Spes contra Spem 2015: intervento di Alessandro Cortesi

Le radici di un impegno: Giorgio La Pira testimone di pensiero e di azione

di Alessandro Cortesi

Rintracciare le radici del pensiero e dell’impegno di Giorgio La Pira non è impresa facile per diverse ragioni. La prima è costituita dalla grande libertà e originalità della personalità di questo cristiano siciliano [1]. Certamente si possono cogliere nel suo pensiero elementi derivanti da fonti a cui attingeva e tuttavia una sua capacità peculiare stava nella libertà di elaborare personalmente e di offrire una interpretazione creativa di sollecitazioni e idee che gli provenivano da letture, studi e incontri.

Una seconda ragione della difficoltà risiede nel fatto che alcune radici della sua visione e della sua azione stanno in un ambito di esperienza interiore, di cammino personale e di relazioni personali profonde che costituivano il tessuto fondamentale della sua vita. Tale esperienza difficilmente si presta ad una lettura che possa individuare radici e momenti precisi delle sue scelte.

Infine forse una terza difficoltà è la stessa messa in guardia di La Pira dal ridurre la sua vita ad un discorso organizzato dove tutto diviene chiaro e collegato come in un semplice teorema. Per quanto la sua mentalità – come vedremo – amasse la chiarezza di una architettura di concetti e di idee, la sua personalità era segnata da un tratto di vivacità umana, di creatività, di capacità intuitiva e di autentico sentimento che si rendeva presente proprio nel momento della relazione [2]. E’ questo il carattere originale ritenuto nei suoi discorsi e che si manifesta ad una loro lettura ancor oggi. Essi conservano infatti i tratti di un’immediatezza carica di pathos, che faceva cogliere in lui quella caratteristica di sincerità interiore e di libertà che impressionava gli interlocutori [3].

Tenendo conto di queste difficoltà e di tali premesse mi accingo tuttavia ad indicare alcune radici del pensare e dell’agire di La Pira. Pensare per lui fu dimensione della sua persona connessa in modo inestricabile all’agire: un tratto fondamentale della sua vicenda esistenziale è dato proprio dall’aver posto e tenuto insieme, anche per le indubbie capacità intellettuali e per una eccezionale energia di impegno e capacità pratica, questi due aspetti della vita. La Pira fu studioso accurato, profondo e rigoroso, fu docente universitario e nel contempo fu uomo di azione, si immerse nella vicenda politica nel suo contributo all’elaborazione della Costituzione, nel coinvolgimento politico al Ministero del Lavoro, poi nella sua esperienza di sindaco nella città di Firenze, in seguito in un impegno per la pace con orizzonti internazionali. Seppe unire attività e impegni che spesso rimangono distanti e che una medesima persona difficilmente integra nella sua vita.

Per affrontare la questione delle radici dell’impegno di La Pira prenderei le mosse da un discorso importante che egli tenne a Sofia il 27 aprile del 1972. In quella circostanza – era la conferenza mondiale delle città europee – presentò un tema a lui caro: il suo sguardo sul crinale apocalittico della storia, crinale posto tra la “frontiera apocalittica della distruzione”, e l’altra frontiera, alternativa, “quella millenaria della unità, del disarmo, della pace, della giustizia, della elevazione materiale e spirituale della intera famiglia dei popoli” [Apoc. 20,1ss]. E’ quest’ultima la frontiera di Isaia, la ‘frontiera di Betlemme’, la ‘stella di Betlemme’ “verso cui tende ‘nonostante flussi e riflussi’, con un movimento in certo senso irreversibile ed invincibile, la storia totale del mondo!” [4].

Dopo aver evocato questo crinale egli indica con una metafora evocativa le tre pietre su cui vedeva potersi orientare il movimento “verso quella terra promessa, quella ‘terra messianica’ di unità, progresso, libertà e pace che il piano storico visto dai profeti – ed in certo senso anche da Marx – riserva alla fioritura della famiglia umana!”. La pace tutto edifica ed egli intravede tale edificazione in una ‘civiltà dell’universale’ (terminologia che mutua dal grande poeta africano Senghor), e “troverà di nuovo in Europa le tre fondamentali ed infrangibili pietre su cui edificarsi: la pietra profetica, di cui sono insieme, attraverso i profeti d’Israele ed attraverso i successori di Pietro, immagini viventi Gerusalemme e Roma; la pietra metafisica …, la pietra giuridica” [5].

La Pira suggerisce in tali termini un ritorno all’Europa che scopre il mandato di “aiutare tutte le iniziative continentali che tendono al negoziato globale” (…) e di “collaborare efficacemente alla pacificazione del mondo”: “L’Europa riemerge (e nell’Europa includiamo il Mediterraneo, il grande lago di Tiberiade); riemerge la sua storia: riemerge la sua fondamentale cultura e la sua fondamentale spiritualità” [6].

Con questa immagine delle tre pietre egli riprendeva una suggestione di Paul Valéry e indicava tre elementi fondamentali che a mio avviso non riguardano solamente il suo sogno di futuro, ma sono rivelatori di alcune radici che hanno guidato la sua vita, da ricercare nei momenti di germinazione del suo passato. Ed egli le trasponeva in rapporto al futuro in termini di apertura e in un orizzonte universale.

Ne aveva parlato anche nel 1958 da sindaco di Firenze ad introduzione del primo Colloquio mediterraneo. La pietra profetica è immagine che sta ad indicare infatti l’esperienza religiosa: 1) la componente religiosa della rivelazione divina che trova in Abramo – patriarca dei credenti – la comune radice soprannaturale. Il Patto di Alleanza con il Dio Vivente – con il Dio di Abramo, di Isacco, di Ismaele e di Giacobbe – costituisce la genesi, il punto di orientamento, l’asse strutturale e di sviluppo del popolo, della nazione e delle civiltà cristiane. Il Tempio, la cattedrale e la moschea costituiscono precisamente l’asse attorno al quale si costruiscono i popoli, le nazioni e le civiltà che coprono l’intero spazio di Abramo.

2) la componente metafisica elaborata dai Greci e dagli Arabi: è ad essa che si deve l’immensa ricchezza di idee che sostengono una visione ordinata, essenzialmente metafisica e teologica del mondo, e che costituiscono intellettualmente e artisticamente la bellezza stessa della civiltà di cui i nostri popoli e le nostre nazioni sono portatori.

3) la componente giuridica e politica elaborata dai romani. È a questa che si deve la strutturazione di un ordine giuridico e politico di cui gli elementi maggiori costituiscono il tessuto essenziale dove si articola ogni ordine sociale e umano autentico [7].

Attorno a queste tre pietre – che sono state prese come riferimento per la Mostra a lui dedicata e promossa dalla Fondazione La Pira alla Biblioteca Nazionale di Firenze nell’autunno 2014 – mi sembra siano da rintracciare le radici di un impegno e di un pensiero che egli articolò proprio in queste tre direttrici.

 

La pietra profetica

Pietra profetica sta in riferimento alla sua lettura della storia sulla scia dei profeti. E’ una lettura della sua vita personale come vocazione e della storia che sgorga dalla sua fede, dall’esperienza che lentamente è maturata nel suo cuore di giovane studente trasferito da Pozzallo a Messina e che ha avuto come momento di emergenza la Pasqua del 1924 [8]. Sin dal 1920, secondo la testimonianza dell’amico siciliano Salvatore Pugliatti, La Pira a 16 anni, nei pressi di quel mare che dalla Sicilia lo affacciava alle coste africane e che diverrà uno dei riferimenti essenziali per la sua visione dell’incontro dei popoli, è preso dall’inquietudine che lo condusse poco alla volta a scoprire la fede come esperienza di unione e amore con Gesù Cristo come suo maestro: “ora vedo che a priori bisogna credere prima di Amare” [9].

La chiamata che La Pira avverte è chiamata ad una dedizione totale a Dio vivendo in termini originali questa radicalità: non nella linea della vita religiosa, ma nella assunzione piena della responsabilità connessa al suo lavoro e all’ambito del suo studio come docente di diritto romano: nel maggio del 1926 La Pira, al seguito del suo professore Betti, sarà a Firenze e di lì a poco, nel 1927, sarà incaricato di insegnare Elementi di storia del diritto romano [10].

Furono scelte maturate negli incontri con persone e nelle letture giovanili. Nel 1925 già lavora attivamente nella Fuci in un circolo che si ispirava alla figura del romanista Contardo Ferrini. Conosce poi i domenicani attraverso p. Enrico De Vita, attivo nella parrocchia della zona di baracche di Giostre, e diviene terziario domenicano dall’11 dicembre 1927 (a S. Maria Novella a Firenze).

Nella vita di Ludovico Necchi dal titolo L’anima di un apostolo, – richiestagli da p. Gemelli con cui era entrato in contatto dal 1928 – in un brano che rispecchia il suo itinerario personale La Pira esprime la sua tensione apostolica “Il santo è un’anima bruciata di amore divino e bisognosa di versare immediatamente su numerose altre anime  il fuoco di amore che interiormente lo consuma: il santo è per ciò stesso un suscitatore della santità in altre anime: ora quest’opera di traboccamento della carità in altre anime è un’opera che presuppone il contatto diretto con queste anime” [11].  Con un linguaggio segnato dalla retorica del tempo si manifesta una attitudine di apertura agli altri e di relazione, indice di una esperienza di fede non rinchiusa in senso intimista ma vivente nella comunicazione.

Sempre nella Vita di Ludovico Necchi evidenzia i tratti del missionario della regalità così come egli intese il suo impegno sorto dall’incontro con p. Gemelli: “egli deve possedere una concezione unitaria del mondo divino e umano in tal guisa da abbracciare con un unico sguardo Dio e l’uomo. Questo mondo umano, con tutti i suoi difetti e le sue amarezze non è qualcosa di avulso dalla sua anima; esso, anzi, è parte essenziale della sua vita interiore (…) l’apostolo deve essere, anzitutto, un uomo capace di svolgere con la massima precisione il dovere sociale che Dio gli assegna: nello svolgimento di questo compito egli, anzi, deve eccellere: egli deve con questo mezzo conquistare quella stima umana che è il presupposto naturale  dell’opera sovrannaturale di amore” [12].  Anche in questa pagina emerge un senso del rapporto con il mondo umano che respira di unitarietà tra esperienza di fede e vita e rifugge da visioni dualistiche e dalla spiritualità della fuga mundi.

Questa radice profetica della esistenza di La Pira può essere collocata in una chiamata che egli avverte e che orienta tutta la sua esistenza. Intraprendere il cammino di fede fu per lui fu percorso esistenziale e autentica esperienza di relazione con Dio in cui la contemplazione diveniva esperienza di vita con ricadute concrete nelle motivazioni che lo conducono a scelte di vita e nella concretezza [13]. La sua attitudine contemplativa non si traduce solamente in uno stile di vita segnato dal tempo dedicato alla preghiera ma in uno sguardo globale sulla vita che diviene modalità di porsi nei confronti del mondo, della storia, delle persone che incontrava.

Questa esperienza di fede lo conduce ad un lettura della Bibbia e ad uno sguardo alla storia che ne coglie la dimensione di un percorso in cui è presente un disegno di Dio: egli matura da questa sorgente interiore un forte senso della Provvidenza di Dio come presenza di Dio nel cammino storico. Nonostante le contraddizioni, le scelte umane che ritardano, la storia è come un fiume il cui movimento è orientato ad un fine di pace dei popoli, di comunione, di unificazione di lingue culture, percorsi religiosi. Una provvidenza che ha come centro attrattivo dell’intera storia e dell’intera vicenda umana la presenza di Cristo risorto. Riprende l’immagine di Boris Pasternak, a conclusione del suo romanzo Il dottor Zivago: “Pasternak ha ragione: tutti i secoli, come zattere, vanno verso la foce ove c’è uno che li attrae: Cristo Risorto” [14].

La sua lettura del vangelo – di alcuni passi in particolare – e la lettura dei profeti, di Isaia, lo condusse a maturare uno sguardo sulla storia umana segnato dall’orizzonte profetico e messianico, come percorso del sentiero di Isaia. “Il moto della storia umana non è un moto casuale, senza finalità e senza speranza: è un movimento, invece, finalizzato da una speranza, attratto da un amore! ‘L’amor che move il sole e l’altre stelle’ (Paradiso XXXIII, 145). C’è una ‘terra promessa’ al termine della navigazione faticosa della storia dell’uomo! Sull’orizzonte della storia umana brilla sempre, luminosa e confortatrice una stella. La storia di Israele è, in proposito, un insegnamento decisivo e permanente: c’è un viaggio da compiere, un ‘esodo’ da attuare nel mondo; ma non è un viaggio senza scopo, un ‘esodo’ senza obbiettivo; c’è una ‘terra promessa’ che attira, anche se da lontano, le speranze e le fatiche dell’uomo!” [15]. Scrive ancora in una delle sue lettere alle claustrali: “Come vede, Madre Rev.da, si tratta di tappe di un solo cammino lungo una sola strada: il cammino della grazia e della pace lungo la strada di Cristo; la strada indicata da Isaia” [16].

Tale sguardo profetico sulla storia – personale come vocazione e sociale come movimento dei popoli – lo condusse progressivamente ad un impegno senza tentennamenti per la pace e per il dialogo. A mio parere va collegata a questo un altro incontro vissuto da La Pira nella sua età giovanile oltre all’incontro della fede: l’incontro con i poveri. La Pira visse in prima persona la condizione di difficoltà economica nella famiglia degli zii a Messina e sperimentò fortemente questo incontro con i poveri non nel senso assistenzialistico del fare del bene ad altri lontani e diversi, ma come luogo in cui scoprire la propria condizione e in cui cogliere il senso profondo della propria vita.

In una cartolina postale del 1927, nella festa di san Giuseppe, riflettendo sulla figura dell’umile falegname di Nazareth, La Pira esprime come il contatto con i poveri abbia una valenza formativa. Compare questa radice che affonda nell’incontro e nella vita e la legge come occasione di scoperta della propria condizione e dell’orizzonte a cui si è chiamati (la costruzione di legami di fraternità): “E’ bene chinare la nostra anima verso i più poveri; riconoscere nella povertà altrui anche la nostra è atto di saggezza che modera i desideri umani e ci fa conoscere la nostra indicibile esigenza: e abituare i bambini a queste riflessioni pratiche è quanto mai salutare per la loro educazione. Quando la carità non è ostentazione (e spesso, purtroppo, essa è tale) ma è cordiale partecipazione alla indigenza comune, allora essa foggia le anime sul modello di Colui che fu ed è Padre amorevole dei poveri” [17]. E’ intuizione fondamentale nel giovane La Pira la carità come partecipazione ad una condizione che accomuna e rende solidali.

Tra questi incontri – la fede e i poveri – si dipaneranno i due momenti di conversione suggerite nello studio di Paola Palagi [18]. La prima conversione nel 1924 che costituisce il passaggio ad intendere la sua vita in una dedizione totale a Dio assumendo l’impegno di studio e di insegnamento come luogo di una testimonianza evangelica in una radicalità di servizio e di dono [19].

Poi più tardi la seconda conversione, preparata negli anni in particolare nel suo incontro con la città di Firenze: si tratta della conversione degli anni ’30 e maturata poi nel tempo della guerra. Nel 1934 inizia l’esperienza della messa di san Procolo. L’incontro con i poveri vissuto come esperienza in cui apprendere la propria identità di povero e in cui scorgere la chiamata di ogni vita umana è anche fondamento dell’impegno politico e della sua reazione all’ideologia fascista – su questo torneremo parlando delle radici del suo pensiero nel riferimento a san Tommaso – [20].

Negli anni del dopoguerra soprattutto nel suo impegno al ministero del lavoro, l’impatto con la dimensione strutturale della povertà lo conduce a maturare l’esigenza di una spiritualità capace di guardare la realtà sociale con uno sguardo alla rilevanza della dimensione sociale e politica per la fede stessa [21].

In questo quadro di dimensione profetica della sua vita situerei alcuni incontri fondamentali che hanno formato l’interiorità di La Pira sin dal tempo della giovinezza e poi a Firenze. L’inserimento nella vita della città passò attraverso il contatto con il convento di san Marco, con don Bensi (parroco della chiesa di s. Michelino e insegnante di religione al liceo classico Galileo, assistente della gioventù cattolica), con don Facibeni testimone di carità soprattutto verso gli orfani con la ‘Pia opera delle divina provvidenza’ (La Pira faceva lunghe soste di preghiera presso la cappella dell’orfanotrofio di don Facibeni); e con il card. Elia Dalla Costa. Firenze vive nel 1931 un passaggio fondamentale con l’arrivo del vescovo Elia Dalla Costa il 19 dicembre, personaggio di grande levatura umana e spirituale che si distinse per la sua distanza dal regime fascista. Con lui La Pira ebbe da subito un rapporto di intesa e collaborazione.

Nella spiritualità di La Pira l’incontro con Dio percepito presente diviene immediatamente mandato ad un a testimonianza che egli riconobbe nell’esempio di Contardo Ferrini e poi di Ludovico Necchi di cui scrisse una vita – richiesto da padre Gemelli – in cui per molti aspetti rifletteva il suo itinerario e le sue scelte sino ad allora. Per La Pira la contemplazione, l’attitudine che lascia spazio di attesa e attenzione alla dimensione spirituale, alla pietra profetica delle civiltà umane, deve essere posta in relazione con il mondo attivo, dell’impegno e della politica nel senso profondo che tale attività aveva nel suo pensiero.

Non ultimo fu quindi l’incontro stesso con la città di Firenze, con la sua storia, con l’eredità culturale e spirituale racchiusa nelle sue mura, palazzi e strade che per lui fu un elemento centrale nella maturazione della coscienza della città e dell’importanza della costruzione della città. In tale contesto sorse l’iniziativa dei Convegni internazionali per la pace e la civiltà cristiana, che vedranno lo svolgimento dal 1952, primo convegno, fino al 1956, per cinque anni consecutivi. La Pira stesso dice che questa idea sorse in lui dopo che nel 1951 aveva riflettuto sul senso delle città di Firenze in particolare.

Per esprimere in una breve formula quanto ho cercato di evidenziare si potrebbe dire che La Pira si è lasciato ammaestrare e guidare dagli incontri, dalle persone, dalle esperienze vissute scoprendo poi quanto egli espresse nei termini di una presenza di Dio che si rende vicina nelle cose, nell’umano. Una vocazione la sua profetica, proprio perché mistica. Presa tutta si potrebbe dire da un volgersi ad un disegno che investe l’immanenza proprio perché consapevole di una presenza trascendente.

Sta qui un tratto dell’originalità di La Pira. “E’ vano, Madre Rev.da, chiamarci ‘sognatori’; noi descriviamo fatti, citiamo documenti, stiamo legati alle cose; ci lasciamo ammaestrare da esse”.[22] Si può dire che La Pira si lasciasse ammaestrare dalle cose, dalle esperienze dell’umanità.

 

La pietra metafisica

Pietra metafisica è immagine da interpretare come riferimento a radici di un modo di pensare ad una metodologia che investe anche l’azione, E’ questa una metafora utilizzata da La Pira per indicare la rilevanza di un pensiero capace di offrire i principi all’agire e in cui ritrovare un ordine architettonico per dare unità alla vita intellettuale e al sapere [23].

In un importante discorso tenuto all’Abbazia di Fossanova del 10 aprile 1974 (organizzato dall’Ufficio scuola della Democrazia Cristiana) per ricordare il VII centenario della morte di san Tommaso, La Pira stesso espresse il suo debito a questa radice del suo pensare certamente ma anche di quegli orientamenti che gli fecero avvertire il pericolo  della ideologia fascista e lo fecero reagire nella breve stagione della rivista “Principi” pubblicata come supplemento a “Vita cristiana” dei domenicani di san Marco, con l’espressione di una articolazione di pensiero che a Tommaso era profondamente debitrice [24].

Così si esprimeva La Pira nel 1974: “il pensiero dell’Aquinate ha fatto da luce illuminante e da stella orientatrice al nostro cammino ed alla nostra speranza! Questa luce ci ha permesso di attraversare con una certa sicurezza intellettuale e storica il periodo in certo senso più oscuro della storia del mondo (quello del ‘progetto demoniaco’ della ‘soluzione finale’ per il popolo di Israele e dei popoli dell’intiera famiglia abramitica e del dominio millenario della croce uncinata e della razza ariana su tutti i popoli) e di passare dall’inverno più crudo ai primi lontani albori della primavera e della estate più promettente (l’immagine è di Pio XII nel celebre discorso sulla speranza storica del 19 marzo 1958) della storia del mondo: il periodo in certo senso ‘messianico’ indicato da Isaia (11,1s)” [25].

La lettura di La Pira è segnata dalla visione teleologica della storia: il mistero di Cristo è punto di attrazione dell’intera creazione e a lui tutta la storia è finalizzata [26]. Tommaso è visto come testimone di una luce, ne è stato un riflesso per comunicare il dono di un conoscenza divina impressa nell’uomo. La Pira legge così la presenza di Tommaso nel quadro di quel disegno storico che è la ‘teleologia della storia’. Vede in lui una figura eminente, suscitata da Cristo nel suo piano teleologico sulla storia, “per riflettere sulla chiesa e sulla civiltà intiera quella quaedam impressio divinae scientiae (Summa Theol. I q.1 a.3, ad 2m) che egli, con la Summa, aveva con tanta luminosa contemplazione ed elaborazione scientifica cercato di percepire” [27].

La Pira scorge nell’ordine, nella visione sintetica e nell’organicità degli elementi in cui Tommaso articola la Summa, come edificio, il dono di una presentazione del disegno unitario di Dio verso l’unità e la pace. Le tre parti della Summa esprimono con ‘attenzione a Dio all’umanità e a Cristo tale disegno in una coerenza di cui La Pira resta ammirato. 

E’ anche interessante notare come La Pira sottolinei una analogia tra la genesi del sistema della giurisprudenza romana nelle sue parole “la genesi cioè della scientia iuris, della architettonica scientifica, della tecnica scientifica del diritto, quella che ha dato valore universale al diritto romano e lo ha fatto e lo fa attraversare tutti i secoli e tutti i popoli”[28] e la metodologia che sta alla base del pensiero di Tommaso. In questo egli individua l’angolo di visuale metodologico, cioè di pensiero, come uno degli angoli in cui egli ha sperimentato Tommaso come stella orientatrice del suo cammino.

“Lo stesso metodo (cioè la estensione al diritto dell’arte del definire, sistemare, unificare e dedurre che ha le sue origini nella dialettica di Socrate e Platone e soprattutto in Aristotele e che fa passare dal diritto romano alla scientia  iuris) “lo stesso metodo -dice La Pira- è stato applicato da san Tommaso per la costruzione della scienza teologica: col metodo aristotelico della ricerca dei principi sui quali fondare l’edifici scientifico e quindi col metodo della divisione e della deduzione, applicato alla teologia, egli ha costruito quell’edificio della Summa così perfetto nella sua armoniosa , unitaria, architettura, da restare, per tutti i secoli e per tutte le civiltà e per tutte le generazioni, modello in certo modo insuperabile – quasi irriformabile nelle sue strutture essenziali – di ogni scienza teologica!”.[29]

Egli aveva trovato questo riferimento in Tommaso. La sua lettura di Tomaso è profonda, diretta, e capace di non lasciarsi impantanare nelle secche della neoscolastica che in quella stagione era fiorente. Anche a proposito della lettura di Tommaso si può riscontrare una originalità propria di La Pira connessa anche ad un modo personale e diretto di accostare i testi. Tra le sue letture giovanili aveva frequentato Maurice Blondel, filosofo che dava spazio a quel percorso che a partire dall’immanenza si apriva a cogliere l’apertura dell’agire umano ad una realtà che sta oltre e che sta anche dentro il medesimo processo dell’azione umana.[30]

In Tommaso La Pira coglie la luce di una organizzazione del pensare capace di dare unità. Coglie la dimensione architettonica. ‘Architettura’ è termine chiave nel pensiero di La Pira: ritorna nel titolo del suo scritto dedicato all’interrogarsi su come costruire uno stato democratico dopo la guerra come raccolta di pensieri sulla costituzione.[31] Ne sottolinea alcuni aspetti di unità. Ma La Pira legge liberamente Tommaso e da questa ispirazione profonda coglie gli elementi per il suo approccio alla storia nella linea della teleologia della storia. Facendo questo si fa interprete profondo della riflessione sul fine di Tommaso e del quadro globale del suo pensiero. Ma anche assume quel metodo dialogico, capace di accoglienza e incontro fecondo, fondato su un fondamentale ottimismo sulla realtà della grazia che non distrugge e non annulla ma conduce a compimento tutto ciò che appartiene alla vita umana, alla sua natura.

Da Tommaso La Pira ricava anche una impostazione fondamentale nel suo approccio alla persona umana che a mio avviso sta alla radice di quel quadro organizzativo che egli pone nel suo lavoro alla Costituzione: partendo dalla persona legge la persona all’interno di una serie di cerchi concentrici che vanno dalle prime formazioni sociali della famiglia, delle aggregazioni sociali, della città, dello Stato fino ai livelli dei rapporti internazionali.

Ma questa intuizione fondamentale che ebbe fioritura nei lavori alla Costituente ebbe le sue radici negli anni ’30 e prima espressione di impegno e coraggio nella scelta di pubblicare i suoi articoli in ‘Principi’ – La Pira aveva 35 anni quando nel 1938 inizia questa rivista che ebbe vita assai breve -. Così ne parla nel discorso di Fossanova: “Facemmo ricorso a san Tommaso: facemmo cioè appello pubblicamente – mediante la pubblicazione di Principi (1938-39) – alla filosofia di san Tommaso per rivendicare – in radicale opposizione con la teoria hegeliana dello Stato (assunta dal fascismo e dal nazismo) – il valore sostanziale  e l’autonomia fondamentale della persona umana”.[32]

Per La Pira Tommaso è il riferimento non solo ispiratore di un metodo di pensiero che egli vede come una costruzione un edificio e che lega insieme alla sapienza che gli proviene dalla sensibilità giuridica. Ma Tommaso è stato per lui ispiratore di azione politica costituzionale e storica.

Nella redazione di Principi egli esprime il riferimento alla fortezza a cui si aggrappò individuando nella riflessione sulla persona umana e sul principio che egli definì la frontiera filosofica ed evangelica: la persona pur essendo parte di un tutto che è la comunità sociale, tuttavia non è ordinata totalmente alla comunità politica, ma l’orientamento fondamentale della persona è a Dio. Su questo principio dell’irriducibilità dell’intera persona umana alla dimensione statale si radica la contestazione della pretesa di una autorità statale e di un sistema politico che si pone in termini di riferimento assoluto per la vita delle persone [33].

Così dopo l’inverno del fascismo e della guerra nel momento della costruzione della casa costituzionale  del popolo italiano La Pira ancora si riferisce a quei principi che derivava dalla sua lettura di Tommaso“Quale architettura scegliere? A quale architetto riferirsi? Su quale modello modellare la nuova costituzione?”. La Pira rinvia alla architettonica seguita nella elaborazione della prima parte dei Principi della Costituzione e ne mette in luce l’impianto tomista dell’esser sociale che parte dalla persona e che si estende nelle formazioni sociali della famiglia, della chiesa, della nazione sino ad uno sguardo che coinvolge l’intera umanità (…) “Come il pensiero dell’Aquinate ci aveva fatto da lume durante le tenebre della notte storica e dell’inverno storico (la Resistenza, principi, etc.) così ora ci faceva da lume nel ‘ritorno dall’esilio’ per ‘la riedificazione’ di Gerusalemme (‘del tempio, delle mura, delle case, delle piazze di Gerusalemme’! Esdra e Neemia): l’architettonica della ricostruzione portava di nuovo, fondamentalmente, il nome e il sigillo dell’Aquinate” [34]. La Pira sottolinea l’influsso di modello di Tommaso nella tessitura della costituzione. E ne sottolinea l’impostazione del pensiero politico fondata su due principi: che tutti i cittadini siano chiamati a partecipare alla cosa pubblica e che vi sia un bilanciamento dei poteri e rileva come su questi due punti si articola problematica teorica e pratica degli Stati.

Al di là di una certa enfasi sulla forza della costruzione unificante di Tommaso, La Pira intuisce al cuore del pensiero di Tommaso la centralità della grazia quale elemento essenziale del cristianesimo come adesione a Cristo e a Dio stesso. Questa grazia ha un’unica fonte Dio stesso e giunge a noi nella umanità di Cristo. “Eccoci nel cuore stesso del mistero di Cristo; del suo essere ‘bipolare’ (le due nature, divina e umana, unite nella persona del Verbo); della sua ‘missione’ di salvezza, per tutti i popoli, del mondo; quella di partecipare a tutti gli uomini (ed a tutti i popoli) la grazia di cui egli ha la pienezza (‘dalla pienezza di Lui tutti abbiamo ricevuto’ Gv 1,16): e che, come acqua divina vivificante, è destinata a irrigare … e fecondare … tutti gli uomini, tutte le civiltà e tutti i popoli?” [35].

Sta qui la radice del discorso che fece davanti al Soviet nella sua visita a Mosca: un programma costruttivo (una architettura costituzionale). cfr. discorso al Soviet:

“Dunque signori del Soviet: il nostro comune programma costruttivo, il nostro disegno architettonico deve essere questo: dare ai popoli la pace, costruire case, fecondare i campi, aprire officine, scuole, ospedali, far fiorire le arti e i giardini, ricostruire e aprire dovunque le chiese e le cattedrali (…) Soltanto così il nostro ponte di pace tra Oriente e Occidente diventerà incrollabile” [36].

Commentando questo discorso Vittorio Citterich disse che La Pira non aveva fatto un discorso clericale o confessionale, piuttosto aveva posto la libertà religiosa nel quadro delle altre libertà e dei diritti fondamentali dell’uomo: con riferimento alle dimensioni concrete della vita la famiglia (casa), l’istruzione (la scuola), il lavoro (l’officina), la sanità (l’ospedale) [37]. Lavoro, casa, libertà furono i tre valori solidali che sono state orientamento dell’intera opera di La Pira nell’impegno amministrativo per Firenze [38].

La lettura che La Pira compie di Tommaso è un approccio libero, non chiuso nella aridità di un ragionare staccato dalla vita, ma sensibile a cogliere i principi vivificanti di tale costruzione in rapporto alla sua visione della storia che egli individua al cuore della stessa architettura della Summa nella dimensione del fine della storia connesso a Dio e al mistero di Cristo. Ma proprio l’aver colto l’elemento della grazia come caratterizzante il cristianesimo gli apre le prospettive di un ottimismo della grazia che egli fece ridondare non solo nel suo pensiero ma nel modo di accostare le persone, ogni altro, con sguardo grazioso, capace di scorgervi un’opera dello Spirito pur con la lucidità di individuare contraddizioni e opposizioni.

Dalmazio Mongillo sottolinea come La Pira in Principi svolga una riflessione in cui “La riflessione sulla perfezione della persona si abbina a quella sulla struttura giuridica e politica che deriva, tramite la legge naturale, dalla legge eterna di Dio. Entrambe queste riflessioni illuminano l’unica e ricca vocazione e responsabilità umane: orientare la vita nella linea della struttura trascendente della persona e impegnarsi nella costruzione della città. Quest’impostazione riflette la distinzione tra la monostica e la politica a cui fa riferimento Aristotele e che Tommaso nel Commento all’Etica riconferma. Essa scioglie anche nella struttura della Summa (i-II) nella quale la dottrina sul fine ultimo (I-IIae qq.1-5) e sull’agire (I II qq,6-89) è separata da quella che ha per oggetto le leggi (I II 90-108)” [39].

A questo punto su può cogliere la stretta connessione e il rinvio che dalla radice di pensiero che in Tommaso ha i suoi riferimenti ispiratori si apre ad un’altra radice della formazione e sensibilità di La Pira, la sua formazione giuridica e di giurista attento alle dinamiche proprie del diritto romano nella sua storia e nella sua tradizione.

 

La pietra giuridica

Questo elemento è strettamente legato a quanto abbiamo esaminato relativamente al pensiero filosofico ed alla costruzione teologico di Tommaso. Vorrei sottolineare tuttavia un aspetto caratterizzante l’approccio di La Pira [40]. La sua sensibilità è profondamente marcata dalla scienza giuridica e dal riferirsi al diritto romano con la sua capacità di distinguere, di ritrovare i principi e di indicare deduzioni, e nel contempo la sua sapienza pratica lo conduce a compiere questa lettura in rapporto a quella che può essere indicata come architettura della città. In questa linea vedrei congiungersi l’attitudine profetica e quella giuridica.

Le radici di questa attenzione di La Pira alla rilevanza di un pensiero fondato su principi e nel contempo sulla urgenza di costruire una città a mio avviso sono da ritrovare nel suo studio, nel suo discepolato con il prof. Betti di cui recentemente è stato edito il carteggio sin dagli anni ’20 e direi anche con l’esperienza dell’incontro con Firenze e la rilevanza dello sguardo alle città che lo condurrà a cogliere le relazioni tra i popoli e il ruolo del Mediterraneo per la pace mondiale.

Riguardo al suo rapporto con il prof. Betti vorrei ricordare la sottolineatura evidenziata da Giuseppe Dossetti nel suo discorso nel X anniversario della morte di La Pira che Emilio Betti non fu solo grande maestro di diritto romano, ma unì a tale competenza la elaborazione della teoria ermeneutica generale e La Pira ne ebbe certamente influsso e acquisì importanti orientamenti per il suo studio.

A Firenze in due mesi svolge un intenso lavoro nella tesi che trova le lodi nella discussione di laurea il 10 luglio 1926 (era arrivato il 3 maggio). Quando pochi anni dopo ebbe l’incarico alla cattedra di diritto romano, poco dopo aver intrapreso il corso scriveva ad un amico di Messina, il 15 dicembre 1933: “… Ho nel cuore una gioia traboccante: gioia che comunica anche alle mie lezioni un timbro speciale di vita … Gli studenti mi seguono: ad essi io mi sforzo di mostrare le bellezze geometriche del diritto romano. Credilo c’è tanta luce in questo panorama di ‘istituti’ che offrono allo sguardo linee architettoniche così belle. Il diritto romano va insegnato mostrando queste prospettive ricche di simmetria: solo così il nostro insegnamento ha una funzione educativa di grande importanza. Sarebbe bello se potessimo dare agli studi giuridici questo afflato di bellezza che solleva dalla tecnica pura alla visione di un panorama unitario. Dobbiamo far circolare nei nostri studi queste luci di sapere che resero così attraenti gli studi dei nostri antichi” [41].

In questo periodo coincidono due movimenti nell’animo del giovane La Pira: la meraviglia per la bellezza della città di Firenze di cui rimane da subito colpito e la bellezza architettonica del diritto romano. Questa dimensione di bellezza segna la sua spiritualità [42]. “Firenze è fatta di arte e tutto in essa ispira bellezza” [43].

Così il prof. Gian Gualberto Archi sottolineò come il diritto romano fu per la La Pira uno strumento in vista dell’attenzione alla vita delle persone, per una utilità non da intendersi in senso utilitarista, ma nella direzione di una ricerca di offrire risposte ai desideri di vita e di maturazioni di tutte le dimensioni della vita personale e sociale:

“A La Pira interessava il diritto come fenomeno vivente: lo interessava in quanto destinato a quella utilitas hominum, alla quale egli, seguendo le precise parole di un giurista romano, lo intendeva destinato. E questa conclusione non è affatto banale (…) Mai una volta che la sua attenzione si sia manifestata come concentrata sull’uomo in sé isolato, ma sempre invece sull’uomo in un rapporto di alterità. Il che significa, trasportato sul piano giuridico, considerare il diritto essenzialmente come mezzo di convivenza di tutti e sfuocarlo in quanto salvaguardia dei singoli” [44].

Il pensiero giuridico per La Pira è strumento non solo per vivere la sua vocazione di studioso così come intuì negli anni giovanili, ma per costruire la città, in cui la bellezza che lo aveva affascinato si unisce con l’elemento della dignità delle persone che insieme nella città, quale organismo di relazioni e di società convivono. Qui si lega insieme il suo lavoro per la Costituzione e la sua intuizione della vocazione delle città come luogo di socialità che si contrappone alla guerra che gli ispirerà i convegni per la pace e per la civiltà cristiana.

“Nella razionalità ed universalità delle architetture concettuali romane egli non ravvisa l’impronta di uno schema teorico culturale chiuso nel proprio passato (‘il sistema non è una semplice intelaiatura di nozioni prima disperse ed ora ricondotte ad unità’). All’edificio logico-sistematico creato dalla giurisprudenza classica La Pira chiede di farsi modello pragmatico, criterio orientativo dell’agire : “l’unità è feconda di luce, è generatrice di sviluppi, è vitale” [45].

Rimangono ancora luminose – di fronte alla crisi della democrazia che stiamo sperimentando nel nostro presente e nelle incertezze riguardanti la questione delle riforme costituzionali – le sue considerazioni quando si poneva il problema di trasporre la sua competenza giuridica nella elaborazione di un testo costituzionale che offrisse l’impalcatura per la vita di uno stato democratico. Riguardo alla costituzione in Architettura di uno stato democratico La Pira scrive parlando del tessuto della futura costituzione:  “Bisogna costruire un edificio costituzionale non in crisi, non sproporzionato alla natura della persona umana e alla struttura reale del corpo sociale: perché questa natura e questa struttura non peccano né dell’uno né dell’altro eccesso. La formula – abbastanza felice – che indica questo tipo costituzionale nuovo e che ne definisce l’architettura è questa: tipo personalista e pluralista di edificio costituzionale [46]. “(…) anzitutto  riconoscimento e tutela dei diritti naturali della persona umana: diritti perciò anteriori ad ogni ad ogni riconoscimento statuale e pertanto inviolabili. Sin qui la coincidenza con la costituzione dell’89 è piena. Ma comincia subito la differenziazione. La risposta va ricavata dal duplice aspetto della personalità umana: quello della libertà e quello della solidarietà (socialità): vi sono diritti che si radicano nella prima e diritti che si radicano nella seconda: l’insieme degli uni e degli altri costituisce il quadro integrale di questi diritti naturali essenziali dell’uomo. Ma da ciò deriva una conseguenza: i diritti che si radicano nella solidarietà, per sussistere, presuppongono l’esistenza di comunità che ne sono il sostegno. Tali comunità, quindi, hanno anche esse i loro diritti essenziali che non possono essere dallo stato essere disconosciuti. Ecco allora il quadro integrale dei diritti della persona, non solo i classici diritti di libertà civile e di libertà politica (diritti che si riferiscono alla persona isolatamente considerata ed alla persona in quanto è membro della comunità statale); ma anche i diritti sociali fondati sugli status che la persona possiede: in quanto cioè, essa è membro di una comunità familiare, di una comunità religiosa, di una comunità territoriale, di una comunità di lavoro e di classe (sindacati, corpi professionali) della comunità nazionale ed internazionale; e di conseguenza anche i diritti di queste medesime comunità (pluralismo giuridico) che hanno ciascuna il loro fine e il loro statuto giuridico” [47].

Nel discorso a Ginevra all’incontro della Croce Rossa del 12 aprile 1954 La Pira parlò delle città e in esso espresse una prima elaborazione del suo pensiero sulla missione delle città nel tempo dell’era atomica: la sua riflessione sulla città ha radici lontane nella maturazione del suo sguardo profetico, unito alla riflessione sulla persona e sulla società e alle radici giuridiche del suo pensiero che guardava ad una architettura sociale [48]. “Le città hanno una vita propria: hanno un loro proprio essere misterioso e profondo: hanno un loro volto; hanno, per così dire, una loro anima ed un loro destino: non sono cumuli occasionali di pietra: sono misteriose abitazioni di uomini e più ancora, in certo modo, misteriose abitazioni di Dio…”.

A Ginevra si fece chiaro in lui l’intuizione che il destino dell’umanità trovava un luogo di riferimento fondamentale nel destino delle città e si poneva con forza la questione del diritto delle città alla sopravvivenza. Così parlò: “La mia dolce misurata ed armoniosa Firenze, creata insieme dall’uomo e da Dio, per essere come città sul monte, luce e consolazione  sulla strada degli uomini, non vuole essere uccisa! Questa medesima volontà di vita affermano, con Firenze, in virtù di un tacito ‘mandato’ conferito al Sindaco di Firenze, tutte le città della terra: città, ripeto, capitali e non capitali; grandi e piccole; storiche e non storiche; artistiche e non artistiche; tutte! Esse proclamano unanimi il loro inviolabile diritto all’esistenza: nessuno ha diritto, per qualsivoglia ragione, di ucciderle” [49].

L’anno dopo nell’ottobre 1955 convoca a Firenze i sindaci delle capitali di tutto il mondo. Come egli stesso confessò la maturazione di tale iniziativa era avvenuta a Ginevra l’anno precedente. Le ragioni dell’utopia per La Pira erano le ragioni del realismo di fronte ad una storia da leggere come grande alternativa  Aveva detto nel discorso citato a Ginevra “Quando dico che tutte le città della terra, davanti al reale pericolo di una condanna a morte, proclamano unanimi il loro inviolabile diritto all’esistenza, io non faccio una retorica e non faccio del nominalismo: non uso cioè parole ed immagini cui non corrisponda una solida realtà” [50].

Un’ultima considerazione sulle radici del pensiero e sull’azione di La Pira la riserverei per la sua intuizione del Mediterraneo come luogo dell’incontro e della costruzione di un rapporto nuovo di popoli in cui le grandi tradizioni religiose potessero esprimere le loro valenze di pace proprio a partire dalla medesima origine abramitica. Mi sembra questa una intuizione di una attualità che provoca la situazione contemporanea, dove sempre più appare come la questione della pace e la pace nel contesto mediterraneo sia uno snodo fondamentale per la possibilità di un futuro per la vicenda di tutti i popoli nel mondo.

A tal riguardo egli è testimone di una maturazione del suo pensiero e di una lenta apertura a orizzonti più ampi di quelli rinchiusi in una visione di chiesa per molti aspetti ancora debitrice di modelli del tradizionalismo cattolico. Da una preoccupazione che segnava i primi convegni nell’orizzonte di affermare la validità della civiltà cristiana nella costruzione della pace, il dialogo con voci diverse lo conduce ad elaborare posizioni critiche verso l’occidente identificato con il cristianesimo, in una considerazione del mondo non solo nella tensione tra Ovest ed Est ma nella più consapevole lettura dei rapporti Nord Sud. In questa intuizione confluiscono le radici di quei tre elementi che mi appaiono centrali nella vicenda personale di La Pira.

Nell’idea dell’uomo mediterraneo La Pira immette la sua visione profetica: si fa ascoltatore della questione centrale del colonialismo, problema centrale per i popoli dell’Oriente e del Sud – a differenza del comunismo quale problema per le regioni dell’Europa occidentale negli anni ’50 – e individua nel Mediterraneo lo spazio snodo per una possibile apertura della pace mondiale.  Non un fossato ma grande lago di Tiberiade. In questa visione confluisce la radice metafisica in cui riconosceva il confluire della sapienza che proveniva dal pensiero di Tommaso insieme al contributo della filosofia araba.

Quando introdusse il Colloquio mediterraneo del 1961 sul tema L’idea del Mediterraneo e l’Africa nera ricordò che l’iniziativa dei Colloqui gli era sorta mentre era in Palestina ad Hebron, presso la tomba di Abramo, padre di una famiglia di credenti che si strutturava nelle tre grandi tradizioni di ebrei cristiani e musulmani.

Nella visione del Mediterraneo come grande lago di Tiberiade compito storico era una azione che ponesse insieme questa dimensione profetica e  metafisica, con una azione da condurre con capacità giuridica e operativa, toccando il momento economico. In una strategia che traducesse l’intuizione profetica di un cammino storico in forme concrete e in scelte. Ebbe a dire a Cagliari nel 1973: “Ed una grande civiltà – la nuova civiltà del mondo – avrebbe qui, in Terra santa e nel Mediterraneo, il suo fondamento e il suo grande punto di genesi. E’ un sogno? E’ vero: ma questa età apocalittica in cui viviamo e nel cui interno sempre di più ci inoltriamo, è appunto l’età dei sogni…”.

Vorrei concludere richiamando il tema di questo nostro convegno. Due parole care a La Pira, che spesso ritornano nelle sue lettere e nei suoi discorsi: spes contra spem. E’ citazione dalle lettere di Paolo, Rom 4,18 in cui si parla della speranza di Abramo. La Pira fa propria all’interno di un movimento di fede in cui egli trova forza per uno sguardo lungo sulla storia e da cui egli trova anche ispirazione per l’impegno a rispondere a tale opera di Dio, nonostante ogni fatica e contraddizione del presente. Sta qui la più profonda radice del suo pensiero e della sua azione.

Nel 1964 alla Tavola rotonda Est Ovest a Firenze offrì una sintesi della azione fiorentina per la pace, da cui erano sgorgati i convegni per la pace, i colloqui mediterranei e l’incontro dei sindaci: “Ecco cari amici il significato che Firenze attribuisce a questa sessione fiorentina della Tavola rotonda: una sessione che si situa appunto, nel quadro prospettico della speranza storica di Firenze: e che da questa prospettiva di grande speranza – spes contra spem – trae nuovo vigoroso impulso per il suo grande compito d’indicazione e di esplorazione della strada del disarmo, della conversione e della pace. Siamo utopisti? Sognatori? Crediamo di no, cari amici: i fatti convalidano ogni giorno (malgrado tutto) le nostre tesi; la storia avanza in modo irresistibile ed irreversibile verso la sua primavera e verso la sua estate; avanza irresistibilmente lungo la strada biblica di Isaia e di san Giovanni; verso il punto omega (per usare l’espressione tanto significativa di Teilhard de Chardin) che il Padre celeste ha prefissato nei secoli per la pace, la grazie e la prosperità della intiera famiglia degli uomini: ‘e regneranno con Cristo per mille anni’ (Ap 20,6)” [51].

Così scriveva proprio all’indomani dell’elezione di Giovanni XXIII il 29 ottobre del 1958: Andiamo molto in là col desiderio e con la speranza? Sì è vero; ma il motto di Firenze cristiana è stato in questi ultimi anni, tanto drammatici ed avventurati, il motto paolino: spes contra spem: che fu anche la “divisa avventurosa” del patriarca Abramo” [52].

 

  1. Cfr. P.A.Carnemolla, Un cristiano siciliano. Rassegna di studi su Giorgio La Pira (1978-1998), Sciascia, Caltanissetta – Roma 1999.
  2. Ernesto Balducci al suo arrivo a Firenze annotava nel suo Diario: “Fra gli altri ha parlato La Pira, eloquenza povera, parola incerta, periodi frantumati, anacoluti, ripetizioni (…) pure una ricchezza di sentimento che sommergeva e trasfigurava la povertà dell’eloquio. Anima ardente in piccole membra, aperta a larghi orizzonti. Mi ha fatto bene” (cit. in B.Bocchini Camaiani, Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernità, Laterza, Bari, 2002, 132).
  3. C’è una descrizione efficacissima di Giuseppe Dossetti in un discorso tenuto in occasione del 5 novembre 1987 decimo anniversario della morte (pubblicato col titolo Un testamento fatto di parabole in “Quaderni della Fondazione La Pira”, 1 (1987), 3-29. Cogliendo in La Pira il carattere mediterraneo così lo descriveva: “Tutto in lui richiamava invece il tipo mediterraneo, se mai con marcati segni di provenienza dall’altra sponda: la statura piccola, il corpo flessuoso e sempre un po’ come sospeso, il colore della pelle, le grosse labbra, gli occhi scintillanti, splendidi, penetrantissimi, che trapassano l’interlocutore e l’indescrivibile espressività mimica delle sue mani e del suo volto, che oltrepassavano sempre la parola e risolvevano tutto là dove la parola e il concetto restavano impotenti e quindi alla fine il fuoco, l’ardore luminoso, direi il calore bianco che emanava da tutto il suo essere. Un esempio significativo lo si può veder nella fotografia col patriarca ortodosso di Mosca… Questa mediterraneità che era già iscritta per natura, e poi per grazia, in tutta la personalità di La Pira, è un dato a cui La pira è rimasto sempre fedele e che non ha mai permesso che egli si lasciasse assorbire, neppure culturalmente dal settentrione…”.
  4. G. La Pira, Il sentiero di Isaia. Scritti e discorsi (1965-1977), a cura di G. e G. Giovannoni, Cultura, Firenze, 1978, 531.
  5. Ibid., 531.
  6. Ibid., 531.
  7. G. La Pira, Giorgio La Pira sindaco: scritti, discorsi e lettere, a cura di U. De Siervo, G. e G. Giovannoni, Cultura Nuova , Comune, Firenze, 1988-1989.
  8. G. La Pira, Lettere a Salvatore Pugliatti  (1920-1939), Studium, Roma 1980, 138. Settembre 1933: “Io non dimenticherò mai quella Pasqua del 1924 in cui ricevei Gesù Eucaristico: risentii nelle vene circolare una innocenza così piena da non poter trattenere il canto e la felicità smisurata”. Nella pagina del Digesto di Giustiniano che a quel tempo stava studiando La Pira annoterà: “Con la mente più chiara e l’anima aperta in attesa di un venire cui la speranza non ha mai cessato di tendere e la Fede mai cessato di sollevare. E sempre con umiltà. A 20 anni: epoca di luce e inizio di Unione col Maestro”.
  9. La Pira, Lettere a Salvatore Pugliatti, cit., 56. Cfr. S. Nistri, La spiritualità del giovane La Pira, Fondazione La Pira, Firenze, 2005. Si tratta dell’intervento al Convegno “Nostalgia dell’altro. La spiritualità di Giorgio La Pira”, Roma, PUST, 12-13 novembre 2004, i cui Atti sono stati pubblicati da Marietti 1820, Genova (V.Possenti [a cura di], Nostalgia dell’altro. La spiritualità di Giorgio La Pira, Marietti 1820, Genova 2005).
  10. Dopo una parentesi di studio a Vienna e Monaco, fu incaricato dell’insegnamento a Firenze e Siena, Pisa e ancora a Firenze. Nel 1930 conseguiva la libera docenza e nel 1933 vinse il concorso a cattedra. Cfr. F. Milazzo, Giorgio La pira, professore di diritto romano, XXIII anniversario della morte di Giorgio La Pira, Associazione Giorgio La Pira ‘Spes contra spem’, Pozzallo,  Grafica, Modica, 2000.
  11. G. La Pira, L’anima di un apostolo. Vita interiore di Ludovico Necchi, Vita e pensiero, Milano, 1932, rist. 1988, 105-106. Alla zia Settimia scrive: “Lavorare per la Chiesa nell’opera di apostolato e nella carità spirituale e materiale è diventato l’esigenza fondamentale della mia vita. Trarre occasione da tutte le circostanze per proclamare al mondo che se ne è dimenticato la dolce verità di Gesù Cristo, di un Dio fatto uomo e morto in croce per noi, è opera che commuove profondamente la mia anima” (alla zia Settimia, aprile 1931, Lettere a casa, Vita e pensiero, Milano, 1981, 142).
  12. La Pira, L’anima di un apostolo, cit. 42.
  13. La dimensione della preghiera segna la vita di La Pira sin dalla gioventù. Ne testimonia Fioretta Mazzei che scrive: “Non si immagina fino a che punto egli abbia dato importanza a questo tempo di preghiera, ne scrive moltissimo e ne parla sempre, insiste di fare altrettanto: orientare tutta la giornata intorno all’Eucaristia; farne la preparazione e il ringraziamento; riservare al Signore il tempo migliore, il più vivo, il più attento, il più affettuoso; imparare la ‘dolcezza mite del crocifisso’. (F. Mazzei, Giorgio La Pira. Cose viste e ascoltate, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1980).
  14. Ibid., 27.
  15. G. La Pira, La preghiera forza motrice della storia: lettere ai monasteri femminili di vita contemplativa, a cura di Vittorio Peri, Città nuova, Roma, 2007, 3 marzo 1954, 122.
  16. Ibid., 982.
  17. La Pira, Lettere a casa, cit.,  51.
  18. P. Palagi,Giorgio La Pira. Politica e opzione per i poveri, Dehoniane, Bologna, 1996.
  19. Palagi, Giorgio La Pira, cit., 13-42; 43-74.
  20. Palagi pone in evidenza come l’incontro con i poveri abbia suscitato la sua riflessione sui sistemi economici e la sua opzione a favore di una visione keynesiana della politica economica. Non solo, ma la sua azione è stata intensa e creativa traducendo in scelte operative tale ispirazione: “Egli denuncia con forza la non neutralità della scienza economica e rifiuta ogni sua pretesa di autonomia rispetto all’ordine morale (…). All’epoca di La Pira (ed anche successivamente) non conosciamo un altro sindaco o politico italiano che abbia agito con la stessa determinatezza ed incisività per rendere effettivi i diritti sociali. La requisizione di case sfitte, la non formale solidarietà con gli operai ingiustamente licenziati, la difesa dell’occupazione condotta instancabilmente con tutti i mezzi a disposizione, costituiscono un vero ‘linguaggio’, non meno importante ed efficace di quello scritto” (Ibid., 204-205).
  21. Ibidem., 43-74.
  22. G. La Pira, La preghiera forza motrice della storia, cit., 515.
  23. Vittorio Possenti individua nella lettura di san Tommaso una delle radici del pensiero e dell’impegno di La Pira: “La centralità della persona umana con il valore ultimo dell’atto contemplativo con il quale l’uomo si unisce a Dio” e “la portata storica della risurrezione di Cristo, punto di forza e di propulsione dell’intera storia”.

V. Possenti, “La Pira e san Tommaso nel contesto storico multiculturale di Firenze”, Convegno di studio, 5-7 novembre 1981.

“La Pira non ricorre all’Aquinate per fondare il realismo conoscitivo o per argomentare sulla validità della metafisica dell’essere, cose d’altronde di cui è pienamente convinto, ma per affermare il valore ultimo dell’atto contemplativo e insieme l’essenziale politicità del cristianesimo (e anche dell’intero insegnamento di san Tommaso) da cui trarre le perenni regole della edificazione della civitas humana… dottrina della persona e della società, del diritto e della legge, del bene comune, della proprietà, del fine della società e dello Stato, della guerra eccetera. La ricca eredità tomista viene assunta non come un lascito di tempi ormai lontani da rendere oggetto di ricerche erudite, bensì come una struttura pienamente contemporanea, capace di produrre sempre nuovi frutti, per guidare l’azione storica dei cristiani” (V.Possenti, Giorgio La Pira e il pensiero di san Tommaso, Roma, a cura della PUST, Massimo, Milano 1983, 21; anche Id., La Pira tra storia e profezia con Tommaso maestro, Marietti 1820, Genova 2004).

  1. Cfr. Carnemolla, Un cristiano siciliano, cit. 182-212 in cui viene delineato il percorso che condusse La Pira da Il frontespizio a  Principi, le motivazioni e l’impianto tematico di Principi e i motivi tomistici del pensiero lapiriano in questa fase.
  2. Omaggio al Maestro, in “La Badia” 4, 5 novembre 1980, 12-36, qui 12.
  3. Dossetti nel suo discorso del 5 novembre 1987 osserva che “la fede di La Pira come fede realistica nel Risorto, quale il Polo supremo di attrattiva e di trasfigurazione di tutta la realtà, era già tutta costituita quando lui a 21 anni scriveva la ‘lettera prima’” (p. 14). Dossetti fa riferimento ad una lettera inviata da La Pira del 14 settembre 1925 allo zio, in cui egli scriveva: “Il cattolicesimo … è azione, cooperazione fattiva di Dio e dell’uomo: gettar mille ponti che permettono il passaggio dalla terra a Dio: vuole che ogni uomo esperimenti – sia pure in minima parte – le delizie della santità inizi l’ascesa della scala mistica che Gesù Cristo pose tra la terra e il cielo. Ora questi esperimenti sono concreti, richiedono tutto l’uomo nella sua bellezza interna ed esteriore. La pace che l’animo possiede deve rispandersi sulle cose della terra, per sollevarle, ordinarle, purificarle. E tutta la sublime sapienza della Chiesa, non ha altro fine che questa armonia sempre accresciuta, che questa sempre più perfetta aderenza del mondo esteriore e interiore” (la lettera è pubblicata nel medesimo Quaderno [dicembre 1987] alle pagine 33-37).
  4. La Pira, Omaggio al Maestro, cit., 13.
  5. Ibid., 15.
  6. Ibid., 15. Cfr. anche ibid.: “Due genesi scientifiche analoghe, dovute – in due campi diversi – (diritto e teologia) ed in tempi diversi ad una identica metodologia: applicazione cioè di uno stesso metodo (quello aristotelico) unitivo del sapere: de iure civili in arte redigendo (per un verso) de theologia (si può ben ripetere) in artem redigenda (per un altro verso): una theologia diventata, cioè, nella Summa, un edificio pieno di armonia e di unità, scientificamente perfetto!”.
  7. Alcuni maestri nella fase giovanile di La Pira a Messina, furono Federico Rampolla del Tindaro, suo insegnante di lettere all’Istituto Jaci e don Onofrio Trippodo, amico di Gentile e di ispirazione blondeliana, che lo avviò alla lettura di Maurice Blondel e lo introdusse a conoscere autori importanti per la loro interpretazione della storia come Bossuet (Discorso sulla storia universale), Fornari, Vico e altri; cfr. Nistri, La spiritualità del giovane La Pira, cit. e G. Miligi, Gli anni messinesi, Intilla, Messina 1995, 269.
  8. Cfr. “L’architettura della città dell’uomo non poteva ricavarsi che dalla contemplazione e dalla imitazione dell’architettura della città di Dio” con queste parole La Pira indicava il senso del dialogo che egli intendeva attuare con le suore di clausura (Lettere alle suore di clausura, Immacolata 1952, in Lettere alle suore di clausura 1951-1960, 34).
  9. La Pira, Omaggio al Maestro, cit., 16.
  10. Ugo De Siervo ne riscontra le radici nel contatto tra La Pira e l’insegnamento di padre Cordovani negli anni ’30 a Firenze: dal 1933 al 1937 questo frate domenicano, provinciale dal 1933 della Provincia romana tenne a Firenze un corso di filosofia tomista applicata alla giurisprudenza presso la Facoltà di giurisprudenza. Cordovani divenne un punto di riferimento per l’ambiente cattolico fiorentino: nel 1936 iniziarono le settimane dei laureati cattolici a Camaldoli e dal 1936 si svolgono i primi tre convegni nazionali dei laureati cattolici: cfr. U. De Siervo, I rapporti fra padre Cordovani e La Pira negli anni trenta, in Fondazione Giorgio La Pira, La Pira e gli anni di “Principi”. La riflessione su Tommaso d’Aquino e la lotta alla dittatura, Cultura Nuova, Firenze, 1993, 93-119, in part. 100-105.
  11. La Pira,Omaggio al Maestro, cit., 18.
  12. Ibid.,27.
  13. Cfr. V. Citterich, Un santo al Cremlino. Giorgio La Pira, Milano, Paoline 1987, 110-111.
  14. In Architettura di uno Stato democratico scrive: “quando la Provvidenza mi sottrasse alla mia vita normale di meditazione e di studio e mi portò sugli scanni dell’Assemblea costituente io mi sono trovato nello stato d’animo di un ‘architetto’ cui sia stato affidato il compito di costruire un edificio nuovo al posto di quello vecchio in parte o in tutto crollato … perché è crollato l’edificio costituzionale anteriore? Come edificare questo nuovo edificio costituzionale perché eviti le debolezze intrinseche del precedente …? (G. La Pira, Architettura di uno Stato democratico, Fondazione La Pira, Firenze 1996, 5).
  15. P. L. Ballini, La Pira Sindaco, in La Pira, l’Europa dei popoli e il mondo: le pietre del dialogo, Polistampa, Firenze, 2014, 41-45.
  16. D. Mongillo, La riflessione sull’etica e sulla politica di san Tommaso in “Principi” in Fondazione La Pira, La Pira e gli anni di ‘Principi’, cit., 195-212, qui 207.
  17. P. Giunti, La pietra giuridica, in La Pira, l’Europa dei popoli e il mondo, cit., 109-114.

41.

  1. Cfr. F. Fabbrini, L’influenza del diritto romano sulla spiritualità di Giorgio La Pira, Convegno di studio, Firenze, 5-7 novembre 1981. In una lettera al prof. Betti del 21 febbraio 1927 da Messina La Pira rispondendo ad una sollecitazione del professore che lo spingeva per una scelta di spostamento a Firenze scriveva: “di una cosa voglio rassicurarla, ed è che io ho ben netta innanzi a me la meta che debbo prefiggermi (e che mi sono prefissa): lo studio del diritto romano – Ella lo sa – mi è particolarmente caro: esso trascende il senso comune di studio per assumere – direi – valore di strumento della mia medesima formazione interiore. Ha un valore ideale grandissimo e costituisce il tratto caratteristico della mia persona” (Il carteggio Betti – La Pira, a cura di G. Crifò, Polistampa, Firenze, 2014, 373-374.
  2. La Pira, Lettere a casa, cit., 45.
  3. G. G. Archi, Ricordo di Giorgio La Pira (1904-1977), in “Studia et documenta historiae et iuris” 44 (1978), 632. Cfr. Carnemolla, Un cristiano siciliano, cit., il paragrafo dal titolo “Il professore di diritto romano”, alle pp. 313-322 in cui sono discussi gli studi di G. G. Archi, di F. Fabbrini, P. Grossi e P. Catalano su La Pira docente di diritto.
  4. P. Giunti, La pietra giuridica, cit., 113.
  5. G. La Pira, Architettura di uno Stato democratico, cit. 28.
  6. Ibid.
  7. Cfr. E. Balducci, Giorgio La Pira, San Domenico Fiesole, ed. Cultura della Pace, 1986, 152. Viene riportata la seconda parte del discorso pronunciato il 12 aprile 1954 nella riunione straordinaria del Comitato Internazionale della Croce Rossa a Ginevra (cfr. “La Badia” 3, 5 novembre 1979, 6-10). Balducci osserva come La Pira sostenendo il primato della persona umana aveva maturato uno sguardo di sospetto verso le forme stataliste. Ma il suo pensiero si apre ad una fondamentale dimensione sociale nel suo interpretare le città come luogo di una storia che è storia dei popoli. Ed in questa considerazione agganciava il suo approccio alla questione della pace: “il problema della pace cambia di qualità a seconda che lo si osservi dai culmini dello Stato o dalla cerchia di una città, dall’alto o dal basso, ed ha soluzioni diverse a seconda che lo si affidi al percorso delle trattative o al lungo cammino del cambiamento delle coscienze e delle culture” (Balducci, Giorgio La Pira, 63-64).
  8. “La Badia” 3, 5 novembre 1979, 6-10, cit. in Balducci, Giorgio La Pira, cit. 64.
  9. E’ interessante come nella sua riflessione sulla città confluiscano le radici di un pensiero che pone insieme radice profetica, metafisica e giuridica. Un esempio può essere colto da una conversazione del 1960 alla Facoltà di architettura di Firenze. In esso si può leggere: “Che cos’è … la città? E’ una casa grande, come la casa è una città piccola. E’ il principio comunitario insomma: la casa è parte di un organismo comunitario più grande che è la città. La città offre a ciascuna casa tutto ciò che è necessario per essa. Cosa è necessario per l’individuo? La casa, poi l’officina per lavorare, la scuola per l’intelligenza, l’ospedale per guarire, la chiesa per pregare, il palazzo comunale per le relazioni fra i cittadini. Ecco in che modo abbiamo concepito l’Isolotto, questa città-satellite… Il principio che ci ispira è sempre quello: la difesa della persona umana. Perché ci sono due modi di concepire la comunità: una comunità che diventa una gabbia e opprime la persona, e una comunità che fa contesto con la persona, la integra”. Per giustificare l’idea di una città a stella con una struttura fatta di città satelliti rinvia alla struttura del diritto romano come sapienza legislativa elaborata attorno ad alcuni grandi principi (cfr. La città comunitaria in “La Badia” 3, 5 novembre 1979, 48-50).
  10. G. La Pira, Lettere alle claustrali, Milano, Vita e pensiero, 1978, 3 luglio 1964, 498.
  11. La Pira, La preghiera forza motrice della storia, cit., 29 ottobre 1958, 364.

Telegramma a Sua Santità,  Papa Francesco  

Palazzo Apostolico – 00120 Città del Vaticano

 

Le Associazioni, i Circoli, i Centri Studi e i singoli studiosi  convenuti a Firenze il 2 e 3 ottobre 2015 per il Secondo Incontro Nazionale “Spes contra Spem” sulla figura e l’opera di Giorgio La  Pira, Le partecipano rispettosamente il loro comune dichiarato auspicio per una positiva conclusione del processo di beatificazione di questo cristiano fedele al Magistero della Chiesa, servitore attraverso di Essa del Signore, moderno e concreto interprete della profezia di Pace di Isaia, costruttore di ponti e instancabile operatore per l’unità della famiglia di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e  per la pace nel Mediterraneo – grande lago di Tiberiade – e nel mondo, testimone credibile dei Principi e valori cristiani, coraggioso difensore del valore della persona umana, protettore della “povera gente” – che lo definì Sindaco Santo -, tutore del lavoro e della casa radicata in città – in cui la persona trae perfezione e misura – gemellate  tra loro per unire pacificamente le nazioni del mondo intero, avvocato del Creato affidato in custodia alla genti per trasmetterlo alle generazioni future.

Beatissimo Padre, nel salutarLa e ringraziarLa preghiamo per Lei e per la Sua missione evangelizzatrice e confidiamo nella Sua benedizione.

Spes contra Spem 2015

Intervento di
Paolo Ferretti
Firenze, 3 ottobre 2015

Giorgio La Pira, la famiglia e il Diritto Romano
di Paolo Ferretti

Sommario: 1. Giorgio La Pira: la struttura costituzionale dell’uomo e la formazione della famiglia. — 2. Il matrimonio quale “base e sorgente” della famiglia. — 3. L’indissolubilità del vincolo matrimoniale. — 4. La famiglia e l’edificazione del “nuovo edificio del mondo”. ― 5. Il ruolo del diritto romano nella concezione lapiriana di famiglia.

  1. Giorgio La Pira: la struttura costituzionale dell’uomo e la formazione della famiglia.

La ‘famiglia’ ha rivestito per Giorgio La Pira un interesse ininterrotto fin dal periodo degli studi universitari. Ricordiamo, in proposito, la lettera scritta, ancora studente, a Salvatore Pugliatti (1), lettera nella quale lo informa delle “pregevoli conseguenze” che la sua tesi di laurea sul “carattere costituzionale (in senso di costituzionalità dell’ordine giuridico) della Familia in diritto romano” avrebbe potuto avere per la concezione stessa dello Stato e dell’ordine giuridico, “il quale non è una sovrapposizione esterna, ma procede quale esigenza intrinseca del coesistere degli individui e delle familiae”.

In questo scritto troviamo in nuce tutti gli aspetti della sua concezione di famiglia, aspetti che egli preciserà negli anni successivi.  Ad esempio, nel 1938, nel saggio Architettura del corpo sociale (2), individua la sorgente della famiglia, non in una sorta di costrizione esterna, bensì nella natura stessa dell’uomo ― homo homini amicus, scrive citando S. Tommaso ―: “a causa della loro stessa struttura costituzionale ― fisica e spirituale ― gli uomini hanno bisogno di essere integrati reciprocamente e proporzionalmente gli uni dagli altri (…): in vista di questa integrazione essi sono forniti di una forza ― l’amore ― che reciprocamente li attrae e, attraendoli, reciprocamente e proporzionalmente li integra (…)”.  Per esemplificare il concetto, l’insigne studioso porta l’esempio della famiglia: “Per rendersi conto di tutto ciò basta osservare la struttura secondo la quale naturalmente si costituisce la prima e la fondamentale fra le società umane: la famiglia; in essa troviamo in modo manifesto l’attrazione reciproca e l’integrazione reciproca”. Ancora, nell’articolo Individuo e società (3) del 1945, La Pira ribadisce il concetto: “ogni uomo (…) è inclinato a fondare la società ed a vivere ed a svilupparsi in essa: da qui la famiglia ― con l’affetto interiore che la fonda”.

  1. Il matrimonio quale “base e sorgente” della famiglia.

La natura socievole dell’uomo, ora accennata, conduce alla formazione della famiglia attraverso il matrimonio, definito nel Codice di Camaldoli, alla cui stesura La Pira collabora (4) nel 1943, “base e sorgente” della famiglia (5). Tuttavia, nel pensiero lapiriano il matrimonio trova una collocazione particolare.  Non viene infatti inserito nell’ambito del diritto privato e fatto rientrare nell’ampia categoria dei contratti consensuali.  A più riprese, infatti, egli precisa che “il matrimonio non è un contratto consensuale (come erroneamente si crede) che, come i contratti consensuali, crea fra i due contraenti soltanto un vincolo giuridico (obbligatorio) di diritto privato: un contratto consensuale, cioè, che nasce col consenso e che si può, perciò sciogliere col dissenso o unilateralmente” (6).

Al contrario, il matrimonio è un “atto bilaterale (marito e moglie), consensuale, il quale crea… un organismo; un essere nuovo; una unità (ontologica) sociale nuova”.  E successivamente ribadisce: “questo atto bilaterale crea, perciò, non un contratto, ma una fondazione; crea, ripetiamo, un essere nuovo (sociale); un corpus, una unità ontologica nella quale i due fondatori reciprocamente, ontologicamente, si integrano, dando così fondamento, con la filiazione, agli ulteriori rapporti reali, alle ulteriori integrazioni ontologiche, familiari e sociali” (7). Dunque, il matrimonio, nel pensiero di La Pira, esce dallo spazio del diritto privato e si situa nello spazio del diritto pubblico, ossia in quello spazio che non può essere oggetto di modifica: ius publicum privatorum pactis mutari non potest, afferma Papiniano (8).

  1. L’indissolubilità del vincolo matrimoniale.

La creazione di un nuovo organismo sociale — la famiglia —, avvenuta attraverso il matrimonio, impedisce ai coniugi di sciogliere il vincolo.  Il vincolo matrimoniale, dunque, è indissolubile. Da sottolineare è il fatto che l’indissolubilità non viene ricondotta da La Pira soltanto a fattori religiosi e al celebre principio secondo cui quod Deus coniunxit, homo non separet.  Per poter acquistare cittadinanza nell’ambito politico, infatti, egli è consapevole di dover ricercare l’alleanza di altre ragioni.

In particolare, per quanto riguarda gli aspetti giuridici, La Pira manifesta la sua adesione alla concezione ‘solidaristica del diritto’, la quale trova il proprio punto di riferimento nel pensiero cristiano–sociale, sviluppato soprattutto nel cosiddetto Codice di Malines del 1927, negli Enunciati della Settimana di Camaldoli del 1943 e nel successivo Codice di Camaldoli, pubblicato nel 1945.  Secondo questa visione, il pieno riconoscimento dei diritti dell’individuo non può realizzarsi se non attraverso il contestuale riconoscimento della dimensione comunitaria in cui egli vive, dei diritti delle comunità naturali attraverso le quali si svolge la sua personalità.

In virtù di questa concezione istituzionale del diritto, la famiglia, scaturita dal matrimonio, “è una fondazione; una istituzione, un organismo, un ente, un corpus, che una volta fondata ha in sé la legge del suo essere, della sua indissociabile solidarietà ed unità” (9).  Le parti, nel momento in cui decidono di unirsi in matrimonio, accettano di dare origine ad una nuova istituzione, rinunciando alla libertà che avevano come individui: “l’esistenza e il destino di questa fondazione non è più nella disponibilità dei suoi fondatori: essi non sono più liberi rispetto ad essa” (10).  Concedere, infatti, ai coniugi la possibilità di sciogliere l’unione creata, equivarrebbe, secondo La Pira, a tradire la concezione istituzionalistica a favore di quella individualistica, a degradare il matrimonio da formazione sociale a contratto, a passare dal consortium alla negotiatio, cioè, in ultima analisi, a far prevalere l’interesse personale su quello comunitario (11).

  1. La famiglia e l’edificazione del “nuovo edificio del mondo”.

Un ultimo punto, prima di passare al diritto romano, rimane da trattare: il ruolo della famiglia nella formazione della civiltà.  Al riguardo, abbiamo già accennato alla concezione che La Pira ha della società umana.  Questa si costruisce mediante “la costituzione di gruppi sociali concentrici (…): gli uomini si integrano attraverso la costituzione di gruppi sociali sempre più ampi che, partendo dal gruppo fondamentale ― quello familiare ― attraverso la mediazione di gruppi più comprensivi (città, stato, società degli stati) pervengono ― almeno come conato ― sino alla società universale di tutto il genere umano (…)” (12).

 Dunque, nella visione di La Pira la società appare come l’insieme di una moltitudine di organismi nei quali gli uomini si trovano riuniti.  Ma questa moltitudine di organismi ha un incipit, un inizio: la famiglia.  La Pira ribadisce a più riprese questo concetto, ad esempio, quando, nel 1927, la definisce “istituto primo dell’umanità” (13); ancora, nel 1938 ne scrive come “la prima e la fondamentale fra le società umane” (14); sempre nel 1938 inserisce la famiglia tra i tre “fondamenti naturali della convivenza umana” (15); infine, nel 1973 parla della famiglia come la “pietra di fondazione della città (…) e la pietra costitutiva, angolare, della volta intiera del mondo” (16).

La concezione lapiriana, pertanto, affida alla famiglia un ruolo unico ed insostituibile, quello di essere “la pietra fondamentale ― la pietra d’angolo ―” del “nuovo edificio del mondo”: “Duo… unum! (Genesi, I, 26-27; II, 23-24; Matt., XIX, 3-6). Eccoci all’alba della storia: questa unità bipolare ― fondazione della famiglia! ― è la pietra d’angolo sulla quale si edifica la storia di Israele e del mondo” (17).

  1. Il ruolo del diritto romano nella concezione lapiriana di famiglia.

La concezione lapiriana di famiglia, che abbiamo visto ripercorrendo seppur rapidamente il pensiero dell’insigne studioso, affonda le proprie radici non solo nella riflessione cristiana, ma anche nel diritto romano e, più in generale, nella cultura pagana antica. Riguardo al fatto che la famiglia trovi nella natura umana la sua genesi ― “ogni uomo (…) è inclinato a fondare la società ed a vivere ed a svilupparsi in essa: da qui la famiglia – con l’affetto interiore che la fonda” ―, La Pira richiama innanzitutto il pensiero romano e, in particolare, il passo del De officiis, in cui Cicerone scrive che, ‘essendo per natura comune a tutti gli esseri viventi l’istinto della procreazione, la prima societas è quella coniugale’ (18).  Tuttavia, a La Pira non possono essere sconosciuti i luoghi delle Epistulae morales ad Lucilium, in cui Seneca afferma che l’uomo è spinto ad allacciare rapporti di amicizia a causa di una naturalis inritationam ut aliarum nobis rerum innata dulcedo est, sic amicitiae (19); e, sempre nelle Lettere a Lucilio, leggiamo che la natura nobis amorem indidit mutuum, rendendoci socievoli e capaci di vivere attraverso il reciproco aiuto (20).

Per quanto concerne poi il momento costitutivo della famiglia, l’insigne studioso richiama in modo esplicito il diritto romano. Innanzitutto, il riferimento ad un atto che vede la partecipazione di due persone di sesso diverso viene ancorato alle celebri definizioni di Modestino (21) e di Ulpiano (22), secondo cui le nozze sono coniunctio maris et feminae.  Per l’accenno poi al necessario consenso dei nubendi egli richiama ancora Ulpiano e il suo consensus facit nuptias (23).

Sempre alla giurisprudenza romana classica viene poi ricondotta la stessa nozione di famiglia, quale nuovo organismo sociale.  Scrivendo che “i giuristi romani avevano «visto» — definendo il matrimonio — questa creazione della nuova unità ontologica, questa strutturale «comunione» dei due coniugi che li fa diventare (in certo modo) un solo essere ed una vita sola” (24), egli cita il corpus familiae ulpianeo (25) e continua a richiamare Modestino: nuptiae sunt… consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio (26).

Proprio la sicurezza con cui egli utilizza la riflessione giuridica e non giuridica precristiana ci porta a credere che lo studioso conoscesse, benché non ne faccia esplicita menzione negli interventi visti, un particolare filone del pensiero latino, pensiero in cui si pone l’accento sul matrimonio non quale negotiatio, ma quale consortium, imperniato sulla solidarietà famigliare.  Ci riferiamo, ad esempio, a Quintiliano che descrive la moglie come femina viro nuptiis collocata in societatem vitae (27) e socia torivitae consors (28), oppure a Tacito, il quale definisce i matrimoni consortia rerum secundarum adversarumque (29).

Gli stessi concetti si trovano poi ripetuti negli scrittori cristiani, greci e latini, i quali, sviluppando l’insegnamento evangelico e quello dell’apostolo Paolo — pensiero che La Pira cita più volte —, precisano che il matrimonio non è una kapelei/a, una negotiatio, come tale appartenente al mondo del commercio, ma è una bi/ou koinwni/a (30), una vitae societas (31). E il termine koinwni/a si ritrova già in Aristotele (32), richiamato dall’autorevole studioso per delineare l’idea della società quale mosaico formato da innumerevoli tessere, da innumerevoli comunità, di cui la famiglia costituisce il nucleo più piccolo: la famiglia è la koinwni/a che per natura si costituisce per la vita quotidiana; dall’unione di più famiglie nasce un’altra koinwni/a, il villaggio, e da più villaggi si costituisce la koinwni/a della città.

Il concetto si rinviene pure nella civiltà latina pagana ed è ben presente a La Pira, nelle cui parole ― la famiglia è “la pietra costitutiva, angolare, della volta intiera del mondo” (33)― riecheggiano quelle di Cicerone ― che definisce la famiglia principium urbis et quasi seminarium rei publicae (34) ―, ma soprattutto quelle di Seneca: ‘la nostra società è molto simile ad una volta di pietre, che sta su appunto perché le pietre si sostengono l’una con l’altra, altrimenti cadrebbe’, membra sumus corporis magni (35).  

  1.  G. La Pira, Carissimo Totò (Pozzallo, 21 settembre 1925), in G. La Pira, Lettere a Salvatore Pugliatti (1920–1939) (= Coscienza del tempo, 3), Roma 1980, ora in Idem, Scritti editi 1919–1928, I, Roma 1999, 205.
  2.  G. La Pira, Architettura del corpo sociale, in Il Frontespizio, X, Luglio 1938, n. 7, Firenze 1938, ora in Idem, Scritti editi 1934–1938, cit., III, 506 ss.
  3. G. La Pira, Individuo e società, in La nostra vocazione sociale (= La biblioteca sociale dell’A.V.E., 10), Roma 1945, ora in Idem, Scritti editi 1944–1947, cit., V, 8 ss.
  4. Tra i numerosi collaboratori segnaliamo, ad esempio, Giulio Andreotti, Aurelia Bobbio, Vittore Branca, Giuseppe Capograssi, Franco Feroldi, Mario Ferrari Aggradi, Guido Gonella, Giuseppe Medici, Aldo Moro, Ferruccio Pergolesi, Emilio Taviani, Guido Zappa.
  5. Per la comunità cristiana: principi dell’ordinamento sociale (Codice di Camaldoli), a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli, Roma 1945, ora in G. La Pira, Scritti editi, cit., XXIII, 24 ss.
  6.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, in Prospettive 31, novembre–dicembre 1973, ripubblicato in Idem, Il sentiero di Isaia, Firenze 19792, ora anche in Idem, Scritti editi 1973–1977, cit., XIX, 123.
  7.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 123 s.
  8.  D. 2,14,38 (Pap. 2 quaest.).
  9.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 126.
  10.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 126.
  11.  Cfr. Per la comunità cristiana, cit., 23 ss., in cui si legge che il matrimonio è ordinato, in quanto formazione sociale, “non al bene particolare dell’individuo, ma a quello dei coniugi e dei figli, nonché al bene comune della società”; in questa luce, “non può fondarsi sulla associazione di due egoismi, cospiranti a ricercare il proprio tornaconto, ma si fonda sull’amore”, divenendo luogo in cui il senso sociale della fraternità e della solidarietà tra gli uomini può crescere come modalità naturale della coesistenza. Il matrimonio, dunque, come via privilegiata “per la conquista della pace tra i popoli”.
  12.  G. La Pira, Architettura del corpo sociale, cit., 509 s.
  13.  Lettera del 16 novembre del 1927: G. La Pira, Lettere a casa (1926 – 1977), a cura di D. Pieraccioni, Milano 1981, visto in Antologia di testi romanistici lapiriani, pubblicato in occasione del Convegno “La cattedra “strumento sacro”. Incontro dei romanisti”, Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma ‘La Sapienza’, 11-13 novembre 2004, 6.
  14.  G. La Pira, Architettura del corpo sociale, cit., 509.
  15.  G. La Pira, Problemi di sistematica e problemi di giustizia nella giurisprudenza romana, in Atti del V Congresso nazionale di Studi romani, V, Roma 1946, ora in G. La Pira, Scritti editi 1944–1947, cit., V, 217. Accanto alla famiglia, La Pira pone, quali fondamenti naturali della convivenza umana, la persona e la proprietà.
  16.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 124.
  17.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 128 s.
  18.  Cic., off. 1,17,53-54.
  19.  Sen., epist. 1,9,17. Cfr. anche epist. 5,48,2-3.
  20.  Sen., epist. 15,95,52-53.
  21.  D. 23,2,1 (Modest. 1 reg.): Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio.
  22.  D. 1,1,1,3 (Ulp. 1 inst.): … hinc descendit maris atque feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum procreatio, hinc educatio
  23.  D. 50,17,30 (Ulp. 36 ad Sab.): Nuptias non concubitus, sed consensus facit.
  24.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 124.
  25.  D. 50,16,195,2 (Ulp. 46 ad edict.).
  26.  D. 23,2,1 (Modest. 1 reg.). La Pira richiama anche le Istituzioni (I. 1,9,1): nuptiae autem sive matrimonium…  individuam consuetudinem vitae continens.
  27.   Quint., decl. 247.
  28.  Quint., decl. 376.
  29.  Tac., ann. 3,34; cfr. anche ann. 12,5.
  30.  Si veda, in particolare, Chrys., hom. XII in Col. 7 (in Migne, PG, LXII, 390): hom. LXXIII in Mt. 4 (in Migne, PG, LVIII, 677 s.); laud. Max. 1-2 (in Migne, PG, LI, 226 s.); laud. Max. 4-5 (in Migne, PG, LI, 231 s.); Aster., hom. V in Matth. XIX,3 (in Migne, PG, XL, 228).
  31.  Si veda, ad esempio,Tert., uxor. 2,8 (in Migne, PL, I, 1301 s.). Queste espressioni ricorrono anche in fonti giuridiche: D. 25,2,1 (Paul. 7 ad Sab.); D. 42,1,52 (Tryph. 12 disp.).
  32.  Arist., Polit. 1252 a – 1252 b.
  33.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 124.
  34.  Cic., off. 1,17,54.
  35.  Sen., epist. 15,95,52-53. Cfr. anche Sen., epist. 5,47,14.

Spes contra Spem 2015

Intervento di
Grazia Giovannoni
Firenze, 3 ottobre 2015

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II INCONTRO NAZIONALE
SPES CONTRA SPEM
Firenze 2-3 ottobre 2015

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VENERDÌ 22 MAGGIO 2015

AULA MAGNA DELL’UNIVERSITÀ DI FIRENZE

– Piazza San Marco 4 –

GIORGIO LA PIRA ED EMILIO BETTI: 

DIRITTO, SOCIETÀ , ISTITUZIONI”

ORE 14.30

SALUTI DEL RETTORE DELL’UNIVERSITA’ DI FIRENZE

SALUTI DEL PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE GIORGIO LA PIRA

PRESIDENZA DI FRANCESCO PAOLO CASAVOLA

PRESIDENTE EMERITO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

I SESSIONE

ORE 15  

DIRITTO ROMANO E DIRITTO CIVILE TRA LOGICA E STORIA. 

IL MAGISTERO DI EMILIO BETTI E DI GIORGIO LA PIRA

NATALINO IRTI (ACCADEMIA DEI LINCEI)

EMILIO BETTI: LE CATEGORIE CIVILISTICHE DELL’INTERPRETAZIONE

 

PATRIZIA GIUNTI (UNIVERSITÀ DI FIRENZE)

GIORGIO LA PIRA E L’INSEGNAMENTO DEL DIRITTO ROMANO

 

ANDREA DI PORTO (UNIVERSITÀ DI ROMA “LA SAPIENZA”)

IL DIRITTO ROMANO NEL CARTEGGIO EMILIO BETTI – GIORGIO LA PIRA

SERGIO GIVONE (UNIVERSITÀ DI FIRENZE)

L’ERMENEUTICA TRA FILOSOFIA E DIRITTO: GIORGIO LA PIRA ED EMILIO BETTI

ORE 17.00-17.15

COFFEE BREAK

II SESSIONE

ORE 17.15

SOCIETÀ ED ISTITUZIONI: LA RESPONSABILITÀ DEI GIURISTI

MASSIMO BRUTTI (UNIVERSITÀ DI ROMA “LA SAPIENZA”)

EMILIO BETTI E GIORGIO LA PIRA TRA VALORI CIVILI E PRINCIPI DEMOCRATICI

UGO DE SIERVO (PRESIDENTE EMERITO DELLA CORTE COSTITUZIONALE)

GIORGIO LA PIRA E LA COSTRUZIONE DELLO STATO DEMOCRATICO

PIETRO COSTA (ACCADEMIA DEI LINCEI)

EMILIO BETTI E GIORGIO LA PIRA:

TRA INTERPRETAZIONI DEL DIRITTO E RESPONSABILITÀ POLITICA DEL GIURISTA

CONCLUSIONI

ORE 19.00

CARLO LANZA (UNIVERSITÀ DI NAPOLI)

RICORDANDO GIULIANO CRIFÒ CON IL CARTEGGIO

TRA EMILIO BETTI E GIORGIO LA PIRA

Spes contra Spem 2015: intervento di Ugo De Siervo

Una Costituzione per l’uomo

di Ugo De Siervo (nelle foto a seguire)

  1.  Ricordo che quando, ormai molti anni fa, decisi di dedicare un volume di documentazione al ruolo svolto da Giorgio La Pira nella elaborazione ed adozione della nostra Costituzione (La casa comune. Una costituzione per l’uomo, Cultura ed., Firenze 1979 e 1996), ben pochi ne parlavano e tanto più in termini positivi, mentre venivano invece esaltati i contributi di vari altri costituenti. Il panorama è ormai molto cambiato, tanto che di recente è stato perfino annoverato fra i tre giuristi italiani che più hanno caratterizzato il dibattito costituente.

Ciò forse perché allora esistevano singolari silenzi, equivoci, se non denigrazioni, su di lui e sulla sua opera, mentre lui stesso non si era certo impegnato a ricordare o ad esaltare il contributo dato alla Costituente. E invece non vi è dubbio che La Pira sia stato uno dei primari protagonisti dei confronti costituenti: eletto all’Assemblea costituente nelle liste di Firenze della D.C., è stato fin dall’inizio componente della  “Commissione dei 75” (la Commissione della Costituente che doveva elaborare il progetto di Costituzione); in quest’ambito è stato uno dei due relatori sui principi fondamentali da porre a base del nuovo patto costituzionale; successivamente è stato uno dei due oratori democristiani nella discussione generale sul progetto di Costituzione nell’Assemblea plenaria; al termine dei lavori costituenti è stato chiamato immediatamente ad esprimere la propria valutazione sui maggiori quotidiani e settimanali della sua area politica e culturale.

Ci si deve allora chiedere anzitutto perché mai egli godesse di tale autorevolezza e poi quali siano state le sue fondamentali proposte. Giorgio La Pira nell’agosto 1943, appena due settimane dopo l’arresto di Mussolini e mentre ancora “la guerra  continua” accanto alla Germania nazista, scrive un editoriale su “La Nazione” dal titolo curioso (“Responsabilità del pensiero”) e dal contenuto assai coraggioso in quei giorni tanto tragici. Il giovane professore siciliano vi svolge la tesi che gli uomini di cultura, dinanzi agli evidenti abusi gravissimi perpetrati dal nazi-fascismo ed ai drammatici esiti dei totalitarismi, non possono defilarsi o tirarsi indietro: “Quali responsabilità per la cultura e gli uomini di cultura: echeggia nel cuore quella invettiva tagliente di Gesù: guai a voi scribi e farisei, guai a voi dottori della legge! Qui tutti noi che abbiamo, come che sia, compito di insegnamento –dalla cattedra, col giornale, col libro, con la parola orale o scritta – siamo chiamati ad un esame di coscienza leale e severo. Si dice: è stato violato l’ordine giuridico; sono state lese in radice la dignità e la libertà della persona umana; è stata sostituita la forza al diritto; è stata infranta la legge morale e così via; e va benissimo. Ma io mi domando: tutto questo sconvolgimento giuridico e pratico di valori non può forse presentare titoli di scusa richiamandosi ad un precedente e molto diffuso ed onorato sconvolgimento teoretico?”.

Né il discorso si fermava alla denunzia del “tradimento degli intellettuali” nell’affermazione dei totalitarismi, ma si riferiva anche al necessario impegno per la necessaria rifondazione dello Stato, recuperando dalla “tradizione giuridica latina e cristiana” il principio fondamentale che “non la persona per lo Stato, ma lo Stato per la persona e per tutti gli sviluppi naturali e soprannaturali della persona”. Chi allora scriveva non era certo uno sconosciuto ed il suo esplicito impegno anti-totalitario era ben noto, almeno da quando si era operato il suo doloroso distacco polemico nel 1937/8 dagli amici che dirigevano “Il frontespizio”, proprio su temi come il totalitarismo e le discriminazioni razziali.

Potendo in questa sede soffermarmi solo su pochissimi eventi del periodo bellico, quantomeno occorre riferirsi alla preparazione ed all’edizione di “Principi”, una pubblicazione che esplicitamente voleva cercare di ristabilire i principi di fondo ineliminabili per ogni convivenza politica ed internazionale in un mondo che, invece, ormai a La Pira appariva dominato da discriminazioni, mancanza di libertà, illimitato dominio della forza, classi politiche con a capo “più lupi che pastori”. La Pira riuscì – come ben noto – a far uscire fra il 1939 ed il 1940 dieci numeri di questa coraggiosa rivistina come supplemento a “Vita cristiana”, rivista di “ascetica e mistica” dei domenicani fiorentini, così sfruttando abilmente le carenze dei controlli di polizia su pubblicazioni del genere. Ed anche quando “la rivistina bimestrale” è fatta chiudere dai fascisti con l’accusa di proporre “principii che vorrebbero essere cattolici, cristiani, e invece sono principii della più bell’acqua liberale e democratica” (in fondo, una bella  sintetica recensione!), le minacciose polemiche contro “i pochi impenitenti santommasi con recidiva”, che osano parlare di “eterni valori” e di “primato della legge”, non fermano certo La Pira, che su altri fogli espressivi del mondo cattolico ed in importanti convegni a livello nazionale continua a sviluppare la sua polemica contro “questo dottrinarismo materialista ed antiumano”.

Ma anche a Firenze il giovane professore non si defila affatto, se nel gennaio 1942 deve ancora intervenire minacciosamente il foglio dei fascisti fiorentini contro la Settimana di cultura cattolica tenutasi presso il Convento di S. Marco ed in particolare contro il suo “fervido organizzatore” e cioè l’ “esimio prof. Giorgio La Pira, docente di storia e diritto romano”, reo, tra l’altro, di aver invitato “a concionare un politicante, tal Monsignor Mazzolari, Parroco di Bozzolo”. Al di là delle tante singole vicende, può dirsi che in questa fase La Pira appare come uno dei principali protagonisti del dibattito del mondo cattolico italiano sulla necessità di rifondare la convivenza civile intorno a rinnovati valori umani, ma anche rifiutando, al tempo stesso, il fascino del cosiddetto “Stato cristiano”.

Anche quando deve allontanarsi da Firenze in quanto ricercato, e successivamente rifugiarsi a Roma e poi in Vaticano, viene chiamato a scrivere sui temi delicatissimi della rifondazione dello Stato e della necessità dell’impegno sociale e politico dei cattolici: non a caso tre suoi brevi volumetti, frutto del lavoro di questo tormentato periodo, come Il valore della persona umana, Premesse della politica e La nostra vocazione sociale, hanno rappresentato una lettura obbligata ed assai importante per il mondo cattolico italiano che si affacciava alla politica dopo la liberazione del Paese.

In particolare Giorgio La Pira, collegandosi esplicitamente a quanto a suo tempo affermato da Pio XI, ha più volte ripetuto che l’attività politica rappresenta la più alta attività per il credente, salva la sola attività contemplativa e di preghiera. Al tempo stesso, le durissime lezioni della storia, con tutto ciò che era emerso attraverso l’azione drammatica dei totalitarismi e la dimostrata fragilità delle democrazie, spingono decisamente verso la doverosità dell’impegno politico, tanto da potersi scrivere che “l’orazione non basta; non basta la vita interiore; bisogna che questa vita si costruisca dei canali esterni destinati a farla circolare nella città dell’uomo. Bisogna trasformare la società!”. Proprio l’ampia elaborazione di La Pira sul contributo che possono e devono dare i cattolici alla fondazione dello Stato democratico, lo pone naturalmente come uno dei naturali protagonisti dei confronti relativi alla nuova Costituzione.

Anzi, con l’avvicinarsi della fase costituente, il discorso si fa sempre più concreto e La Pira è anche uno dei protagonisti del complesso dibattito che, ad esempio, si svolge nella Settimana sociale di Firenze dell’ottobre 1945, dedicata appunto a “Costituzione e costituente”. Egli, infatti, evidenzia come necessarie alcune scelte di fondo che successivamente in realtà caratterizzeranno la proposta costituzionale democristiana: la democrazia politica non solo deve essere piena e effettiva, ma deve essere integrata da una democrazia economica e, più in generale, il patto costituente deve essere orientato in modo da garantire la piena tutela di una serie di valori di libertà ed il conseguimento di obiettivi di giustizia. Ma allora questa “Costituzione personalista” deve recuperare soluzioni tecniche ed alcuni valori dalle costituzioni liberal-democratiche, ma riuscire a dare risposte adeguate alle grandi trasformazioni sociali e politiche intervenute e soddisfacenti per tutti, anche per i comunisti ed i socialisti, che condividono con i cattolici la critica allo Stato “borghese capitalista”.

Quanto poi alla tentazione allora ricorrente, specie in parti dell’ambiente ecclesiastico, di caratterizzare in senso clericale lo Stato e la Costituzione, la risposta passa attraverso la individuazione di cosa sia una “Costituzione cristianamente ispirata”: “l’ispirazione cristiana dipende essenzialmente da questo fatto: che l’oggetto della Costituzione, il suo fine, sia la persona umana quale il cattolicesimo la definisce e la mostra. E dipende di conseguenza da quell’altro fatto che tutte le strutture dell’edificio costituzionale siano ordinate a questo fine”. Di qui un ordinamento economico, politico, familiare, culturale, religioso e così via conformi alla natura ed alla dignità della persona umana. Solo di una Costituzione così fatta si può dire davvero che è cristianamente ispirata: “perché l’ispirazione cristiana è incorporata nei suoi istituti, ravviva e finalizza le sue norme, circola nelle sue strutture: in questo caso soltanto l’esplicito riconoscimento della fonte di questa ispirazione verrebbe a costituire il degno coronamento e come la naturale volta dell’edificio costituzionale dello Stato”.

  1. L’impegno diretto nell’Assemblea Costituente non fu voluto da La Pira, che si riteneva semmai adatto ad un ruolo più defilato di sollecitatore culturale, ma le pressioni per coinvolgerlo direttamente furono evidentemente numerose e d’altra parte fondate su quanto lo stesso La Pira aveva scritto circa la doverosità dell’impegno politico per “preparare le nuove strutture sociali nelle quali – come dice Maritain – siano rifratte quelle esigenze di interiorità, libertà e fraternità che sono le esigenze insopprimibili della persona umana”.

In effetti, il nostro paese doveva affrontare una prova non poco impegnativa come l’adozione della Costituzione tramite un’Assemblea costituente per la prima volta rappresentativa delle cittadine e dei cittadini (la precedente Costituzione era stata originata da una “concessione” nel 1848 di Carlo Alberto di Savoia, che ancora parlava di “sudditi”), in un contesto oggettivamente assai difficile: un paese militarmente sconfitto e reduce da un ventennio di regime autoritario, molteplici distruzioni materiali e morali, partiti politici appena riemersi alla legalità con classi politiche nuove e largamente eterogenee, fortissime contrapposizioni politiche ed ideologiche a livello nazionale ed internazionale, settarismi e violenze.

E’ quindi stata una scelta quanto mai opportuna quella del mondo cattolico-democratico di sviluppare alcuni seri confronti sulle prospettive costituzionali e poi di indurre molti autorevoli esperti che lì si erano misurati, come appunto La Pira, a candidarsi per la Costituente.

La larga notorietà di La Pira anche a livello nazionale spiega come, eletto alla Assemblea Costituente, sia subito nominato componente della Commissione dei 75, che doveva proporre il progetto di Costituzione,  ed addirittura incaricato, nell’ambito della prima Sottocommissione,  di redigere una delle due relazioni iniziali sui principi fondamentali e sui diritti e doveri da inserire nella nuova Costituzione.

E’ interessante notare come le proposte di La Pira nella sua relazione appaiano nel fondo molto coerenti con quanto da lui elaborato da almeno un decennio nel filone delle riflessioni sui diritti fondamentali dell’uomo alla luce dell’attualizzazione del pensiero tomista, ma sul piano propositivo anche esplicitamente tributarie di quanto proposto da Mortati in precisi termini giuridici a proposito dei “diritti pubblici subiettivi” e da Mounier in tema di una possibile rinnovata dichiarazione dei diritti dell’uomo. D’altra parte, è ormai noto che durante i lavori della Costituente in varie occasioni La Pira fa omaggio a vari costituenti della traduzione italiana di “Umanesimo integrale”, il  noto volume di Maritain.

Malgrado i molti riferimenti anche al più recente costituzionalismo, però le proposte della sua relazione sollevarono non poche obiezioni, specie per la loro esplicita sincera derivazione dalla tradizione culturale cattolica, se non per il linguaggio utilizzato,  ma forse anche per il tipo di scelte, sia politiche che tecniche, che erano implicite in proposte del genere. Ma poi non si può minimamente sottovalutare che nei lavori della Costituente si manifestavano anche tutte le difficoltà di porre a confronto per la prima volta e su temi di grande complessità, classi politiche provenienti da esperienze e culture tanto diverse (basti ripensare ad un significativo articolo su Rinascita, importante settimanale del PCI, che riferendosi alla Costituzione sovietica del 1936, ne scriveva come della Costituzione “più moderna e più democratica”).

In realtà, allorché si giungerà, dopo un primo difficile e tesissimo confronto, ad un’intesa su quelli che sono divenuti gli attuali articoli 2 e 3 della Costituzione (gli articoli che sinteticamente esprimono le scelte personaliste e comunitarie, il recupero del principio di eguaglianza dinanzi alla legge, ma anche l’impegno che lo Stato democratico si farà carico della rimozione delle disuguaglianze di fatto, se non delle ingiustizie), non verrà in tal modo solo trovato il nucleo di accordo fondamentale su quello che sarà poi denominato come il “compromesso costituzionale” fra i cosiddetti “partiti di massa” e cioè i democristiani, i socialisti ed i comunisti (rappresentati nell’organo in cui avvengono questi confronti, da personaggi come Dossetti, La Pira, Moro, Basso, Togliatti), ma implicitamente si sceglierà anche di adottare una Costituzione rigida, analitica e finalizzata.

Su questa iniziale base di accordo si svilupperà poi tutta la dialettica del confronto costituente, durante il quale certo, accanto a tanti momenti di intese analoghe, non mancheranno anche attriti e aspri conflitti sia su alcuni profili in cui vengono in gioco sensibilità diverse sui valori della convivenza (specie su temi come la famiglia, la scuola, i rapporti fra Stato e confessioni religiose), sia sui diversi modelli di tipo istituzionale. Ad esempio, relativamente alla parte organizzativa dello Stato, la scelta per un ordinamento  pienamente democratico ma accentuatamente bilanciato, garantito ed anche caratterizzato dalla creazione delle Regioni, è originariamente voluta da democristiani e dai movimenti politici della tradizione repubblicana e liberale, mentre deve superare fortissime resistenze dei partiti di ispirazione marxista, prigionieri di una visione semplicistica dell’assetto istituzionale (se addirittura non  affascinati, almeno in parte, da prospettive di trasformazione rivoluzionaria).

Ciò che peraltro appare significativo è che La Pira nel dibattito generale sul complessivo progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione sia uno dei due oratori per il gruppo democristiano, e che in quella sede esprima un giudizio nel complesso decisamente positivo, anche rivendicando esplicitamente ai valori cristiani, interpretati secondo la tradizione tomista, la capacità di fornire a tutti un quadro costituzionale pienamente accettabile.

D’altra parte, gli elementi per lui assolutamente caratterizzanti del nuovo patto costituzionale per una solida democrazia appaiono fondamentalmente solo il riconoscimento del valore assoluto della persona, intesa nella sua concretezza,  e la necessità che ad una naturale “struttura sociale pluralista” corrisponda “un assetto giuridico conforme”. Al di là della piena condivisione del modello istituzionale largamente articolato e pluralistico che viene (pur faticosamente) affermandosi nei lavori della Costituente, La Pira sembra sostenere che l’opzione pluralistica avrebbe dovuto anche comportare la trasformazione delle imprese per garantirvi un ruolo attivo dei lavoratori, l’inserimento nel Senato pure della rappresentanza delle “comunità di lavoro” (senza peraltro cadere nel corporativismo), la previsione ufficiale e la disciplina giuridica dei partiti politici, la garanzia del pluralismo scolastico, il richiamo nella Costituzione dei Patti Lateranensi (“anche se c’è qualche punto che potrebbe essere sottoposto a revisione bilaterale”).

Quanto poi alla polemiche sulla laicità dello Stato, la sua risposta è che se “non dobbiamo fare uno Stato confessionale”, non è neanche accettabile uno Stato che non prenda atto dell’orientazione religiosa di tanti uomini e donne, nonché della necessaria presenza ed azione degli organismi sociali in cui si manifestano le confessioni religiose.

Ma La Pira, da acuto giurista, coglie anche la necessità dell’adozione di norme organizzative efficaci e coerenti con il nuovo sistema di valori che si viene definendo: ad esempio, la decisa richiesta di una autorevole ed autonoma Corte costituzionale (a lungo fortemente osteggiata dai partiti di ispirazione marxista) è motivata sia perché in tal modo si garantisce davvero la superiorità delle disposizioni costituzionali sulla volontà delle forze politiche temporaneamente maggioritarie, sia perché così si dà assicurazione che il futuro legislatore debba rispettare  la visione politica di fondo sottesa alle disposizioni costituzionali che si vengono approvando.

Quanto al notissimo (ma spesso deformato) episodio della proposta di La Pira di far precedere il testo costituzionale dalla premessa “In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione”, anzitutto è bene ricordare che questa proposta viene presentata solo alla fine delle votazioni sugli articoli della Costituzione, che non contiene riferimenti ad una specifica religione e soprattutto che La Pira vorrebbe che fosse adottata “per acclamazione o unanimemente”, poiché a suo parere su di essa potrebbero ritrovarsi tutti, credenti e non credenti: peraltro, dinanzi a diverse obiezioni, malgrado il proprio profondo convincimento sulla sua opportunità  (“ho compiuto secondo la mia coscienza il gesto che dovevo compiere”), ritira la proposta poiché ritiene che non si possa mettere ai voti un richiamo del genere.

D’altra parte, come abbiamo accennato in riferimento al suo intervento svolto durante la Settimana sociale del 1945, per La Pira ciò che effettivamente caratterizza una costituzione è la coerenza sostanziale dei suoi istituti con una serie di valori culturali e di esigenze.

  1. C’è da notare che se La Pira alla Costituente svolge incontestabilmente un ruolo di assoluto rilievo, tuttavia in termini umani non si rende omogeneo alla classe politica che viene formandosi nei partiti e nelle nuove istituzioni repubblicane, restando fortemente caratterizzato dalle sue caratteristiche personali di uomo di cultura dalla fortissima religiosità, “prestato” alla politica o forse – meglio – in essa “inviato”. E c’è anche da dire che già in questa fase non mancano ironie dovute alla sua manifesta “audacia umanamente imprudente ed illogica” (espressione da lui stesso usata nella biografia di Vico Necchi per riferirsi alle modalità da utilizzare per testimoniare pienamente i propri valori), “audacia” che in realtà aveva già usato in vari momenti di confronto nel periodo fascista e che ora lo portano, ad esempio, a utilizzare linguaggi e comportamenti fortemente caratterizzati dalla sua fede, così “scandalizzando” molti, abituati a forme espressive assai più neutre (ma Moro ricorderà la “signorile comprensione” dell’Assemblea costituente dinanzi ad un suo “largo e fermo segno di croce” in occasione di uno dei suoi interventi, forse perché egli aveva non già “ostentato, ma mostrato la sua fede, intuendo che nessuno ne sarebbe stato turbato”). Al tempo stesso, peraltro, su questo personaggio così caratterizzato ed impegnato, continuano ad emergere vere e proprie maldicenze o denigrazioni: se Papini nel 1938 su “Il frontespizio” (nell’articolo Discorsetti ai cattolici) non si era certo trattenuto, ora Benedetto Croce ne scrive come di “un democristiano, che mi dicono un socialista o comunista convertito, che fa vita ascetica in un convento ed insegna diritto nell’Università di Firenze”.

Può essere interessante notare come La Pira, chiamato a commentare su “Cronache sociali” la Costituzione appena approvata con circa il 90% dei voti a favore malgrado un contesto politico ormai durissimo, esprima certo un complessivo giudizio positivo (malgrado alcune “deficienze ed incoerenze”), dopo averla peraltro valutata alla luce non solo della esistenza di solidi principi fondamentali, ma anche della idoneità del nuovo testo costituzionale ad essere davvero “adeguato a quelle riforme di struttura che vanno operate nell’attuale ordinamento sociale, economico e politico”.

Evidentemente pesa molto la preoccupazione, particolarmente forte proprio nel 1948 fra i componenti del cosiddetto “gruppo dossettiano”, che le concrete modalità della ricostruzione economica in corso ed i relativi interventi sociali nel paese non siano coerenti con i principi e valori codificati nel nuovo patto costituzionale. Ciò a cui, infatti, aspira La Pira è un “ordine nuovo” fondato “sul lavoro e non più sul capitale. Un ordine nel quale ogni uomo abbia una funzione costruttiva ed organica nel corpo sociale. Un ordine dove l’eguaglianza, la libertà, la proprietà siano per tutti una realtà e non soltanto un nome”.

Pochissimi anni dopo, nella povera Italia dell’inizio degli anni cinquanta, senza neppure provvedere a ricordare e – tanto meno – ad esaltare il proprio contributo nella elaborazione della Costituzione, sarà Sindaco di Firenze impegnatissimo a cercare di tradurre in attività amministrativa i nuovi valori e principi: nel convegno del 1951 dei laureati cattolici, anzi, dirà anche che forse era più facile scrivere alcune norme che ora attuarle. Pertanto la sua nuova “trincea” era mutata ed ora consisteva nella soddisfazione dei bisogni essenziali dei cittadini: “la casa, il lavoro, l’assistenza”.

Ma ben presto inizierà ad utilizzare anche le nuove disposizioni costituzionali di principio per giustificare alcune sue coraggiose iniziative di amministratore locale.