pira ci inviti a pensare alle stimmate di Francesco come all’offerta che è data a ciascuno di noi di rinunciare a ciò che ci impedisce di essere giusti, liberi e innamorati e per credere che la forza della Resurrezione di Cristo ha una sua incidenza storica che fiorisce grazie a tutti quelli che credono che avere costantemente sete e fame della giustizia sia una beatitudine cui non rinunciare e un destino grande per cui vale la pena di vivere la vita in pienezza.