Breve scheda biografica di Giuseppe Dossetti
Giuseppe Dosetti nacque a Genova il 13 febbraio 1913 da Luigi, farmacista e da Ines Ligabue. Il padre era piemontese e la madre di Reggio Emilia e si trovavano a Genova solo per il lavoro del padre. Già nel giugno di quell’anno la famiglia si trasferì a Cavriago, un piccolo paese del Reggiano, dove Luigi aveva rilevato la locale farmacia. La madre aveva una fortissima spiritualità che trasmise ai figli, il secondo dei quali, Ermanno, nacque il 16 marzo 1915. I fratelli frequentarono le scuole superiori a Reggio Emilia, dove Dossetti conseguì brillantemente la maturità classica nel 1930. Quegli anni furono formativi ed assai importanti per lo sviluppo della forte personalità di Dossetti. Il clima culturale del liceo era quello della provincia colta italiana sotto il fascismo, con docenti qualificati e di ampi interessi culturali. L’aura dominante era la tipica versione ibrida del fascismo/nazionalismo, che portava a seguire le scansioni più o meno liturgiche imposte dal regime. A dispetto di affermazioni autobiografiche sulla maturazione di un irriducibile antifascismo (cfr Ho imparato a guardare lontano, 2008), esiste documentazione ( cfr Galavotti, 2006) che testimonia una sua partecipazione da giovanissimo a qualche evento della cultura locale fascista. Il fatto è meno contraddittorio di quanto a volte si è sostenuto. Come moltissimi della Sua generazione, nella prima giovinezza egli seguì, sia pure marginalmente, il flusso del conformismo lealista senza farsi coinvolgere in una vera e propria adesione all’ideologia fascista. Più maturava e più cambiava pelle lo stesso fascismo, che dopo il 1936 andò accentuando un certo radicalismo identitario, più Dossetti si allontanava anche da quella adesione superficiale, giungendo alla fine a una severa condanna di quell’ideologia e di quel regime. La politica costituiva a quel tempo un interesse del tutto marginale: la Sua concentrazione riguardava piuttosto il settore della vita spirituale e religiosa. La svolta avvenne nel 1930, quando iniziò il suo intenso impegno nelle file dell’Azione Cattolica, soprattutto sotto la direzione di Dino Torreggiani, una figura carismatica di sacerdote molto impegnato nel sociale ma anche attento a promuovere un impegno di ascesi personale. Con lui Dossetti lavorò lungo tutto il suo percorso universitario all’oratorio S. Rocco, in un’azione che faceva convivere l’attenzione agli emarginati con una ricerca di severa perfezione interiore. In parallelo sviluppò interessi verso lo studio della Bibbia, godendo della presenza a Reggio Emilia di Leone Tondelli, biblista di un certo spessore che fu tra i collaboratori dell’Enciclopedia Italiana. Nell’ottobre 1930 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Bologna. I risultati dei suoi studi universitari furono brillanti, ma fu pochissimo coinvolto nella vita dell’ateneo: per nulla sul versante studentesco, poco anche su quello del contatto con i docenti.
Scelse una tesi in diritto canonico con Arturo Carlo Jemolo, che fu chiamato all’Università di Roma, dove insegnò dal 1° novembre 1933 e dunque per la laurea ebbe come relatore il successore di Jemolo, Cesare Magni. Si laureò con lode il 16 novembre 1934 con la tesi “La violenza nel matrimonio canonico. Svolgimento storico e disciplina vigente: un’indagine sul canone 1087 del Codex Juris Canonici pio-benedettino, che stabilisce l’invalidità del matrimonio celebrato sotto il ricatto della violenza o di un timore grave”. Il testo, molto complesso e già ricco di un ben costruito storico sull’evoluzione della dottrina in materia, divenne fondamentale nella sua produzione di giurista. È probabile che il tema scelto fosse una via per elaborare la questione del primato della sostanza e della coscienza sulla forma istituzionale ovvero il sacramento del matrimonio non è un fatto magico, ma un atto di adesione dell’animo ad una forma, per quanto particolare, di consacrazione. Al tempo stesso è proprio il diritto che, nella formulazione del Codex e prima nella elaborazione dottrinale, conferisce forza sociale a quel primato. L’esperienza di quella ricerca convinse Dossetti a proseguire sulla via degli studi: nel novembre 1934 si presentò ad Agostino Gemelli chiedendo di essere accolto presso l’Università cattolica del Sacro Cuore. La decisione fu forse presa anche con la mediazione del suo amico Sergio Pignedoli.
Gemelli lo accolse come perfezionando in diritto romano sotto la direzione di Biondo Biondi, che gli affidò una ricerca sul senatoconsulto di Nerone. In Cattolica trovò un ambiente intellettuale stimolante e strinse rapporti duraturi con Antonio Amorth, assistente di diritto amministrativo e con Giuseppe Lazzati, assistente al seminario di filologia classica, ma soprattutto dirigente della Gioventù Italiana di Azione Cattolica milanese. In quell’ambiente sembrò esservi il contesto favorevole per un’esperienza per lui molto attraente, quella dei laici consacrati. Gemelli aveva fondato, con Francesco Olgiati, il sodalizio dei Missionari della regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, i cui membri laici, divisi in un ramo maschile ed uno femminile, si consacravano in segreto facendo voto di castità e promessa di povertà, obbedienza ed apostolato. Dossetti vi fu ammesso nel 1936, quando a Reggio Emilia questo tipo di movimenti era in crisi: l’Opera del Divino Amore di Angelo Spadoni fu sciolta per sospetti verso le sue pratiche mistiche; la riorganizzazione dell’universo ecclesiastico che ne seguì mise fine anche all’esperienza di Dino Torreggiani e dell’oratorio di S. Rocco. Nello stesso 1936 Gemelli consentì a Dossetti di passare come assistente volontario alla cattedra di diritto canonico retta da Vincenzo Del Giudice. La nuova collocazione gli permetteva di riprendere il tema della tesi di laurea; fu un lavoro lentissimo, come gli rimproverava continuamente Gemelli: solo nel 1942 approdò ad un’edizione provvisoria come monografia per la libera docenza, che conseguì con lusinghiero giudizio e l’anno seguente come libro per le edizioni di Vita e Pensiero. Non era però quello il centro dell’attività di Dossetti. Non lo soddisfaceva l’esperienza della consacrazione nel sodalizio dei Missionari, che nel 1937-38 visse una crisi interna, quando il responsabile maschile, Giovanni Spagnolli, ruppe il voto di castità per sposare una ragazza dello stesso sodalizio e Gemelli nominò al vertice Luigi Gedda, presidente nazionale della GIAC. Il movimentismo di quest’ultimo a scapito di una solida formazione interiore lo mise in conflitto con Lazzati, presidente della GIAC milanese, che uscì dal sodalizio, presto seguito dallo stesso Dossetti. Nonostante ciò, continuò la collaborazione col rettore della Cattolica, che lo coinvolse in importanti iniziative. Innanzitutto gli fece scrivere, nel 1939, una memoria poi inviata come opera dello stesso Gemelli all’appena eletto papa Pio XII, sulla specificità delle «associazioni di laici consacrati a Dio nel mondo». Si tratta di un contributo doppiamente importante, sia perché fu alla base delle decisioni di Pio XII a favore del riconoscimento degli Istituti secolari, sia perché sviluppò come fattore caratteristico di quel tipo di sodalizi i concetti di donazione e di olocausto che tanta importanza avrebbero avuto nel pensiero di Dossetti. In quella fase maturò il suo giudizio radicalmente negativo sul fascismo.
Nel 1940, anno dell’entrata in guerra dell’Italia, Dossetti vinse il concorso per assistente di ruolo alla cattedra di diritto canonico, ma iniziò anche, sia pure inizialmente in sordina, una riflessione sul significato della guerra che stava sconvolgendo il mondo. Nell’ottobre 1941 un gruppo di persone, moderate da Dossetti, tra le quali Amintore Fanfani, Amorth, Lazzati, il gesuita Carlo Giacon, Sofia Vanni Rovighi, poi Carlo Colombo, occasionalmente Giorgio La Pira e altri, iniziò a radunarsi tutti i venerdì in casa di Umberto Padovani, docente di filosofia alla Cattolica, per riflettere sulla crisi indotta dalla guerra e sulla inevitabilità e sulla auspicabilità, di un regime democratico a cui i cattolici avrebbero dovuto dare il loro apporto convinto. Da queste discussioni Dossetti registrò una serie di posizioni in un documento che andò perduto durante la sua azione nella resistenza. Quel lavoro ottenne una sorta di validazione nel radiomessaggio per il Natale 1942, in cui il pontefice, discutendo su «l’ordine interno degli stati», si espresse in maniera criptica sulla democrazia come migliore forma della vita politica. La necessità di capire gli obiettivi di Pio XII non sfuggì a Gemelli, che mise al lavoro un’equipe della sua università, in cui incluse Dossetti, per un’interpretazione del testo. La tesi di Dossetti, secondo cui Pio XII si apprestava a superare la tradizionale dottrina di Leone XIII della ‘indifferenza’ della Chiesa per le varie forme politiche a favore di un riconoscimento del sistema democratico come il più aderente alla dottrina cattolica, fu riservatamente sottoposta al Papa, la cui sibillina risposta fu che per il momento la questione era sospesa, facendo così intendere che si coglieva nel segno, sia pure in prospettiva, cosa confermata dai successivi pronunciamenti pontifici. Dossetti, che sempre nel 1942 ebbe un primo incarico in diritto ecclesiastico e canonico all’Università di Modena , dovette confrontarsi con l’evoluzione della situazione italiana dopo la caduta del regime fascista e l’armistizio dell’8 settembre 1943. Del movimento di resistenza armata, rapidamente sviluppatosi in Emilia, fecero parte anche giovani cattolici, come fu il caso, nel Modenese, del gruppo capeggiato da Ermanno Gorrieri, che si rivolse a Dossetti come ad un riferimento politico-ideale. In un primo momento Dossetti ritenne che i cattolici, di fronte ad una guerra civile, avrebbero dovuto schierarsi certamente a favore di un regime democratico ma non partecipare alla lotta armata. Presto però si rese conto della difficile pratica di questa scelta e si lasciò coinvolgere, insieme con il fratello Ermanno, nel movimento di resistenza: entrò prima nel Comitato di Liberazione Nazionale della sua Cavriago e poi, nel dicembre 1944, nel CLN provinciale di Reggio Emilia, di cui fu eletto presidente.
La scelta di essere un ‘partigiano disarmato’ derivava semplicemente dalla sua personale posizione di uomo ‘consacrato’ (era terziario francescano), ma dal febbraio 1945 fu in montagna con le formazioni armate partigiane e partecipò ad azioni militari come la battaglia di Ca’ Marastoni (1° aprile 1945) da lui rievocata nel suo discorso alla Costituente del 21 marzo 1947. Nell’azione partigiana Dossetti si impegnò a dare contenuto politico alla presenza cattolica, inquadrandola nel nuovo partito in formazione della Democrazia Cristiana e sottraendola alle tentazioni di un vago movimentismo legato ad impulsi provenienti da alcuni settori del clero; operò inoltre allo scopo di coinvolgere nella direzione della lotta partigiana elementi di comune fiducia in un futuro sviluppo democratico dello Stato espungendo conati ribellistici e giustizialismi giacobini. A conclusione della lotta di liberazione, nell’aprile 1945, fu confermato presidente del CLN di Reggio Emilia, a riprova del prestigio che si era guadagnato nonostante la predominanza politica del Partito Comunista Italiano tra le forze partigiane: in quel ruolo agì per contenere gli eccessi vendicativi presenti in una provincia esacerbata non solo dai lunghi mesi di guerra civile, ma dai ricordi della violenza fascista nel ventennio precedente. Sempre nell’aprile 1945, col secondo decreto di costituzione della Consulta nazionale fu nominato tra i membri di quell’organismo in quota CLN. L’attività di Dossetti alla Consulta fu scarsa, mentre cresceva la considerazione di cui godeva nella DC: il 12-15 maggio 1945 presiedette il convegno nazionale dei gruppi giovanili DC ad Assisi e nel Consiglio nazionale del partito, tenutosi il 3 agosto e che era indirizzato all’apertura nei confronti delle forze del Nord liberato, fu cooptato insieme con Giulio Andreotti come secondo esponente del movimento giovanile. Nella contestuale elezione della nuova direzione fu eletto vicesegretario insieme con Attilio Piccioni e Bernardo Mattarella. Con questa nomina Dossetti si trasferì a Roma per lavorare alla direzione del partito e chiamò a collaborare con lui il suo collega in Cattolica Fanfani, a cui affidò la direzione dell’ufficio Studi Propaganda e Stampa. Intanto, il 1° settembre 1945, partecipò al congresso del CLN Alta Italia al Teatro Lirico di Milano e si pronunciò per lo scioglimento dei CLN come responsabili a livello locale della direzione politica postbellica che doveva tornare ai normali organi dello Stato.
La sua attività nel partito puntò su due obiettivi: fornire alla DC una base ideologica all’altezza delle sfide dei tempi ed indirizzarla verso una scelta repubblicana in vista della decisione sul regime politico che si imponeva con la fine delle ostilità. Su questo punto entrò in contrasto con Alcide De Gasperi, che invece puntava alla scelta cosiddetta ‘agnostica’: il partito non si schierò né per la monarchia né per la repubblica, lasciando libertà di scelta ai suoi elettori. Dossetti interpretò questa tattica come una decisione favorevole alla monarchia ed ostile all’impegno filorepubblicano espresso dalla grande maggioranza dei quadri. Pertanto indirizzò una dura lettera a De Gasperi in cui gli contestava la decisione e si dimise dalla vice-segreteria e dalla direzione del partito. Nonostante questo, al primo congresso nazionale della DC tenutosi il 24-27 aprile 1946, risultò quarto fra gli eletti al Consiglio nazionale. Continuò pertanto la sua propaganda repubblicana in vista del referendum del 2 giugno e delle connesse elezioni per l’Assemblea Costituente, nelle quali fu eletto nel collegio Parma-Modena-Piacenza-Reggio Emilia con 29.793 preferenze. In quella fondamentale assemblea Dossetti giunse rapidamente ad una posizione di guida non conferitagli dal partito, ma guadagnata sul campo sia per la sua abilità nella conduzione dei lavori, sia per la sinergia che stabilì con il suo gruppo di giovani amici: La Pira, Fanfani, Lazzati, Aldo Moro, ben presto soprannominati ‘i professorini’; sia, non da ultimo, per un certo favore con cui alcuni ambienti vaticani lo guardavano in quanto capace di imporsi naturalmente come punto di riferimento in un contesto così difficile. Il contributo di Dossetti e del suo gruppo alla Costituente fu notevole. Si deve a lui l’orientamento del lavoro della Commissione incaricata di preparare la bozza di Costituzione tramite la Commissione dei 75 presieduta da Meuccio Ruini per un lavoro su tre sottocommissioni: sui diritti ed i doveri dei cittadini; sull’organizzazione costituzionale dello Stato; sui diritti ed i doveri in campo economico e sociale. I dossettiani (Dossetti, La Pira, Moro) si concentrarono sulla prima, che in realtà si occupò di disegnare il sistema di valori a cui si ispirava il nuovo testo. Fanfani agì solitario nella terza ottenendovi però una posizione centrale, mentre nella seconda Dossetti stabilì un buon rapporto con il costituzionalista Costantino Mortati, che si fece propugnatore di alcune istanze molto sentite dal gruppo. Accanto agli interventi personali, costanti in sede di prima sottocommissione, Dossetti si dedicò ad un delicato ma importantissimo lavoro di regia degli interventi nel suo gruppo, lasciando una forte impronta sulla scrittura della Carta: l’impostazione personalistica del riconoscimento dei diritti di cittadinanza, la definizione della Repubblica come «fondata sul lavoro», i limiti costituzionali al potere dello Stato, il rilievo dato ai moderni partiti come pilastri del sistema democratico.
Si fece carico del lavoro più delicato: come dar corso alla richiesta perentoria del Vaticano di un riconoscimento costituzionale dei Patti Lateranensi e in specie del Concordato del 1929, aggirando l’ostilità verso un accordo ritenuto strumento di consolidamento del fascismo e dal contenuto illiberale in alcune norme del Concordato. Su questo terreno giocò una partita quasi spericolata. Come oggi è noto, il Vaticano non sentiva ragioni su quel terreno e premeva sui dossettiani, che apparentemente si dichiaravano pronti a prendere in considerazione i ‘suggerimenti’ dei vertici ecclesiastici, ma in realtà li piegavano alle loro intenzioni. In sede di sottocommissione tentò di risolvere la questione inserendo la ricezione degli accordi tra Stato e Chiesa in un vasto quadro di riconoscimento dei rapporti dello Stato con gli altri ordinamenti internazionali. Fu sconfitto sia per l’incomprensione da parte delle sinistre sia per la pronta reazione dei rappresentanti della maggioranza DC, ben contenti di scalzare il giovane professore dalla posizione di interlocutore privilegiato del Vaticano; Dossetti tentò in extremis di interpretare comunque in quel senso il testo che sarebbe diventato l’articolo 7 della Costituzione. Nel già citato discorso in aula del 21 marzo 1947 sostenne che la costituzione ratificava il metodo concordatario e solo come conseguenza relativa il Concordato del 1929; che vi era stata una renovatio di quel patto originario perché ora erano diversi i contraenti, il primo essendo il nuovo Stato democratico, il secondo una Chiesa che si era scoperta teologicamente ‘Chiesa del verbo incarnato’; che quel passaggio era necessario perché i cattolici, rimasti a lungo ai margini della nuova Italia per la questione romana, potessero ora a pieno titolo essere protagonisti della ricostruzione democratica. Nessuna di questi tesi ebbe molta fortuna sul momento, ma tutte sono importanti per capire l’evoluzione del pensiero dossettiano. Dossetti aveva infatti ripreso il cammino sul tema della presenza dei cattolici nella società civile. Nel settembre del 1946 fondò un movimento dal nome significativo di Civitas Humana, una sorta di secolarizzazione del sistema delle associazioni dei laici consacrati. Si trattava infatti di formare una nuova classe dirigente di cattolici impegnati a partire da un assioma che sarebbe diventato fondamentale nel lungo percorso di Dossetti: «ad ogni grande rinnovamento della struttura di una civiltà corrisponde e presiede deve corrispondere e presiedere un rinnovamento della Chiesa» (cfr Scritti politici, 1995, p. 311). Per rispondere alla domanda che individuava nella crisi di civiltà culminata nella seconda guerra mondiale, era necessario che il cattolicesimo desse una testimonianza rigorosa e senza compromessi della fede nella necessità di un radicale rinnovamento. Ciò lo portava inevitabilmente in rotta di collisione col progetto politico di De Gasperi, che nella DC vedeva non un movimento di testimonianza del radicalismo evangelico, ma un partito politico il cui fine era la conquista della maggioranza di governo per la gestione di una difficile transizione che andava realizzata tenendo conto della normalità delle regole della politica. Così il 4 settembre 1946, con una lettera a De Gasperi, Dossetti si dimise nuovamente dal Consiglio nazionale. In quel momento era quasi interamente assorbito dai lavori della Costituente a cui si dedicava con tutto il suo gruppo che nel frattempo aveva trovato una sede comune in via della Chiesa nuova 14 presso le sorelle Portoghesi, divenuta nota come ‘comunità del porcellino’. Tuttavia il lavoro alla Costituente andava verso la conclusione, cosa che rilanciava il problema dell’azione nel partito. A questo fine Dossetti e i suoi amici fondarono una rivista quindicinale di presenza intellettuale che, scartato l’ambizioso ma criptico titolo di Metodo nuovo, assunse la testata Cronache sociali con il primo numero, del 5 maggio 1947. La rivista voleva rivitalizzare la presenza politica dei cattolici in un’ottica diversa da quella del partito guidato da De Gasperi. Ne è testimonianza il celebre articolo “Fine del tripartito?” pubblicato sul secondo numero a commento della rottura dell’alleanza governativa fra la DC e le Sinistre: criticando duramente l’ambiguità politica del PCI e dunque sostenendo l’impossibilità di proseguire in quella collaborazione, Dossetti auspicava che la DC si assumesse da sola l’eredità degli orientamenti politici che avevano animato l’esperimento dell’alleanza fra i grandi partiti popolari. De Gasperi, al contrario, puntava ad avviare un’alleanza con i partiti centristi, eredi sostanzialmente degli equilibri espressi dalla classe dirigente prefascista. Nonostante la presa di distanza dalla dirigenza della DC, nel II Congresso nazionale del partito che si svolse a Napoli, 15-19 novembre 1947, Dossetti fu rieletto in Consiglio nazionale e poi nella Direzione, tuttavia l’esperienza politica, concludendosi ormai la fase della Costituente, non era più al centro della sua attenzione. Nel febbraio 1948 chiese alla Segreteria di Stato in Vaticano, con un documento scritto, di essere esentato dalla candidatura alle successive elezioni politiche. Pochi giorni dopo Pio XII gli fece comunicare dal sostituto presso la Segreteria di Stato Angelo Dell’Acqua il desiderio che continuasse la sua attività politica. Accettata la candidatura nelle liste della DC, nella tornata del 18 aprile 1948 fu eletto con 44.677 voti di preferenza. Tornò a battersi per la sua idea della missione del partito cattolico: in forza della chiara maggioranza allora ricevuta avrebbe dovuto governare da solo per realizzare un programma radicalmente innovatore senza sottostare ai compromessi imposti dai partiti moderati. Ciò lo riportò in rotta di collisione con De Gasperi, tanto che non solo non ne sostenne il candidato alla presidenza della Repubblica , ma fu per tanti versi il deus ex machina nel determinare l’elezione a quella carica di Luigi Einaudi, tagliando fuori dalle trattative il PCI. Un altro punto di rottura con la politica del presidente del Consiglio fu nel dibattito sull’adesione al Patto atlantico: Dossetti riteneva che l’Italia dovesse star fuori dallo schieramento bipolare uscito dalla guerra per poter operare come ponte fra Ovest ed Est, ma finì sconfitto ed isolato nel partito. Nel marzo 1949 in sede di gruppi parlamentari votò contro, con altri membri del suo gruppo, ma agli inizi di aprile nel voto in aula si espresse, con i suoi, a favore della ratifica. Si giunse così al momento culminante di verifica della proposta politica dossettiana, che ora si muoveva verso l’affermazione del ‘partito programmatico’, contro le visioni dell’unità confessionale a tutti i costi e del ‘partito nazionale’ sulla base del cattolicesimo come collante culturale, visione che era in fondo quella di De Gasperi. Nel III Congresso nazionale del partito tenutosi a Venezia il 2-6 giugno 1949, Dossetti diede battaglia per ottenere una pronuncia a favore del ‘terzo tempo sociale’, cioè di un vasto e radicale progetto di riforme. Ottenne una piccola affermazione personale, ma politicamente il congresso fu vinto da De Gasperi, che finse di accettare una mediazione con i dossettiani, ma li divise attirando Fanfani nell’area governativa e lasciando Dossetti nel limbo di un suo incerto ruolo di guida spirituale sulle correnti progressiste del movimento cattolico. Dossetti appariva emarginato; lo richiamò sulla scena politica la grave crisi sociale tra la fine del 1949 e l’inizio del 1950, che comportò una forte presenza ideologica capace di mobilitare la politica nazionale degasperiana. Era l’esigenza di dare risposta a quella che La Pira definì in un famoso articolo “L’attesa della povera gente” ( cfr Cronache sociali, 15 aprile 1950): una politica di impronta in senso lato keynesiana, che superasse l’egemonia esercitata dagli economisti liberali devoti al monetarismo classico. Nel Consiglio nazionale del 16-19 aprile 1950 Dossetti fu eletto vicesegretario accanto al nuovo segretario, Guido Gonella, anche con una certa apertura di De Gasperi che plaudì, non è chiaro quanto strumentalmente, alla sua forza di animatore. In quella nuova fase Dossetti si impegnò con passione sia per sostenere un vasto programma di riforme sia per rianimare il partito come centro di elaborazione politica e non semplice supporto organizzativo del consenso al governo. Il secondo punto riaprì presto la frattura con De Gasperi, mentre la situazione internazionale si inaspriva con lo scoppio, nel giugno 1950, della guerra di Corea e sul piano interno al partito la corrente maggioritaria degasperiana si organizzava per emarginare la componente dossettiana. Dossetti tornò a essere preso dalle sue riflessioni di natura religiosa su quella che gli appariva nuovamente come una crisi storica decisiva.
Nell’ottobre 1950 era tornato ad una più intensa presenza nella vita consacrata, entrando nell’Istituto secolare dei Milites Christi fondato da Lazzati. Fra il marzo e l’aprile 1951 si aprì uno scontro interno alla DC, che culminò nel Consiglio nazionale di Grottaferrata tenutosi dal 29 giugno al 3 luglio, dove avvenne un primo confronto, non ancora risolutivo, fra le correnti. Il 12 luglio il gruppo parlamentare votò una censura alla linea economica del ministro Giuseppe Pella, dalla quale derivò una crisi di governo. Dal 4 al 5 agosto e dal 1° al 2 settembre 1951 Dossetti raccolse al Castello di Rossena, presso Reggio Emilia, un ampio gruppo di persone con le quali aveva condiviso l’avventura politica e le prospettive culturali che l’avevano ispirata e annunciò la decisione di ritirarsi dalla vita politica. La spiegazione insisteva, ancora una volta, sulla crisi storica che si viveva e sull’inadeguatezza degli strumenti politici tradizionali per rispondervi, a cominciare dal partito. Su queste premesse si dimise dal Consiglio nazionale e dalla direzione della DC. Nel luglio 1952 seguirono le dimissioni dal Parlamento. Il 12 novembre 1951 aveva pronunciato al convegno dell’Unione dei giuristi cattolici a Camaldoli un impegnativo discorso su “Funzioni e ordinamento dello Stato moderno, una definizione delle sue riflessioni sul contesto dell’azione politica nel mondo contemporaneo”. Da quel momento Dossetti lavorò alla creazione di un’istituzione dedicata alla ricerca storico-teologica: sullo sfondo, come si precisò sempre meglio, il problema di quella riforma della Chiesa che fin dal 1946 aveva giudicato incapace di affrontare la sfida della crisi storica. A questo scopo nell’autunno del 1952 fondò a Bologna, nella sede in via S. Vitale 114, un centro di documentazione; la scelta della città fu dovuta all’insediamento, avvenuto a giugno, del vescovo Giacomo Lercaro, con cui aveva già stabilito un rapporto. Attorno al ‘Centro’ Dossetti creò un gruppo di giovani ricercatori, sempre sotto la spinta del discorso su quella che aveva chiamato «la catastrofe civile e la crisi della Chiesa»: aprì un filone di ricerca sui concili e in particolare sul Concilio di Trento, prendendo contatti, dal dicembre 1954 ,con Delio Cantimori e soprattutto con Hubert Jedin, la cui tesi dell’età del Concilio di Trento come ‘riforma cattolica’ piuttosto che come ‘controriforma’ si adattava bene all’interpretazione dossettiana del momento storico. Da quell’impegno Dossetti fu presto distratto dalla decisione del cardinale Lercaro di volerlo candidato, nel 1956, a sindaco di Bologna. Non riteneva fondata la convinzione del cardinale, secondo il quale Bologna era una città favorevole al PCI prevalentemente a causa dell’assenza di una guida cattolica aperta ai problemi sociali e carismatica, ma accettò la candidatura per obbedienza.
Accolto dalla DC bolognese come capolista, impostò la sua azione su due direttrici: un programma nettamente politico-riformatore, steso con un gruppo di tecnici e pubblicato come Libro bianco su Bologna; una campagna elettorale con una connotazione nettamente di sinistra, attaccando il PCI come partito in fondo moderato, partito rosa più che rosso e rifiutando un qualsiasi coordinamento con i partiti anticomunisti del centro-destra. Il risultato elettorale confermò la sua analisi: fu sconfitto e la maggioranza rimase nelle mani del PCI e del sindaco Giuseppe Dozza. A dispetto delle dichiarazioni di uno stizzito Lercaro, secondo il quale Bologna era corsa «a sbattezzarsi», egli aveva raggiunto in un certo senso il suo obiettivo politico: dimostrare che era finita l’era della cristianità, che i cattolici erano ormai minoranza e che dunque non aveva più senso parlare di una presenza politica in senso proprio cattolica e determinante nel quadro italiano. Si chiudeva così la fase del Dossetti politico e si apriva quella del riformatore cristiano. Già alla fine del 1955 aveva fondato una sua comunità monastica, la Piccola famiglia dell’Annunziata ed aveva manifestato il desiderio di essere ordinato prete. Per sottolineare la radicalità della svolta lasciò, alla fine del 1956, il ruolo di professore universitario e, il 25 marzo 1958, il Consiglio comunale di Bologna, ai lavori del quale aveva nel frattempo regolarmente partecipato con impegno. Il 6 gennaio 1959 fu ordinato sacerdote. Quasi contemporaneamente, il 25 gennaio 1959, Giovanni XXIII indisse il Concilio ecumenico: Dossetti mise al lavoro un gruppo di studiosi per produrre una raccolta dei decreti dei concili: uscì in volume col titolo Conciliorum Oecumenicorum Decreta e fu consegnato in udienza al pontefice, il 2 ottobre 1962, da Dossetti stesso e dai curatori Giuseppe Alberigo, Paolo Prodi, Boris Ulianich, Jedin, Claudio Leonardi, Perikles P. Joannou. Dal 31 agosto 1961 il Centro di documentazione di Dossetti si strutturò come Istituto per le scienze religiose, emanazione dell’Associazione per lo sviluppo delle scienze religiose in Italia di cui Dossetti assunse la presidenza. Il lavoro di animazione della fase preparatoria del Concilio era stato intenso: Dossetti aveva organizzato a Bologna presso il suo istituto incontri e confronti con molti dei grandi protagonisti della cultura teologica riformatrice, cooperando anche con il cardinale Lercaro alla preparazione della grande assise; tuttavia, quando il Concilio si aprì l’11 ottobre 1962, egli non fu direttamente coinvolto. Solo il 5 novembre 1962 il vescovo di Bologna lo chiamò a Roma per lavorare come suo perito esterno. Dall’estate del 1963 iniziò un coinvolgimento più intenso. Il Concilio era in affanno per una farraginosa organizzazione dei lavori e per i contrasti fra la Curia romana ed i padri conciliari riformatori: la Curia riteneva che il Concilio dovesse semplicemente ratificare i documenti che da essa provenivano. A Dossetti, data la sua esperienza di costituente, si chiese l’elaborazione di un regolamento dei lavori dell’assemblea: nel testo che preparò, la direzione dei lavori era affidata a quattro moderatori . Paolo VI approvò l’impianto e Dossetti fu chiamato come segretario dei quattro moderatori senza tuttavia essere nominato perito conciliare sebbene vi fossero oltre 600 persone che si fregiavano di quel titolo. Il 30 ottobre 1963 ottenne dai moderatori e, non senza fatica, da Paolo VI che l’assemblea si esprimesse preventivamente su alcuni nodi ecclesiologici, come la sacramentalità della consacrazione episcopale, la collegialità, il diaconato. Il 4 dicembre 1963 il Papa licenziò solennemente il decreto De Liturgia in cui sanciva «unitamente ai padri conciliari quanto è stato sinodalmente approvato», utilizzando la formula, elaborata da Dossetti con la collaborazione di Jedin e di Carlo Colombo, che sembra segnare la vittoria della tradizione conciliarista contro il centralismo curiale romano.
L’impegno nell’officina del Concilio proseguì intensamente con il consueto lavoro, più o meno dietro le quinte, a sostegno delle battaglie più difficili, come quella sulle relazioni fra la Chiesa ed il popolo ebraico o la preparazione, nel febbraio 1965, del discorso del vescovo Luigi Bettazzi per la canonizzazione in Concilio di Giovanni XXIII . Intanto il 30 settembre 1964 Dossetti era stato nominato formalmente perito del Concilio. Chiusasi la vicenda conciliare, l’8 dicembre 1965, rientrò a Bologna per collaborare col vescovo alla riorganizzazione della diocesi secondo i dettami conciliari. A questo fine il 2 gennaio 1967 Lercaro lo nominò provicario della diocesi: avrebbe voluto conferirgli un diritto di successione all’episcopato, ma il Vaticano si oppose. Il 6 gennaio 1968, nel discorso per la celebrazione della prima giornata della pace indetta da Paolo VI, Lercaro condannò duramente i bombardamenti americani sul Nord Vietnam, cosa che irritò il pontefice, convinto che ciò potesse far naufragare un confuso piano di mediazione vaticana nel conflitto. In conseguenza, il 2 febbraio Lercaro fu rimosso dalla diocesi di Bologna. L’11 febbraio Dossetti abbandonò tutti gli incarichi diocesani e iniziò un’ulteriore fase della sua esperienza, concentrandosi totalmente sul problema della vita monastica. Nell’estate del 1972 si stabilì a Gerico, nei territori occupati da Israele, con un gruppo di fratelli della sua comunità. Questa scelta di una migrazione in Oriente alla ricerca delle radici profonde del cristianesimo, da indagarsi anche nella mistica di altre religioni orientali, sembrò un addio definitivo all’Italia, ma in realtà i rapporti non si interruppero mai. Una serie di avvenimenti riportò all’attenzione la sua vicenda e iniziarono a uscire studi sulla sua esperienza politica. Frutto di questa nuova attenzione pubblica fu, il 22 febbraio 1986, il conferimento a Dossetti dell’‘Archiginnasio d’Oro’ da parte del Comune di Bologna, in occasione del quale pronunciò un importante discorso autobiografico. Gli eventi internazionali e nazionali lo riportarono ad esercitare quella lettura profetica della storia (antistoricistica) che aveva connotato tutta la sua presenza intellettuale. Le elezioni del marzo 1994, con la vittoria di una nuova maggioranza politica che faceva perno su Silvio Berlusconi e le ventilate proposte di una più o meno radicale revisione dei principi fondanti della Costituzione, allarmarono Dossetti, che rispondendo il 16 aprile ad un invito del sindaco di Bologna, Walter Vitali, a partecipare alla celebrazione della ricorrenza del 25 aprile, propose la costituzione di «comitati impegnati e organicamente collegati per una difesa dei valori fondamentali espressi dalla nostra Costituzione» . L’invito fu accolto e Dossetti impegnò gli ultimi due anni della sua vita in ripetuti interventi pubblici contro l’ipotesi di una riscrittura radicale della Carta costituzionale, che ammetteva potesse essere rivista in alcune parti, ma respingendo quella che definiva una «mitologia sostitutiva» . Morì a Monteveglio (Bologna) il 15 dicembre 1996.
Civita Castellana, 29 ottobre 2013 f.to Emilio Corteselli
COMITATO SCIENTIFICO: Presidente Prof. Giovanni Bianco; Prof. Giorgio Grasso; Prof. Angelo Barba; Prof. Aurelio Rizzacasa; Prof. Giovanni Galloni (membro onorario).
N.B. La nota biografica di cui sopra prende ampiamente spunto da uno scritto di Paolo Pombeni, presente sul sito della Università di Bologna.
“L’istruzione e la formazione sono le armi più potenti
che si possono utilizzare per cambiare il mondo” (Nelson Mandela)
Durante quest’anno l’Opera, con la collaborazione della Fondazione La Pira, ha iniziato con alcuni giovani un percorso di formazione e approfondimento sulla politica. Nel testo che segue ne illustriamo le motivazioni e le modalità di svolgimento.
Lo scenario politico e sociale contemporaneo non è certamente rassicurante, ma è proprio in questi momenti che è necessario mettersi di nuovo in gioco: le crisi sono portatrici di cambiamento e occorre raccogliere la sfida per vivere questo tempo. Come giovani impegnati nell’Opera per la Gioventù “Giorgio La Pira”, in numerose occasioni abbiamo avuto modo di riflettere sul nostro essere cittadini in questo tempo, abbiamo incontrato esponenti politici, alcuni di noi hanno anche provato a impegnarsi in prima persona sul territorio e nelle istituzioni, e in ogni caso l’argomento è stato sempre al centro delle nostre discussioni. Lo scorso anno, a seguito di un incontro con Mario Primicerio, presidente della Fondazione La Pira, in cui è emersa la nostra completa sfiducia per i partiti e i politici del nostro tempo, ci siamo convinti che la politica dovrebbe e potrebbe essere ben diversa da quella che abbiamo visto negli ultimi vent’anni.
Nel nostro paese abbiamo un gran bisogno di una politica che si faccia servizio, cura dell’altro e della comunità. Ma la politica può essere veramente cura e servizio? Crediamo che a questo riguardo siano illuminanti le parole che nel 1951 Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, pronunciò in consiglio comunale in conseguenza anche alla vicenda del nuovo Pignone disse: “io ve lo dichiaro con fermezza fraterna ma decisa: voi avete nei miei confronti un solo diritto: quello di negarmi la fiducia! Ma non avete il diritto di dirmi: signor sindaco non si interessi alle creature senza lavoro (licenziati o disoccupati), senza casa (sfrattati), senza assistenza (vecchi, malati, bambini, ecc.) E’ il mio dovere fondamentale questo: dovere che non ammette discriminazioni”.
Questo il senso ed il motivo che ci ha spinto a pensare un percorso specifico di formazione al servizio in politica. Questo percorso, che è stato strutturato in forma seminariale, è iniziato nella scorsa primavera con incontri a cadenza mensile.
La nostra associazione può essere un centro di orientamento per i giovani che come cittadini si domandano cosa possono fare per migliorare il tessuto sociale in cui vivono; tuttavia la paura che abbiamo è di parlare di politica solo in maniera superficiale, senza andare a fondo nello studio dei temi, secondo soltanto la contingenza, le fazioni di partito e opinioni dettate da preconcetti. Riteniamo necessari il rigore e la costanza della formazione, per favorire la comprensione e l’apprendimento di un metodo valido, efficace fondato sullo studio, il dialogo e il confronto.
Gli elementi che abbiamo posto alla base del nostro metodo di lavoro sono due: studio personale di testi e successivo confronto sui temi affrontati. L’obiettivo è duplice: da una parte creare un percorso di formazione aperto a diversi contenuti, che possa fornire elementi di riflessione e conoscenza rispetto ad argomenti complessi cui troppo spesso siamo abituati ad avvicinarci con superficialità; dall’altra permettere ad ognuno di esprimersi liberamente e manifestare le proprie idee. I quattro incontri si sono susseguiti da marzo a giugno, sotto l’attenta guida di Mario Primicerio e i giovani impegnati direttamente sono stati circa venti.
Per elaborare proposte nuove serve la creatività di una formazione basata sulla riflessione e sul confronto, non sulla omogeneizzazione delle opinioni: per riprendere Plutarco, “la mente non è un vaso da riempire ma un fuoco da accendere”. In un contesto culturale poco luminoso, è necessario trovare buoni compagni di viaggio che con noi comincino a sfregare pietre per accendere il fuoco di un dibattito profondo e fruttuoso. Come cristiani, portare chiarezza, impegno e luce nel mondo è un vero e proprio dovere. Il seminario si innesta quindi come comunità di sostegno e confronto. L’Opera ha, con un percorso del genere, la speranza e l’ambizione di essere un centro di orientamento e discernimento per chi si avvicina a questo impegno ed a questa vocazione. E’ necessario quindi ripartire dalla formazione: mentre dalla politica si fugge perché “tanto è una cosa sporca”, noi guardiamo con la forza della speranza al futuro, e prendiamo la rincorsa, rilanciamo puntando sulla formazione.
Giulia Fantechi
Giacomo Poggiali
La pace è sempre stato uno dei temi più cari per Giorgio La Pira. Questa sua vocazione è fatta propria dall’Opera attraverso la preghiera, la speranza e l’essere operatore di pace. Tutto questo si concretizza anche attraverso il Campo Internazionale, “esperimento” che cerca di portare semi di pace a persone che vivono in parti del modo in conflitto, dove questa sembra dimenticata.
Cimone, tre giorni di primavera. Il sabato sera siamo tutti in chiesa, in silenzio, davanti al Santissimo. Le parole della Pacem in terris, la prima enciclica diretta a tutti gli uomini di buona volontà, ci accompagnano in questa Adorazione dedicata alla pace: “La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio” (Pacem in terris §1). L’Adorazione si conclude mostrando una cartina del mondo. Tanti piccoli pezzettini di cartoncino rosso, posti in alcune aree della mappa, ci indicano luoghi dove la pace non c’è, dove la guerra va avanti da anni, spesso nella più grande indifferenza da parte di tutti. Un pezzettino rosso che rappresenta milioni di persone che anelano alla pace, ma che non riescono a raggiungerla. Gli occhi scorrono sul quel rosso che macchia il mondo e mi chiedo cosa posso fare in prima persona perché tutto questo possa cambiare. Come posso portare la pace nel mondo se spesso non riesco a portarla neanche intorno a me, nella mia vita di ogni giorno, alle persone che mi sono vicine?
La risposta alla domanda è suggerita dall’Adorazione stessa: la preghiera. Nella in Pacem in terris c’è una spinta alla preghiera perché la pace possa realizzarsi: “Affinché l’umana società sia uno specchio il più fedele possibile del regno di Dio, è necessario l’aiuto dall’alto.” (§90). Non a caso Giorgio La Pira, prima di partire per i suoi numerosi viaggi in terre di conflitto, chiedeva alle suore di clausura di accompagnarlo e sostenerlo con la preghiera, convinto che fosse lo strumento più potente per avvicinare le nazioni: “Abbiamo, cioè, oggi come ieri, cercato di costruire un ponte di preghiera e di riflessione storica e politica fra le rive avverse che separano ancor tanto gravemente i popoli fratelli (la famiglia di Abramo!) del Medio Oriente” (da Note di Cultura n. 36, febbraio 1968). Non solo La Pira pregava e chiedeva di pregare per la pace: era lui stesso un operatore di pace, come ha dimostrato durante i suoi viaggi e ogni volta che a Firenze incontrava e riuniva i rappresentanti degli Stati e delle diverse confessioni religiose. In riferimento alle Beatitudini, La Pira sottolineava che Gesù dice “beati gli operatori di pace” (Mt 5, 9) e non semplicemente “coloro che amano la pace”: è semplice amare la pace, molto più difficile è impegnarsi concretamente per promuoverla e realizzarla.
Le domande iniziali su come poter fare qualcosa per la pace trovano poi una risposta pensando a come l’Opera ha raccolto la vocazione indicata dal Professore: il Campo Internazionale. Quei dieci giorni vissuti all’ombra della pineta della Vela, che a volte rischiamo di dare quasi per scontati come si fa con le abitudini o con ciò che ci sembra non abbia grande importanza, sono come un esperimento di pace. Un esperimento che si fa portando un centinaio di persone, di cui la maggior parte sono italiani, insieme a russi, israeliani, palestinesi e africani, in un villaggio sulla costa toscana e consentendo loro di vivere insieme, condividere spazi, tempo, idee ed emozioni. Una condivisione non banale per chi, nella vita di tutti giorni, non ha modo o magari non vuole neanche incontrare chi considera un suo nemico, come succede per gli israeliani e i palestinesi; o chi, pur vivendo nello stesso paese, ha un’origine sociale totalmente diversa, come i giovani russi.
È nella condivisione, nell’incontro che si sperimenta la pace: è naturale, spontanea quando si sta bene insieme, quando si gioca la sera, si ride a tavola o si chiacchiera sulla spiaggia. È pace allo stesso modo, anche se apparentemente non sembra, quando inizia una discussione, quando ci si scontra su visioni opposte, quando nasce un conflitto ma si riesce a superarlo ascoltandosi e con l’aiuto di chi è vicino. Non sempre gli esperimenti riescono. A volte si ha l’impressione che il campo non abbia fatto “vivere” la pace a qualcuno dei partecipanti, che la situazione vissuta ogni giorno porti a guardare cinicamente ogni tentativo di cambiare qualcosa. Davanti ad ogni esperimento (che sembra) fallito non resta che tenersi stretti alla speranza. Alla speranza che i semi di pace gettati al campo, prima o dopo, germoglino, alla speranza che si possa comunque sperimentare la pace in altri modi.
Ogni anno, quando iniziamo questo esperimento, sappiamo che non modificheremo equilibri politici e che non porteremo a firme di trattati. Non è questo il nostro scopo. Essere operatori di pace al Campo Internazionale vuol dire prima di tutto dare la possibilità di riuscire a riconoscere l’altro come persona, una persona come me, con le sue paure e le sue ragioni, spesso diverse e a volte inaspettatamente uguali alle mie. Una persona con un nome e una storia, non un nemico informe senza volto. Vuol dire provare a realizzare la speranza contenuta nella Pacem in terris: “È lecito tuttavia sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni” (§67).
L’enciclica, rivolgendosi a tutti gli uomini di buona volontà, esprime un invito specifico a tutti quanti, ai laici cristiani per primi, ad impegnarsi per il raggiungimento della pace. Il contributo che ognuno può dare per la pace richiede quindi di pregare, sperare e operare, proprio come l’invocazione della Preghiera per la pace (preghiera che, cantata durante la Messa al Campo Internazionale, dove sulle panche sono seduti vicini Oriente e Occidente, fa venire i brividi). Giorgio La Pira pensava in grande, la sua speranza lo portava a immaginare e ad operare per un futuro di pace tra i popoli che appariva contrario ad ogni evidenza: “Possiamo e dobbiamo dirlo: noi abbiamo trovato in tutti un desiderio sincero e vivo di pace: ciò che divide è soltanto il «muro della diffidenza»; bisogna abbattere questo muro, ecco tutto: e se questo muro cade, la pace è fatta! Ci vogliono atti che aprano le porte alla fiducia ed alla speranza! Noi riportiamo, malgrado le apparenze contrarie, questa precisa impressione dal nostro viaggio e dai nostri colloqui: ‘che la pace è ad un metro’” (da Note di Cultura n. 36, febbraio 1968 – dal viaggio del ’67). L’Opera, raccogliendo e cercando di portare avanti questa eredità, dà la possibilità di farlo anche a noi: partecipare al Campo Internazionale ci chiama ad essere operatori di pace e, soprattutto, ci dà la speranza di poter vedere un po’ meno “rosse” alcune delle macchie sulla cartina del mondo.
Valentina Brocchi
La Fondazione La Pira invita tutte le associazioni, tutti i circoli, i gruppi intitolati a Giorgio La Pira ad una giornata di riflessione e di condivisione delle esperienze di ciascuno. Nel segno di San Francesco, vi proponiamo di incontrarci a Firenze nei giorni 4 e 5 ottobre presso l’Aula Magna dell’Istituto Salesiano, via del Ghirlandaio 40. L’incontro vuole essere l’occasione per una riflessione su un impegno comune e per una condivisione delle esperienze di ciascuno.
Il programma è il seguente:
Venerdì 4 ottobre (Festa di San Francesco d’Assisi)
dalle ore 15 – arrivi e registrazione presso la Fondazione La Pira, via La Pira, 5.
Dalle ore 16 – possibilità di visita alla Basilica di San Marco e alla tomba di Giorgio La Pira.
Possibilità di visite (guidate da esperti di Ars et Fides) del complesso monumentale di Santa Croce e del cantiere del restauro della Cappella Maggiore. Possibilità di partecipare (ore 18), nella Basilica, alla solenne celebrazione eucaristica per la festa di San Francesco d’Assisi.
Sabato 5 ottobre – Aula Magna dell’Istituto Salesiano, via del Ghirlandaio 40
dalle ore 8.30 – registrazione
ore 9.30 – Introduzione, saluti, presentazione
ore 10 – “La spiritualità francescana di Giorgio La Pira” – M. Badalamenti
ore 11 – “L’azione di La Pira per la pace (a 50 anni dalla Pacem in Terris)” – B. Bagnato
ore 12,30 – Pranzo
ore 14 – “La Pira, oggi” – Discussione introdotta da M. Primicerio
ore 17 – Conclusioni
Il pranzo del 5 ottobre sarà offerto a tutti i partecipanti, all’interno dello stesso complesso. La Fondazione può offrire a quanti lo richiedono l’ospitalità per la notte tra il 4 e il 5 ottobre. Si tratterà di una ospitalità di tipo “francescano”; a coloro che desiderano un maggior comfort potranno essere fornite informazioni su alberghi in zona. Tutti i circoli, gruppi ecc. sono pregati di far pervenire in anticipo una breve descrizione della propria attività (non più di una cartella, indicativamente; se possibile in formato “Word”). Le informazioni saranno raccolte, riprodotte e distribuite tra i partecipanti.
Coloro che arriveranno il 4 (prima delle ore 19.30) sono pregati di registrarsi presso la sede della Fondazione (via G. La Pira, 5).
Coloro che hanno chiesto la nostra ospitalità (soprattutto per chi arriva da fuori Regione, comunicandolo prima) saranno alloggiati presso l’Istituto Salesiano, via del Ghirlandaio 40.
Naturalmente l’incontro è aperto anche a tutti gli interessati, anche non facenti parte di un’associazione o un gruppo intitolato a La Pira. Vi preghiamo di farci sapere se intendete partecipare e, in tal caso, quanti di voi saranno presenti. Potete rispondere attraverso tutti i canali, compreso ovviamente l’indirizzo e-mail fondazionelapira@gmail.com.
L’associazione culturale Toscana 2013, in collaborazione con il Comune e il Quartiere 4 di Firenze, presenta il premio letterario e artistico in memoria di Giorgio La Pira “Come rondini verso la primavera”. Nato come invito alle giovani generazioni a volgere un istante lo sguardo alla città di Firenze e al futuro attraverso gli occhiali del Professore, il premio ha lo scopo di conoscere e diffondere l’idea e la visione di bellezza, diritto e speranza degli studenti fiorentini e non solo.
Il concorso si articola in quattro diverse sezioni:
Sezione A
“La mia dolce, misurata e armoniosa Firenze, tesoro di grazia, bellezza e speranza”: così Giorgio La Pira si riferiva alla nostra città; e tu come la vedi? Disegna il tuo “castello dai mille merletti”, colora la Firenze che la tua mente, il tuo cuore e la tua fantasia ti suggeriscono! Sulla traccia degli elaborati dei bambini della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, si darà vita nuova alla facciata dell’Oratorio Giorgio La Pira – Sala Teatro La Fiaba all’Isolotto (Fi).
Sezione B
Per Giorgio La Pira bisogna fare “astronavi invece che missili”, seguire la strada della fioritura della terra e della civiltà, della conversione delle spese per gli armamenti in investimenti per l’occupazione e la cultura! Rifletti sull’attualità di questo messaggio oggi (attraverso un saggio o un racconto di fantasia in tema). Per i ragazzi della scuola secondaria inferiore.
Sezione C
Il contributo di Giorgio La Pira è stato determinante nell’elaborazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione, che sanciscono la salvaguardia della dignità della persona. Secondo te i diritti umani esistono a prescindere dallo Stato? Fai degli esempi pratici per spiegare che cosa significa avere dei “diritti inviolabili”. Per gli studenti della scuola secondaria superiore.
Sezione D
“Le generazioni nuove sono come gli uccelli migratori, come le rondini: sentono il tempo, sentono la stagione: quando viene la primavera essi si muovono ordinatamente, sospinti da un invincibile istinto vitale – che indica loro la rotta e i porti! – verso la terra ove la primavera è in fiore!”. Questa è una felice espressione di speranza di Giorgio La Pira. E la tua idea di speranza qual è? Rispondi con una fotografia corredata di titolo.
Regolamento
Art.1 – Si partecipa con foto, disegni e/o elaborati inediti in lingua italiana (il titolo della fotografia può essere anche in un’altra lingua). Le opere possono essere anche frutto di una collaborazione collettiva e le fotografie possono essere anche elaborate digitalmente.
Art. 2 – Per la partecipazione è richiesto l’invio di: un disegno in formato A3 per la sezione A; un elaborato in forma di racconto o saggio per le sezioni B e C; la realizzazione di una fotografia con titolo per la sezione D.
Art. 3 – Le fotografie e gli elaborati scritti dovranno essere inviati via e-mail all’indirizzo info@premiolapira.it. I componimenti possono essere al massimo di 25000 caratteri (spazi inclusi) e in formato a scelta tra .odt, .doc, .docx o Pdf. Le fotografie devono essere al massimo di 6 MB complessivi e vanno inviate in formato .zip o .rar; possono essere anche elaborate digitalmente. Gli originali dei disegni dovranno essere scannerizzati e inviati a info@premiolapira.it o consegnati alla redazione di Toscana Oggi, via de’ Pucci, 2, 50122 Firenze entro e non oltre il 30/10/2015. Allegare per ogni sezione la scheda d’iscrizione regolarmente compilata.
Art. 4 – Sono previsti fino a due vincitori per ogni sezione. I finalisti avranno come premio: per la sezione A, la decorazione della facciata dell’Oratorio lapiriano all’Isolotto con un murale eseguito sull’impronta del disegno originale ingrandito; per le sezioni B/C/D, la pubblicazione dell’opera in un’antologia in formato elettronico (eBook).
Ai più meritevoli tra tutti i partecipanti, a giudizio insindacabile dei giurati, saranno assegnati tre libretti al risparmio (o carte prepagate) della Banca di Cambiano del valore di 250 euro ciascuno.
Tutti i vincitori e coloro che avranno ottenuto eventuali menzioni di merito riceveranno una targa e una pergamena personalizzata attestante l’avvenuta premiazione.
Agli istituti scolastici dei vincitori verrà altresì conferita una targa attestante l’avvenuta premiazione. L’elenco dei vincitori verrà pubblicato sulla pagina Facebook del concorso on.fb.me/1ClA6Mp.
La premiazione avverrà il 6 novembre 2015 presso l’Oratorio Giorgio La Pira – Sala Teatro La Fiaba, viale dei Bambini, Firenze. Gli autori premiati saranno preventivamente avvisati tramite e- mail; sono invitati a ritirare personalmente o tramite delega i premi assegnati.
Art. 6 – Le commissioni di giuria sono composte da: Elda Padalino, Nicholas Bawtree, Riccardo Bigi e Sabrina Burrelli Scotti per le sezioni B, C; Mirko Dormentoni, Francesco D’Isa, Maria Siponta De Salvia e Flavio Coppola per le sezioni A e D.
Art. 7 – Non sono ammesse al concorso le opere che si sono classificate finaliste in altri premi letterari.
Art. 8 – I partecipanti al concorso, rinunciando a qualsiasi compenso o diritto di autore, concedono il libero utilizzo dei loro elaborati da parte dell’associazione Toscana 2013 che si riserva il diritto di diffondere i lavori dei concorrenti, divulgandone e pubblicandone in tutto o in parte il contenuto anche in rete.
Art. 9 – Tutto il materiale inviato per il concorso non verrà restituito se non su precisa richiesta dell’autore (da effettuare entro il 30/10/2015).
In base ad eventuali necessità o a causa di forza maggiore le norme e i contenuti del presente regolamento potranno subire variazioni. Per richiedere il regolamento aggiornato, la scheda d’iscrizione o quant’altro, contattare: info@premiolapira.it.
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Giorgio La Pira (1904-1977)
[liberamente tratto da Giorgio La Pira. I miei pensieri, a cura di Riccardo Bigi]
È stato una delle figure più innovative e autentiche della vita politica, culturale e religiosa del secolo scorso. A renderlo indimenticabile fu anche il suo caratteristico stile di vita sobrio, quasi ascetico, unito a una carica di dirompente e vitale simpatia. E se in vita ricevette critiche feroci per le sue idee originali e coraggiose iniziative, col passare degli anni la sua grandezza è stata riconosciuta sempre da più parti: il suo modo di vivere la politica come servizio al bene comune, lontano anni luce da qualsiasi ambizione di potere o di ricchezza, è un esempio oggi più che mai necessario. Nato in Sicilia, si è laureato a Firenze, ove ben presto vinse la cattedra in Diritto Romano.
La sua opposizione al fascismo lo costrinse a lasciare la città e trovare rifugio in Vaticano. Nel 1946 fu eletto alla Assemblea Costituente; contribuì a redigere gli articoli che esprimono i diritti fondamentali della Costituzione. Fu sindaco di Firenze dal 1951 al 1964, e si distinse per la difesa attiva dei diritti dei più deboli. Contribuì all’ampliamento sostanziale dei quartieri dell’Isolotto e di Sorgane, alla ricostruzione dei ponti distrutti dai nazisti, alla costruzione di strade e scuole. Sotto la sua amministrazione vennero realizzati la Centrale del latte, il Mercato ortofrutticolo, la rete delle farmacie comunali.
Fecero scalpore la requisizione delle case sfitte per ospitare i senza tetto, l’appoggio agli operai della Pignone che avevano occupato la fabbrica in difesa del posto di lavoro. L’impegno per il dialogo internazionale, la decolonizzazione, la pace in Medio Oriente, per la pace e il dialogo tra le città e i popoli, caratterizzò il suo operato anche dopo la sua carica di sindaco. Si ricorda l’importante viaggio per la pace in Vietnam. Fu eletto l’ultima volta al Parlamento nel 1975; morì a Firenze nel 1977.
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La giuria
Elda Padalino è nata ad Ascoli Piceno. Laureata in Lettere, ha insegnato tale materia nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, prevalentemente nel Quartiere 4 di Firenze. Dai primi anni Ottanta si è occupata di didattica ed educazione linguistica ed è stata aggiornatrice di insegnanti. È autrice di diverse pubblicazioni che rendono conto delle sue esperienze didattiche. Dal 2004 al 2009 è stata segretaria del Giscel Toscana (Gruppo di intervento e studio nel campo dell’educazione linguistica), distintosi nella provincia di Firenze per numerose iniziative. Si è impegnata concretamente nella lotta contro la dispersione scolastica. Nel 2008 ha curato, con P. Lucarini, F. Quercioli e A. Panichi, il volume Isolotto, la scuola e il quartiere, pubblicato dal Comune di Firenze nello stesso anno.
Nicholas Bawtree è nato in Toscana in uno dei primi agriturismi italiani, Rendola Riding, dove all’età di dieci anni ha iniziato un periodico per gli ospiti, Il Folio di Rendola, portandolo avanti per vent’anni. Laureato in Sociologia e Scienze dell’educazione, passando tra periodici locali e nazionali, nel 2006 ha iniziato a lavorare con il mensile Terra Nuova, del quale attualmente è caporedattore. Da sempre appassionato nel creare nuovi spazi di libera espressione, è stato l’ideatore del format Teatro di Paglia, diffuso in Italia e all’estero, e del libretto di Assegni dell’Anima.
Francesco D’Isa è nato a Firenze. Laureato in Filosofia, insegna programmi di elaborazione grafica. Si è avvicinato come autodidatta all’arte visiva. Dopo l’esordio con disegni e racconti sulle pagine della rivista d’arte e letteratura Mostro, di cui è stato redattore e co-fondatore, le sue opere vengono pubblicate in libri e riviste in Italia ed all’estero, come Expose III, Ballistic Publishing (Stati Uniti), Pixel surgeons: extreme manipulation of the figure in photography, Mitchell Beazley Art & Design, Octopus ed. (Regno Unito), Black magic, White Noise ed., Illusive 3, Die Gestalten ed. (Germania), Design 360°, Sandu culture ed. (Cina). Dal 2001 ad oggi le sue opere d’arte visiva hanno vinto vari premi in Italia ed all’estero e sono state esposte in Europa, Usa, Giappone, Russia e Sud America. Dal 2010 affianca all’attività artistica quella di scrittore e giornalista, collaborando ai quotidiani online Il Post, Orwell (Pubblico giornale), RT Books Review (Usa) e La Repubblica. Dirige la rivista L’Indiscreto. Nel 2011 il suo romanzo illustrato, I., viene pubblicato dalla casa editrice Nottetempo (Roma, Italia), mentre nel 2013 escono alcuni suoi racconti in antologie di narrativa, come Selezione Naturale (Effequ) e Toscani Maledetti (Piano B Edizioni). Nel 2014 è uscito il suo primo romanzo, Anna – storia di un palindromo (Effequ) e nel 2015 con Imprimatur Ultimo piano (o porno totale).
Maria Siponta De Salvia è nata in Puglia, ma è fiorentina d’adozione. Laureata in Storia dell’arte, è giornalista pubblicista. Già docente dell’Università Internazionale dell’Arte, ha pubblicato numerosi studi sulla connessione tra cultura e comunicazione. È responsabile della Comunicazione e dell’Ufficio stampa della Banca di Cambiano di Firenze.
Mirko Dormentoni, è nato a Perugia. È attualmente presidente del Consiglio di Quartiere 4 del Comune di Firenze. È stato dal 2009 al 2014 consigliere e presidente della Commissione urbanistica del consiglio comunale, e consigliere di quartiere dal 1999 al 2009. Laureato in Scienze politiche, funzionario della Città metropolitana in aspettativa, da vent’anni è impegnato socialmente e politicamente sul territorio fiorentino.
Riccardo Bigi è nato a Firenze. Dal 1998 è un giornalista professionista; lavora nella redazione del settimanale Toscana Oggi, collabora con Avvenire e Tv2000. Nel 2004 ha curato l’ufficio stampa per le celebrazioni nazionali del centenario della nascita di Giorgio La Pira e ha pubblicato la biografia Il sindaco santo (Edizioni San Paolo). Per la Società editrice fiorentina ha curato la raccolta Giorgio La Pira. I miei pensieri (2008). Ha organizzato e curato la messa in scena da parte di Alessandro Benvenuti di una raccolta di testi di Giorgio La Pira alla Badia Fiorentina, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio e in diversi teatri italiani. Ha lavorato anche su altre figure come Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, con una lettura di testi interpretata da Claudia Koll nel duomo di Firenze, don Carlo Gnocchi, con uno spettacolo messo in scena dall’Accademia Teatrale Fiorentina al Teatro Verdi di Firenze, e don Giulio Facibeni, con una lettura di testi realizzata nella chiesa di Santo Stefano al Ponte nell’ambito della rassegna Il Genio fiorentino.
Sabrina Burrelli Scotti è nata a Trieste. Si è formata a Firenze, dove già a quindici anni ha contribuito ad organizzare Dead man walking, il suo primo concorso letterario; oggi è responsabile della progettazione del premio letterario e artistico Come rondini verso la primavera. Laureata in Filosofia, si è specializzata come counselor e successivamente come tecnico della progettazione del prodotto editoriale e web marketer. È web editor presso comunicaCore, ha collaborato con case editrici come Terra Nuova Edizioni, ed è stata traduttrice e direttrice alle sottotitolazioni del Korea Film Festival. Insegna italiano agli stranieri presso diverse realtà (tra cui l’associazione Progetto Arcobaleno).
Flavio Coppola è nato a Puerto Cabello (Venezuela). Laureato all’Accademia di Belle Arti, ha realizzato diverse esposizioni a Viterbo, Borgo San Lorenzo, Firenze, Roma, e in diverse città della Germania. Dal 1990 si dedica all’arte madonnara, ha partecipato a diversi festival di arte di strada come Mercantia dal 1998 al 2005, Antica fiera delle grazie dal 1990 al 2001 e dal 2009 al 2014, Pflasterspektakel di Linz (Austria) nel 2007, The colours of Valkenburg (Olanda) nel 2008, Sarasota chalk festival (Usa) nel 2011. Nel 2006 ha fondato Spa (Società per azioni artistiche), una società che realizza performance ed eventi. Ha partecipato a varie edizioni de La Libera Repubblica delle Arti a San Salvi Città Aperta dal 2007 al 2014 con performance ed installazioni su metamorfosi, rinascita, rigenerazione, memorie… ed esoscheletri. Dal 1997 pratica ed insegna Kung fu e Tai chi chuan. Dal 2005 insegna Arte e Immagine nelle scuole secondarie inferiori.
Scheda d’iscrizione (copiare e inviare)
Nome _____________________________________ Cognome _________________________________ Nato/a a _________________________ (Prov ____) il ___/___/______
Residente a _______________________ (Prov ___) CAP ________ Via __________________________
Telefono __________________________________ E-mail ____________________________________
Nome e indirizzo della scuola di appartenenza (in caso di studente)
__________________________________________
Dichiara di voler partecipare alla prima edizione del premio letterario e artistico in memoria di Giorgio La Pira – Come rondini verso la primavera organizzato dall’associazione culturale Toscana 2013, per le sezioni sotto indicate, accettando tutte le norme del regolamento del bando. [Barrare la casella interessata]
◻ Sezione A ◻ Sezione B ◻ Sezione C ◻ Sezione D
Dichiara inoltre che le opere presentate sono inedite, originali, svincolate da diritti di terzi e che non sono mai state premiate in altri concorsi letterari; esonera gli organizzatori della manifestazione da ogni responsabilità per eventuali danni o incidenti personali che potrebbero derivargli nel corso della premiazione; autorizza la pubblicazione e divulgazione in tutto o in parte delle proprie opere anche in rete, rinunciando a qualsiasi compenso o diritto di autore, in conformità a quanto previsto dall’art. 8 del regolamento del premio
Data _________ Firma _______________________
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Non si dica quella solita frase poco seria: la politica è una cosa “brutta”! No: l’impegno politico – cioè l’impegno diretto alla costruzione cristianamente ispirata della società in tutti i suoi ordinamenti […] – è un impegno di umanità e di santità!
G. La Pira – La nostra vocazione sociale