Omelia del Cardinale Saraiva Martins
TRENTESIMO DELLA MORTE DI LA PIRA
1. Sono venuto con grande piacere in questa splendida basilica e mi unisco con gioia alla letizia della Chiesa di Firenze che oggi, 5 novembre, fa memoria dei suoi santi, i santi fiorentini e quelli delle altre diocesi della Toscana: onorandoli tutti insieme, quelli anche canonizzati dalla Chiesa ma la cui memoria non ha trovato posto nel calendario liturgico e quelli, rimasti anonimi, certamente i più numerosi. I santi sono il patrimonio più prezioso di una Chiesa Diocesana. Sono frutto dell’albero della vita, del Verbo Incarnato Redentore, dice Santa Caterina da Siena, “e benché vadano per diverse vie, tutti corrono per la strada del fuoco della tua Carità”. E’ ben giusto, quindi, ringraziare il Signore per questi doni mirabili di santità che Egli ha fatto germogliare nella sua Chiesa.
La celebrazione che ho la gioia di presiedere si svolge in questa basilica di San Marco, dove è particolarmente vivo il ricordo del grande Arcivescovo Antonino Pierozzi, del Beato Angelico, di Girolamo Savonarola. Si svolge – ed è una coincidenza significativa e vorrei dire provvidenziale – nel trentesimo anniversario della morte di Giorgio La Pira, questa straordinaria figura di cristiano che nel Convento di San Marco ha vissuto, terziario domenicano fedelissimo alla sua consacrazione e sindaco della vostra città, profeta della pace e dell’unità tra i popoli.
La Pira è un’altra delle stelle che splendono nel cielo di Firenze, quella Firenze che lui amava definire: “città teologale, città di perfetta bellezza, perla del mondo”[1]. I santi sono il Vangelo vissuto. Il Vangelo, diceva san Francesco di Sales, è come lo spartito musicale dove sono scritte le note della partitura; ma i santi sono l’esecuzione musicale, sono la musica cantata: ce la fanno gustare. E La Pira questa melodia straordinaria l’ha fatta sentire davvero e non solo a voi fiorentini: veramente luce sul candelabro, città sul monte e perciò è ben giusta l’attesa trepidante che venga presto il giorno in cui la sua luce possa illuminare in tutta la chiesa, con la sua elevazione all’onore degli altari.
2. Nella prima lettura testé proclamata (I Cor. 12,4-11) il capitolo 12 della Prima ai Corinzi, l’apostolo Paolo ci invita a riflettere sul mistero della Chiesa corpo di Cristo: un solo corpo, pur formato da molte membra, arricchito da tanti doni, da tanti carismi, tutti ugualmente provenienti dall’unico Spirito. “Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito”. Il corpo di Cristo, di Cristo Risorto! Che rilievo straordinario ha avuto, nell’esperienza cristiana di Giorgio La Pira, nel suo apostolato, nella sua testimonianza la riflessione sul mistero della Chiesa, Corpo di Cristo, strumento di salvezza per tutti i popoli!
Ho potuto leggere in questi giorni la lettera che La Pira invia, in data 30 agosto 1971, giorno della festa di Santa Rosa da Lima. Il nome della santa, come La Pira è solito fare, è annotato scrupolosamente, accanto alla data, in fondo alla pagina. La lettera è inviata a mons. Carlo Maccari a quel tempo arcivescovo di Ancona e segretario della Commissione Episcopale per l’Azione Cattolica. La lettera è un documento di grande impegno: raccoglie non solo la visione teologica e spirituale di Giorgio La Pira ma è anche una pagina di forte sapore autobiografico, dove è riassunta la sua esperienza di laico cristiano e la sua vocazione di testimonianza nel mondo.
La Pira parte da una domanda che nella sua esperienza è una domanda fondamentale: Il senso della storia. “In questa fine estate 1971 – scrive La Pira – la speranza di Cristo, della Chiesa, della storia costituiscono ancora (come sarà sempre!) il tema della comune riflessione cristiana: “Chi siamo? Dove va la barca della Chiesa? Dove va la barca (è la stessa!) della storia?”.
3. La speranza. L’inizio della lettera è nel segno della speranza, la speranza teologale ed è già tanto significativo per cogliere quello che è stato forse il vero carisma di La Pira: la sua capacità di essere testimone della speranza cristiana, dovunque, nella Chiesa, nella vita pubblica, nel mondo. Giustamente la Chiesa italiana, al Convegno di Verona dello scorso anno, incentrato proprio su questo tema, ha scelto La Pira tra i suoi testimoni. Qual è la speranza di La Pira? Dove si appoggia? Diciamo subito che non è un sentimento vago, una nota di ottimismo più o meno ingenuo che fa parte del suo carattere. La speranza per La Pira ha un volto preciso: è una persona. E’, come per l’apostolo Paolo, “Cristo Gesù nostra speranza” (I Tim. 1,1). E’ Gesù Cristo morto e risorto. Anche lui, come l’apostolo Paolo, ci dice con la stessa tranquilla sicurezza, con la stessa forza: “So a chi ho creduto” ( II Tim. 1,12) L’incontro con Cristo, secondo quanto lui stesso confida, si fa risalire alla Pasqua del 1924, La Pira aveva vent’anni. La data la metterà in grande evidenza sulla pagina del suo Digesto: A 20 anni: epoca di luce e inizio di Unione col Maestro. 1° S. Pasqua. Un incontro definitivo, senza rimpianti, senza compromessi. Un laico cristiano, convinto della sua vocazione, che sceglie Cristo Gesù e sceglie per tutta la vita. “Sono solo un giovane – dirà – cui Gesù ha fatto una grazia grande: il desiderio sconfinato di amarlo e di farlo sconfinatamente amare” [2].
La visione di La Pira è una visione di fede. Muove dalla fede. Muove dalla confessione di Pietro: Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente.
Cristo, il Figlio del Dio vivente è, per lui, il punto fermo, il punto assiometrico, il punto di Archimede nel mondo. “Cristo Risorto (fisicamente risorto: tomba vuota) è “il fatto” (l’evento) che condiziona – finalizzandola – tutta la creazione fisica e storica”, scrive La Pira. Ora questa risposta si tratta di situarla, di collocarla “nel contesto dell’età presente”. E “proprio partendo da questo contesto si tratta di annunziare il mistero di Cristo risorto, fonte dell’acqua viva, destinata a bagnare tutta la terra, tutti i secoli, tutti i popoli e tutte le civiltà”. La Pira ci ripropone, con la forza con cui ha saputo compierlo nella sua giovinezza, il suo atto di fede in Cristo: la scelta di Pietro, la scelta della sua giovinezza. E’ Cristo la nostra speranza, la speranza del mondo.
4. La seconda scelta da fare, nella visione di La Pira, è quella che lui chiama la scelta della samaritana: la scelta della grazia. La Pira ha una forte dimensione mistica. Cristo Risorto è venuto a partecipare a tutti gli uomini la vita soprannaturale. “La Samaritana, scrive ancora a Mons. Maccari, ha scelto quest’acqua”. Il 1971 fu tempo di contestazione: una contestazione che si avverte anche all’interno della Chiesa. Il secolarismo la sta contagiando. La teologia della liberazione insiste molto sull’azione sociale e politica. Commuove, perciò, la fedeltà di La Pira, la convinzione che non è possibile operare senza Cristo, che solo la grazia è efficace. Scrive a Maccari: Fecisti nos ad Te et inquietum est cor nostrum donec requiescat in Te. Questa “legge agostiniana” è oggi in certo senso più obbligante e più urgente di ieri… C’è una grande domanda di Dio “nei mercati del mondo”. E’ una scelta, quella della Samaritana, che include il tema della preghiera, della vita interiore, dell’ascesi, dell’unione interiore,”mente et affectu”, con Dio presente in noi. L’esperienza mistica di La Pira è di valore altissimo: le lettere alle claustrali, insieme alle lettere al Carmelo sono pagine che appartengono – ormai – alla storia della spiritualità cristiana tra le più alte del nostro tempo.
Scrive, per citare un esempio, in una lettera ad una suora del Carmelo di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi: “L’essenza della santità e quella dell’apostolato è questa: essere una trasparenza di Dio, investiti della sua luce, penetrati dalla sua carità”. [3] E ancora “Il cielo non è solo il Regno del Padre celeste, della Trinità, degli angeli: è il Regno dei risorti… Il cielo è casa nostra, abitazione nostra, città nostra…”. [4] La Pira è un uomo di preghiera, che crede nella preghiera. La mobilitazione di tutte le suore di clausura del mondo associate nella preghiera alla sua azione per la pace, per la giustizia, per l’unità dei popoli obbedisce a questa convinzione.
5. L’altro caposaldo, nella visione teologica e spirituale di La Pira, è la Chiesa, la Chiesa cattolica. E’ l’altro punto fermo, è quella che, nella lettera a mons. Maccari, egli chiama la scelta di Cesarea.
“Cristo sceglie qui a Cesarea, “città romana” non solo il capo della Chiesa, ma anche la sede centrale della Chiesa, sceglie Roma. (…) Proprio oggi – aggiunge La Pira – in questa età caratterizzata dalla inevitabile “unità e cattolicità” dei popoli, l’unità romana della Chiesa cattolica assume un’importanza essenziale appunto per la unificazione, pacificazione e promozione del mondo”.
La Pira è uno dei primissimi ad aderire alla Comunità dei Missionari della regalità, fondata dal P. Gemelli. Questa vocazione e consacrazione come missionario della regalità di Cristo La Pira non la rinnegherà mai. Come missionario egli si sente a servizio della Chiesa. E’ un laico cristiano, che conosce la Summa teologica di San Tommaso d’Aquino, che ne fa oggetto continuo di studio e riflessione, che custodisce gelosamente e professa con assoluta fedeltà tutto il patrimonio di fede così come è definito dalla Chiesa cattolica. Ha scritto pagine di grande profondità e rigore teologico: memorabile il suo saggio, comparso su Cronache sociali, quando, nel 1950, fu definito da Pio XII il dogma dell’Assunzione di Maria Santissima al cielo. Eppure veste l’abito laico in modo convinto. Vuole, come missionario della regalità, rimanere laico per poter essere con più efficacia missionario nel mondo. Essere laico significa servizio alla Chiesa nella testimonianza al Vangelo, ma senza chiedere privilegi, protezioni o riconoscimenti. La Pira agisce in nome proprio, con un progetto di cui si assume la responsabilità, progetto che privilegia gli spazi ancora inesplorati dei popoli nuovi: ubi Christus non est nominatus. La Pira è convinto che questo servizio, questo apostolato, da laico può farlo meglio con più libertà e credibilità.
6. L’ultimo punto, l’ultimo caposaldo della visione spirituale e teologica di La Pira è quella che lui, nella lettera a Mons. Maccari, chiama la scelta di Nazaret, la scelta di Isaia. Isaia è il suo profeta, il profeta della pace e della giustizia. La Pira fa qui riferimento al discorso programmatico del Signore nella sinagoga di Nazaret così come è riferito nel vangelo di Luca al capitolo 4. “A Nazaret – scrive – nel suo “discorso programmatico” (il primo!) il Signore indica “le frontiere di Isaia”, “la Terra promessa” della unità, della pace, della liberazione da ogni oppressione dei popoli di tutta la terra. Il cammino della storia – sotto il sogno vivificante e orientatore dello Spirito Santo; di Cristo Risorto, della Chiesa, avrà, come suo punto terminale, la pace, l’unità e la promozione e liberazione terrestre dei popoli”.
Questo è il La Pira politico. La Pira ha avuto in questo senso un ruolo veramente profetico. Tutta la sua azione come sindaco di Firenze e come uomo politico è volta a costruire l’unità della famiglia dei popoli: i popoli che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo uniti dal “destino” comune di famiglia abramitica ma anche di tutta la famiglia umana. Siamo tornati al punto di partenza: Cristo Risorto, l’attrazione verso Cristo, Cristo come “la chiave, il centro, il fine di tutta la storia umana”. E’ Lui il punto di convergenza. “Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me” (Gv 12,32).
7. Un’ultima riflessione vorrei farla sulla testimonianza cristiana di La Pira nella povertà, nella purezza di cuore, nella libertà evangelica. Questa testimonianza ci viene ricordata dalla pagina evangelica che abbiamo ascoltato (Lc 12,22-32): “Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete, né per il vostro corpo, come lo vestirete… cercate piuttosto il regno di Dio e queste cose vi saranno date in aggiunta… Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”. I testimoni sono concordi nel riconoscergli questo carisma di libertà cristiana, sottratta ad ogni logica umana di ambizione al successo, di interesse personale, di compromissione di qualsiasi tipo di povertà e trasparenza evangelica vissuta in assoluta semplicità. Il suo distacco dal danaro, il suo passare per le strade di Firenze con la gioia di chi è davvero povero tra i poveri ha già dato origine ad un’aneddotica molto bella che ha il sapore degli antichi fioretti francescani. Voi la conoscete bene e la raccontate meglio di me. La Pira è passato per le strade del mondo con una leggerezza e una semplicità nella quale era impossibile non riconoscere il Vangelo.
Ritorniamo – per concludere – alla lettera inviata da La Pira a Mons. Maccari il 30 agosto 1971, quella attraverso la quale abbiamo cercato di ritrovare la sua visione teologica e spirituale della vita cristiana e della storia. La lettera si conclude con una preghiera. Dice La Pira: “Il Signore, per l’intercessione di Maria, ci dia la grazia di essere “indicatori” ed “operatori” di questa speranza celeste e terrestre, divina ed umana.
La Pira è stato, davvero, un “indicatore” una freccia che ha aiutato tutti a trovare la direzione di marcia. Nella sua azione sociale e politica La Pira non ha mai dimenticato la prospettiva escatologica. E’ la meta che non ha mai perso di vista e che si è sempre impegnato ad indicare, anche a noi questa sera, affinché Cristo sia davvero la nostra speranza.
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[1] Giorgio La Pira, La preghiera forza motrice della storia, Città Nuova 2007, pag. 518-519
1 Lettera ad Andrea Frémiot del 5 ottobre 1604.
2. G. L Pira. Lettere al Carmelo, Milano 1985 pag. 25.
3 Lettere al Carmelo, o.c. XXII
4 G. La Pira. Lettere alle claustrali, Milano 1978, lettera XXX