Spes contra Spem 2015

Intervento di
Paolo Ferretti
Firenze, 3 ottobre 2015

Giorgio La Pira, la famiglia e il Diritto Romano
di Paolo Ferretti

Sommario: 1. Giorgio La Pira: la struttura costituzionale dell’uomo e la formazione della famiglia. — 2. Il matrimonio quale “base e sorgente” della famiglia. — 3. L’indissolubilità del vincolo matrimoniale. — 4. La famiglia e l’edificazione del “nuovo edificio del mondo”. ― 5. Il ruolo del diritto romano nella concezione lapiriana di famiglia.

  1. Giorgio La Pira: la struttura costituzionale dell’uomo e la formazione della famiglia.

La ‘famiglia’ ha rivestito per Giorgio La Pira un interesse ininterrotto fin dal periodo degli studi universitari. Ricordiamo, in proposito, la lettera scritta, ancora studente, a Salvatore Pugliatti (1), lettera nella quale lo informa delle “pregevoli conseguenze” che la sua tesi di laurea sul “carattere costituzionale (in senso di costituzionalità dell’ordine giuridico) della Familia in diritto romano” avrebbe potuto avere per la concezione stessa dello Stato e dell’ordine giuridico, “il quale non è una sovrapposizione esterna, ma procede quale esigenza intrinseca del coesistere degli individui e delle familiae”.

In questo scritto troviamo in nuce tutti gli aspetti della sua concezione di famiglia, aspetti che egli preciserà negli anni successivi.  Ad esempio, nel 1938, nel saggio Architettura del corpo sociale (2), individua la sorgente della famiglia, non in una sorta di costrizione esterna, bensì nella natura stessa dell’uomo ― homo homini amicus, scrive citando S. Tommaso ―: “a causa della loro stessa struttura costituzionale ― fisica e spirituale ― gli uomini hanno bisogno di essere integrati reciprocamente e proporzionalmente gli uni dagli altri (…): in vista di questa integrazione essi sono forniti di una forza ― l’amore ― che reciprocamente li attrae e, attraendoli, reciprocamente e proporzionalmente li integra (…)”.  Per esemplificare il concetto, l’insigne studioso porta l’esempio della famiglia: “Per rendersi conto di tutto ciò basta osservare la struttura secondo la quale naturalmente si costituisce la prima e la fondamentale fra le società umane: la famiglia; in essa troviamo in modo manifesto l’attrazione reciproca e l’integrazione reciproca”. Ancora, nell’articolo Individuo e società (3) del 1945, La Pira ribadisce il concetto: “ogni uomo (…) è inclinato a fondare la società ed a vivere ed a svilupparsi in essa: da qui la famiglia ― con l’affetto interiore che la fonda”.

  1. Il matrimonio quale “base e sorgente” della famiglia.

La natura socievole dell’uomo, ora accennata, conduce alla formazione della famiglia attraverso il matrimonio, definito nel Codice di Camaldoli, alla cui stesura La Pira collabora (4) nel 1943, “base e sorgente” della famiglia (5). Tuttavia, nel pensiero lapiriano il matrimonio trova una collocazione particolare.  Non viene infatti inserito nell’ambito del diritto privato e fatto rientrare nell’ampia categoria dei contratti consensuali.  A più riprese, infatti, egli precisa che “il matrimonio non è un contratto consensuale (come erroneamente si crede) che, come i contratti consensuali, crea fra i due contraenti soltanto un vincolo giuridico (obbligatorio) di diritto privato: un contratto consensuale, cioè, che nasce col consenso e che si può, perciò sciogliere col dissenso o unilateralmente” (6).

Al contrario, il matrimonio è un “atto bilaterale (marito e moglie), consensuale, il quale crea… un organismo; un essere nuovo; una unità (ontologica) sociale nuova”.  E successivamente ribadisce: “questo atto bilaterale crea, perciò, non un contratto, ma una fondazione; crea, ripetiamo, un essere nuovo (sociale); un corpus, una unità ontologica nella quale i due fondatori reciprocamente, ontologicamente, si integrano, dando così fondamento, con la filiazione, agli ulteriori rapporti reali, alle ulteriori integrazioni ontologiche, familiari e sociali” (7). Dunque, il matrimonio, nel pensiero di La Pira, esce dallo spazio del diritto privato e si situa nello spazio del diritto pubblico, ossia in quello spazio che non può essere oggetto di modifica: ius publicum privatorum pactis mutari non potest, afferma Papiniano (8).

  1. L’indissolubilità del vincolo matrimoniale.

La creazione di un nuovo organismo sociale — la famiglia —, avvenuta attraverso il matrimonio, impedisce ai coniugi di sciogliere il vincolo.  Il vincolo matrimoniale, dunque, è indissolubile. Da sottolineare è il fatto che l’indissolubilità non viene ricondotta da La Pira soltanto a fattori religiosi e al celebre principio secondo cui quod Deus coniunxit, homo non separet.  Per poter acquistare cittadinanza nell’ambito politico, infatti, egli è consapevole di dover ricercare l’alleanza di altre ragioni.

In particolare, per quanto riguarda gli aspetti giuridici, La Pira manifesta la sua adesione alla concezione ‘solidaristica del diritto’, la quale trova il proprio punto di riferimento nel pensiero cristiano–sociale, sviluppato soprattutto nel cosiddetto Codice di Malines del 1927, negli Enunciati della Settimana di Camaldoli del 1943 e nel successivo Codice di Camaldoli, pubblicato nel 1945.  Secondo questa visione, il pieno riconoscimento dei diritti dell’individuo non può realizzarsi se non attraverso il contestuale riconoscimento della dimensione comunitaria in cui egli vive, dei diritti delle comunità naturali attraverso le quali si svolge la sua personalità.

In virtù di questa concezione istituzionale del diritto, la famiglia, scaturita dal matrimonio, “è una fondazione; una istituzione, un organismo, un ente, un corpus, che una volta fondata ha in sé la legge del suo essere, della sua indissociabile solidarietà ed unità” (9).  Le parti, nel momento in cui decidono di unirsi in matrimonio, accettano di dare origine ad una nuova istituzione, rinunciando alla libertà che avevano come individui: “l’esistenza e il destino di questa fondazione non è più nella disponibilità dei suoi fondatori: essi non sono più liberi rispetto ad essa” (10).  Concedere, infatti, ai coniugi la possibilità di sciogliere l’unione creata, equivarrebbe, secondo La Pira, a tradire la concezione istituzionalistica a favore di quella individualistica, a degradare il matrimonio da formazione sociale a contratto, a passare dal consortium alla negotiatio, cioè, in ultima analisi, a far prevalere l’interesse personale su quello comunitario (11).

  1. La famiglia e l’edificazione del “nuovo edificio del mondo”.

Un ultimo punto, prima di passare al diritto romano, rimane da trattare: il ruolo della famiglia nella formazione della civiltà.  Al riguardo, abbiamo già accennato alla concezione che La Pira ha della società umana.  Questa si costruisce mediante “la costituzione di gruppi sociali concentrici (…): gli uomini si integrano attraverso la costituzione di gruppi sociali sempre più ampi che, partendo dal gruppo fondamentale ― quello familiare ― attraverso la mediazione di gruppi più comprensivi (città, stato, società degli stati) pervengono ― almeno come conato ― sino alla società universale di tutto il genere umano (…)” (12).

 Dunque, nella visione di La Pira la società appare come l’insieme di una moltitudine di organismi nei quali gli uomini si trovano riuniti.  Ma questa moltitudine di organismi ha un incipit, un inizio: la famiglia.  La Pira ribadisce a più riprese questo concetto, ad esempio, quando, nel 1927, la definisce “istituto primo dell’umanità” (13); ancora, nel 1938 ne scrive come “la prima e la fondamentale fra le società umane” (14); sempre nel 1938 inserisce la famiglia tra i tre “fondamenti naturali della convivenza umana” (15); infine, nel 1973 parla della famiglia come la “pietra di fondazione della città (…) e la pietra costitutiva, angolare, della volta intiera del mondo” (16).

La concezione lapiriana, pertanto, affida alla famiglia un ruolo unico ed insostituibile, quello di essere “la pietra fondamentale ― la pietra d’angolo ―” del “nuovo edificio del mondo”: “Duo… unum! (Genesi, I, 26-27; II, 23-24; Matt., XIX, 3-6). Eccoci all’alba della storia: questa unità bipolare ― fondazione della famiglia! ― è la pietra d’angolo sulla quale si edifica la storia di Israele e del mondo” (17).

  1. Il ruolo del diritto romano nella concezione lapiriana di famiglia.

La concezione lapiriana di famiglia, che abbiamo visto ripercorrendo seppur rapidamente il pensiero dell’insigne studioso, affonda le proprie radici non solo nella riflessione cristiana, ma anche nel diritto romano e, più in generale, nella cultura pagana antica. Riguardo al fatto che la famiglia trovi nella natura umana la sua genesi ― “ogni uomo (…) è inclinato a fondare la società ed a vivere ed a svilupparsi in essa: da qui la famiglia – con l’affetto interiore che la fonda” ―, La Pira richiama innanzitutto il pensiero romano e, in particolare, il passo del De officiis, in cui Cicerone scrive che, ‘essendo per natura comune a tutti gli esseri viventi l’istinto della procreazione, la prima societas è quella coniugale’ (18).  Tuttavia, a La Pira non possono essere sconosciuti i luoghi delle Epistulae morales ad Lucilium, in cui Seneca afferma che l’uomo è spinto ad allacciare rapporti di amicizia a causa di una naturalis inritationam ut aliarum nobis rerum innata dulcedo est, sic amicitiae (19); e, sempre nelle Lettere a Lucilio, leggiamo che la natura nobis amorem indidit mutuum, rendendoci socievoli e capaci di vivere attraverso il reciproco aiuto (20).

Per quanto concerne poi il momento costitutivo della famiglia, l’insigne studioso richiama in modo esplicito il diritto romano. Innanzitutto, il riferimento ad un atto che vede la partecipazione di due persone di sesso diverso viene ancorato alle celebri definizioni di Modestino (21) e di Ulpiano (22), secondo cui le nozze sono coniunctio maris et feminae.  Per l’accenno poi al necessario consenso dei nubendi egli richiama ancora Ulpiano e il suo consensus facit nuptias (23).

Sempre alla giurisprudenza romana classica viene poi ricondotta la stessa nozione di famiglia, quale nuovo organismo sociale.  Scrivendo che “i giuristi romani avevano «visto» — definendo il matrimonio — questa creazione della nuova unità ontologica, questa strutturale «comunione» dei due coniugi che li fa diventare (in certo modo) un solo essere ed una vita sola” (24), egli cita il corpus familiae ulpianeo (25) e continua a richiamare Modestino: nuptiae sunt… consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio (26).

Proprio la sicurezza con cui egli utilizza la riflessione giuridica e non giuridica precristiana ci porta a credere che lo studioso conoscesse, benché non ne faccia esplicita menzione negli interventi visti, un particolare filone del pensiero latino, pensiero in cui si pone l’accento sul matrimonio non quale negotiatio, ma quale consortium, imperniato sulla solidarietà famigliare.  Ci riferiamo, ad esempio, a Quintiliano che descrive la moglie come femina viro nuptiis collocata in societatem vitae (27) e socia torivitae consors (28), oppure a Tacito, il quale definisce i matrimoni consortia rerum secundarum adversarumque (29).

Gli stessi concetti si trovano poi ripetuti negli scrittori cristiani, greci e latini, i quali, sviluppando l’insegnamento evangelico e quello dell’apostolo Paolo — pensiero che La Pira cita più volte —, precisano che il matrimonio non è una kapelei/a, una negotiatio, come tale appartenente al mondo del commercio, ma è una bi/ou koinwni/a (30), una vitae societas (31). E il termine koinwni/a si ritrova già in Aristotele (32), richiamato dall’autorevole studioso per delineare l’idea della società quale mosaico formato da innumerevoli tessere, da innumerevoli comunità, di cui la famiglia costituisce il nucleo più piccolo: la famiglia è la koinwni/a che per natura si costituisce per la vita quotidiana; dall’unione di più famiglie nasce un’altra koinwni/a, il villaggio, e da più villaggi si costituisce la koinwni/a della città.

Il concetto si rinviene pure nella civiltà latina pagana ed è ben presente a La Pira, nelle cui parole ― la famiglia è “la pietra costitutiva, angolare, della volta intiera del mondo” (33)― riecheggiano quelle di Cicerone ― che definisce la famiglia principium urbis et quasi seminarium rei publicae (34) ―, ma soprattutto quelle di Seneca: ‘la nostra società è molto simile ad una volta di pietre, che sta su appunto perché le pietre si sostengono l’una con l’altra, altrimenti cadrebbe’, membra sumus corporis magni (35).  

  1.  G. La Pira, Carissimo Totò (Pozzallo, 21 settembre 1925), in G. La Pira, Lettere a Salvatore Pugliatti (1920–1939) (= Coscienza del tempo, 3), Roma 1980, ora in Idem, Scritti editi 1919–1928, I, Roma 1999, 205.
  2.  G. La Pira, Architettura del corpo sociale, in Il Frontespizio, X, Luglio 1938, n. 7, Firenze 1938, ora in Idem, Scritti editi 1934–1938, cit., III, 506 ss.
  3. G. La Pira, Individuo e società, in La nostra vocazione sociale (= La biblioteca sociale dell’A.V.E., 10), Roma 1945, ora in Idem, Scritti editi 1944–1947, cit., V, 8 ss.
  4. Tra i numerosi collaboratori segnaliamo, ad esempio, Giulio Andreotti, Aurelia Bobbio, Vittore Branca, Giuseppe Capograssi, Franco Feroldi, Mario Ferrari Aggradi, Guido Gonella, Giuseppe Medici, Aldo Moro, Ferruccio Pergolesi, Emilio Taviani, Guido Zappa.
  5. Per la comunità cristiana: principi dell’ordinamento sociale (Codice di Camaldoli), a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli, Roma 1945, ora in G. La Pira, Scritti editi, cit., XXIII, 24 ss.
  6.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, in Prospettive 31, novembre–dicembre 1973, ripubblicato in Idem, Il sentiero di Isaia, Firenze 19792, ora anche in Idem, Scritti editi 1973–1977, cit., XIX, 123.
  7.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 123 s.
  8.  D. 2,14,38 (Pap. 2 quaest.).
  9.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 126.
  10.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 126.
  11.  Cfr. Per la comunità cristiana, cit., 23 ss., in cui si legge che il matrimonio è ordinato, in quanto formazione sociale, “non al bene particolare dell’individuo, ma a quello dei coniugi e dei figli, nonché al bene comune della società”; in questa luce, “non può fondarsi sulla associazione di due egoismi, cospiranti a ricercare il proprio tornaconto, ma si fonda sull’amore”, divenendo luogo in cui il senso sociale della fraternità e della solidarietà tra gli uomini può crescere come modalità naturale della coesistenza. Il matrimonio, dunque, come via privilegiata “per la conquista della pace tra i popoli”.
  12.  G. La Pira, Architettura del corpo sociale, cit., 509 s.
  13.  Lettera del 16 novembre del 1927: G. La Pira, Lettere a casa (1926 – 1977), a cura di D. Pieraccioni, Milano 1981, visto in Antologia di testi romanistici lapiriani, pubblicato in occasione del Convegno “La cattedra “strumento sacro”. Incontro dei romanisti”, Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma ‘La Sapienza’, 11-13 novembre 2004, 6.
  14.  G. La Pira, Architettura del corpo sociale, cit., 509.
  15.  G. La Pira, Problemi di sistematica e problemi di giustizia nella giurisprudenza romana, in Atti del V Congresso nazionale di Studi romani, V, Roma 1946, ora in G. La Pira, Scritti editi 1944–1947, cit., V, 217. Accanto alla famiglia, La Pira pone, quali fondamenti naturali della convivenza umana, la persona e la proprietà.
  16.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 124.
  17.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 128 s.
  18.  Cic., off. 1,17,53-54.
  19.  Sen., epist. 1,9,17. Cfr. anche epist. 5,48,2-3.
  20.  Sen., epist. 15,95,52-53.
  21.  D. 23,2,1 (Modest. 1 reg.): Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio.
  22.  D. 1,1,1,3 (Ulp. 1 inst.): … hinc descendit maris atque feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum procreatio, hinc educatio
  23.  D. 50,17,30 (Ulp. 36 ad Sab.): Nuptias non concubitus, sed consensus facit.
  24.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 124.
  25.  D. 50,16,195,2 (Ulp. 46 ad edict.).
  26.  D. 23,2,1 (Modest. 1 reg.). La Pira richiama anche le Istituzioni (I. 1,9,1): nuptiae autem sive matrimonium…  individuam consuetudinem vitae continens.
  27.   Quint., decl. 247.
  28.  Quint., decl. 376.
  29.  Tac., ann. 3,34; cfr. anche ann. 12,5.
  30.  Si veda, in particolare, Chrys., hom. XII in Col. 7 (in Migne, PG, LXII, 390): hom. LXXIII in Mt. 4 (in Migne, PG, LVIII, 677 s.); laud. Max. 1-2 (in Migne, PG, LI, 226 s.); laud. Max. 4-5 (in Migne, PG, LI, 231 s.); Aster., hom. V in Matth. XIX,3 (in Migne, PG, XL, 228).
  31.  Si veda, ad esempio,Tert., uxor. 2,8 (in Migne, PL, I, 1301 s.). Queste espressioni ricorrono anche in fonti giuridiche: D. 25,2,1 (Paul. 7 ad Sab.); D. 42,1,52 (Tryph. 12 disp.).
  32.  Arist., Polit. 1252 a – 1252 b.
  33.  G. La Pira, La famiglia sorgente della storia, cit., 124.
  34.  Cic., off. 1,17,54.
  35.  Sen., epist. 15,95,52-53. Cfr. anche Sen., epist. 5,47,14.

Spes contra Spem 2015

Intervento di
Grazia Giovannoni
Firenze, 3 ottobre 2015

Continua a leggere

II INCONTRO NAZIONALE
SPES CONTRA SPEM
Firenze 2-3 ottobre 2015

Continua a leggere

Spes contra Spem 2015: intervento di Ugo De Siervo

Una Costituzione per l’uomo

di Ugo De Siervo (nelle foto a seguire)

  1.  Ricordo che quando, ormai molti anni fa, decisi di dedicare un volume di documentazione al ruolo svolto da Giorgio La Pira nella elaborazione ed adozione della nostra Costituzione (La casa comune. Una costituzione per l’uomo, Cultura ed., Firenze 1979 e 1996), ben pochi ne parlavano e tanto più in termini positivi, mentre venivano invece esaltati i contributi di vari altri costituenti. Il panorama è ormai molto cambiato, tanto che di recente è stato perfino annoverato fra i tre giuristi italiani che più hanno caratterizzato il dibattito costituente.

Ciò forse perché allora esistevano singolari silenzi, equivoci, se non denigrazioni, su di lui e sulla sua opera, mentre lui stesso non si era certo impegnato a ricordare o ad esaltare il contributo dato alla Costituente. E invece non vi è dubbio che La Pira sia stato uno dei primari protagonisti dei confronti costituenti: eletto all’Assemblea costituente nelle liste di Firenze della D.C., è stato fin dall’inizio componente della  “Commissione dei 75” (la Commissione della Costituente che doveva elaborare il progetto di Costituzione); in quest’ambito è stato uno dei due relatori sui principi fondamentali da porre a base del nuovo patto costituzionale; successivamente è stato uno dei due oratori democristiani nella discussione generale sul progetto di Costituzione nell’Assemblea plenaria; al termine dei lavori costituenti è stato chiamato immediatamente ad esprimere la propria valutazione sui maggiori quotidiani e settimanali della sua area politica e culturale.

Ci si deve allora chiedere anzitutto perché mai egli godesse di tale autorevolezza e poi quali siano state le sue fondamentali proposte. Giorgio La Pira nell’agosto 1943, appena due settimane dopo l’arresto di Mussolini e mentre ancora “la guerra  continua” accanto alla Germania nazista, scrive un editoriale su “La Nazione” dal titolo curioso (“Responsabilità del pensiero”) e dal contenuto assai coraggioso in quei giorni tanto tragici. Il giovane professore siciliano vi svolge la tesi che gli uomini di cultura, dinanzi agli evidenti abusi gravissimi perpetrati dal nazi-fascismo ed ai drammatici esiti dei totalitarismi, non possono defilarsi o tirarsi indietro: “Quali responsabilità per la cultura e gli uomini di cultura: echeggia nel cuore quella invettiva tagliente di Gesù: guai a voi scribi e farisei, guai a voi dottori della legge! Qui tutti noi che abbiamo, come che sia, compito di insegnamento –dalla cattedra, col giornale, col libro, con la parola orale o scritta – siamo chiamati ad un esame di coscienza leale e severo. Si dice: è stato violato l’ordine giuridico; sono state lese in radice la dignità e la libertà della persona umana; è stata sostituita la forza al diritto; è stata infranta la legge morale e così via; e va benissimo. Ma io mi domando: tutto questo sconvolgimento giuridico e pratico di valori non può forse presentare titoli di scusa richiamandosi ad un precedente e molto diffuso ed onorato sconvolgimento teoretico?”.

Né il discorso si fermava alla denunzia del “tradimento degli intellettuali” nell’affermazione dei totalitarismi, ma si riferiva anche al necessario impegno per la necessaria rifondazione dello Stato, recuperando dalla “tradizione giuridica latina e cristiana” il principio fondamentale che “non la persona per lo Stato, ma lo Stato per la persona e per tutti gli sviluppi naturali e soprannaturali della persona”. Chi allora scriveva non era certo uno sconosciuto ed il suo esplicito impegno anti-totalitario era ben noto, almeno da quando si era operato il suo doloroso distacco polemico nel 1937/8 dagli amici che dirigevano “Il frontespizio”, proprio su temi come il totalitarismo e le discriminazioni razziali.

Potendo in questa sede soffermarmi solo su pochissimi eventi del periodo bellico, quantomeno occorre riferirsi alla preparazione ed all’edizione di “Principi”, una pubblicazione che esplicitamente voleva cercare di ristabilire i principi di fondo ineliminabili per ogni convivenza politica ed internazionale in un mondo che, invece, ormai a La Pira appariva dominato da discriminazioni, mancanza di libertà, illimitato dominio della forza, classi politiche con a capo “più lupi che pastori”. La Pira riuscì – come ben noto – a far uscire fra il 1939 ed il 1940 dieci numeri di questa coraggiosa rivistina come supplemento a “Vita cristiana”, rivista di “ascetica e mistica” dei domenicani fiorentini, così sfruttando abilmente le carenze dei controlli di polizia su pubblicazioni del genere. Ed anche quando “la rivistina bimestrale” è fatta chiudere dai fascisti con l’accusa di proporre “principii che vorrebbero essere cattolici, cristiani, e invece sono principii della più bell’acqua liberale e democratica” (in fondo, una bella  sintetica recensione!), le minacciose polemiche contro “i pochi impenitenti santommasi con recidiva”, che osano parlare di “eterni valori” e di “primato della legge”, non fermano certo La Pira, che su altri fogli espressivi del mondo cattolico ed in importanti convegni a livello nazionale continua a sviluppare la sua polemica contro “questo dottrinarismo materialista ed antiumano”.

Ma anche a Firenze il giovane professore non si defila affatto, se nel gennaio 1942 deve ancora intervenire minacciosamente il foglio dei fascisti fiorentini contro la Settimana di cultura cattolica tenutasi presso il Convento di S. Marco ed in particolare contro il suo “fervido organizzatore” e cioè l’ “esimio prof. Giorgio La Pira, docente di storia e diritto romano”, reo, tra l’altro, di aver invitato “a concionare un politicante, tal Monsignor Mazzolari, Parroco di Bozzolo”. Al di là delle tante singole vicende, può dirsi che in questa fase La Pira appare come uno dei principali protagonisti del dibattito del mondo cattolico italiano sulla necessità di rifondare la convivenza civile intorno a rinnovati valori umani, ma anche rifiutando, al tempo stesso, il fascino del cosiddetto “Stato cristiano”.

Anche quando deve allontanarsi da Firenze in quanto ricercato, e successivamente rifugiarsi a Roma e poi in Vaticano, viene chiamato a scrivere sui temi delicatissimi della rifondazione dello Stato e della necessità dell’impegno sociale e politico dei cattolici: non a caso tre suoi brevi volumetti, frutto del lavoro di questo tormentato periodo, come Il valore della persona umana, Premesse della politica e La nostra vocazione sociale, hanno rappresentato una lettura obbligata ed assai importante per il mondo cattolico italiano che si affacciava alla politica dopo la liberazione del Paese.

In particolare Giorgio La Pira, collegandosi esplicitamente a quanto a suo tempo affermato da Pio XI, ha più volte ripetuto che l’attività politica rappresenta la più alta attività per il credente, salva la sola attività contemplativa e di preghiera. Al tempo stesso, le durissime lezioni della storia, con tutto ciò che era emerso attraverso l’azione drammatica dei totalitarismi e la dimostrata fragilità delle democrazie, spingono decisamente verso la doverosità dell’impegno politico, tanto da potersi scrivere che “l’orazione non basta; non basta la vita interiore; bisogna che questa vita si costruisca dei canali esterni destinati a farla circolare nella città dell’uomo. Bisogna trasformare la società!”. Proprio l’ampia elaborazione di La Pira sul contributo che possono e devono dare i cattolici alla fondazione dello Stato democratico, lo pone naturalmente come uno dei naturali protagonisti dei confronti relativi alla nuova Costituzione.

Anzi, con l’avvicinarsi della fase costituente, il discorso si fa sempre più concreto e La Pira è anche uno dei protagonisti del complesso dibattito che, ad esempio, si svolge nella Settimana sociale di Firenze dell’ottobre 1945, dedicata appunto a “Costituzione e costituente”. Egli, infatti, evidenzia come necessarie alcune scelte di fondo che successivamente in realtà caratterizzeranno la proposta costituzionale democristiana: la democrazia politica non solo deve essere piena e effettiva, ma deve essere integrata da una democrazia economica e, più in generale, il patto costituente deve essere orientato in modo da garantire la piena tutela di una serie di valori di libertà ed il conseguimento di obiettivi di giustizia. Ma allora questa “Costituzione personalista” deve recuperare soluzioni tecniche ed alcuni valori dalle costituzioni liberal-democratiche, ma riuscire a dare risposte adeguate alle grandi trasformazioni sociali e politiche intervenute e soddisfacenti per tutti, anche per i comunisti ed i socialisti, che condividono con i cattolici la critica allo Stato “borghese capitalista”.

Quanto poi alla tentazione allora ricorrente, specie in parti dell’ambiente ecclesiastico, di caratterizzare in senso clericale lo Stato e la Costituzione, la risposta passa attraverso la individuazione di cosa sia una “Costituzione cristianamente ispirata”: “l’ispirazione cristiana dipende essenzialmente da questo fatto: che l’oggetto della Costituzione, il suo fine, sia la persona umana quale il cattolicesimo la definisce e la mostra. E dipende di conseguenza da quell’altro fatto che tutte le strutture dell’edificio costituzionale siano ordinate a questo fine”. Di qui un ordinamento economico, politico, familiare, culturale, religioso e così via conformi alla natura ed alla dignità della persona umana. Solo di una Costituzione così fatta si può dire davvero che è cristianamente ispirata: “perché l’ispirazione cristiana è incorporata nei suoi istituti, ravviva e finalizza le sue norme, circola nelle sue strutture: in questo caso soltanto l’esplicito riconoscimento della fonte di questa ispirazione verrebbe a costituire il degno coronamento e come la naturale volta dell’edificio costituzionale dello Stato”.

  1. L’impegno diretto nell’Assemblea Costituente non fu voluto da La Pira, che si riteneva semmai adatto ad un ruolo più defilato di sollecitatore culturale, ma le pressioni per coinvolgerlo direttamente furono evidentemente numerose e d’altra parte fondate su quanto lo stesso La Pira aveva scritto circa la doverosità dell’impegno politico per “preparare le nuove strutture sociali nelle quali – come dice Maritain – siano rifratte quelle esigenze di interiorità, libertà e fraternità che sono le esigenze insopprimibili della persona umana”.

In effetti, il nostro paese doveva affrontare una prova non poco impegnativa come l’adozione della Costituzione tramite un’Assemblea costituente per la prima volta rappresentativa delle cittadine e dei cittadini (la precedente Costituzione era stata originata da una “concessione” nel 1848 di Carlo Alberto di Savoia, che ancora parlava di “sudditi”), in un contesto oggettivamente assai difficile: un paese militarmente sconfitto e reduce da un ventennio di regime autoritario, molteplici distruzioni materiali e morali, partiti politici appena riemersi alla legalità con classi politiche nuove e largamente eterogenee, fortissime contrapposizioni politiche ed ideologiche a livello nazionale ed internazionale, settarismi e violenze.

E’ quindi stata una scelta quanto mai opportuna quella del mondo cattolico-democratico di sviluppare alcuni seri confronti sulle prospettive costituzionali e poi di indurre molti autorevoli esperti che lì si erano misurati, come appunto La Pira, a candidarsi per la Costituente.

La larga notorietà di La Pira anche a livello nazionale spiega come, eletto alla Assemblea Costituente, sia subito nominato componente della Commissione dei 75, che doveva proporre il progetto di Costituzione,  ed addirittura incaricato, nell’ambito della prima Sottocommissione,  di redigere una delle due relazioni iniziali sui principi fondamentali e sui diritti e doveri da inserire nella nuova Costituzione.

E’ interessante notare come le proposte di La Pira nella sua relazione appaiano nel fondo molto coerenti con quanto da lui elaborato da almeno un decennio nel filone delle riflessioni sui diritti fondamentali dell’uomo alla luce dell’attualizzazione del pensiero tomista, ma sul piano propositivo anche esplicitamente tributarie di quanto proposto da Mortati in precisi termini giuridici a proposito dei “diritti pubblici subiettivi” e da Mounier in tema di una possibile rinnovata dichiarazione dei diritti dell’uomo. D’altra parte, è ormai noto che durante i lavori della Costituente in varie occasioni La Pira fa omaggio a vari costituenti della traduzione italiana di “Umanesimo integrale”, il  noto volume di Maritain.

Malgrado i molti riferimenti anche al più recente costituzionalismo, però le proposte della sua relazione sollevarono non poche obiezioni, specie per la loro esplicita sincera derivazione dalla tradizione culturale cattolica, se non per il linguaggio utilizzato,  ma forse anche per il tipo di scelte, sia politiche che tecniche, che erano implicite in proposte del genere. Ma poi non si può minimamente sottovalutare che nei lavori della Costituente si manifestavano anche tutte le difficoltà di porre a confronto per la prima volta e su temi di grande complessità, classi politiche provenienti da esperienze e culture tanto diverse (basti ripensare ad un significativo articolo su Rinascita, importante settimanale del PCI, che riferendosi alla Costituzione sovietica del 1936, ne scriveva come della Costituzione “più moderna e più democratica”).

In realtà, allorché si giungerà, dopo un primo difficile e tesissimo confronto, ad un’intesa su quelli che sono divenuti gli attuali articoli 2 e 3 della Costituzione (gli articoli che sinteticamente esprimono le scelte personaliste e comunitarie, il recupero del principio di eguaglianza dinanzi alla legge, ma anche l’impegno che lo Stato democratico si farà carico della rimozione delle disuguaglianze di fatto, se non delle ingiustizie), non verrà in tal modo solo trovato il nucleo di accordo fondamentale su quello che sarà poi denominato come il “compromesso costituzionale” fra i cosiddetti “partiti di massa” e cioè i democristiani, i socialisti ed i comunisti (rappresentati nell’organo in cui avvengono questi confronti, da personaggi come Dossetti, La Pira, Moro, Basso, Togliatti), ma implicitamente si sceglierà anche di adottare una Costituzione rigida, analitica e finalizzata.

Su questa iniziale base di accordo si svilupperà poi tutta la dialettica del confronto costituente, durante il quale certo, accanto a tanti momenti di intese analoghe, non mancheranno anche attriti e aspri conflitti sia su alcuni profili in cui vengono in gioco sensibilità diverse sui valori della convivenza (specie su temi come la famiglia, la scuola, i rapporti fra Stato e confessioni religiose), sia sui diversi modelli di tipo istituzionale. Ad esempio, relativamente alla parte organizzativa dello Stato, la scelta per un ordinamento  pienamente democratico ma accentuatamente bilanciato, garantito ed anche caratterizzato dalla creazione delle Regioni, è originariamente voluta da democristiani e dai movimenti politici della tradizione repubblicana e liberale, mentre deve superare fortissime resistenze dei partiti di ispirazione marxista, prigionieri di una visione semplicistica dell’assetto istituzionale (se addirittura non  affascinati, almeno in parte, da prospettive di trasformazione rivoluzionaria).

Ciò che peraltro appare significativo è che La Pira nel dibattito generale sul complessivo progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione sia uno dei due oratori per il gruppo democristiano, e che in quella sede esprima un giudizio nel complesso decisamente positivo, anche rivendicando esplicitamente ai valori cristiani, interpretati secondo la tradizione tomista, la capacità di fornire a tutti un quadro costituzionale pienamente accettabile.

D’altra parte, gli elementi per lui assolutamente caratterizzanti del nuovo patto costituzionale per una solida democrazia appaiono fondamentalmente solo il riconoscimento del valore assoluto della persona, intesa nella sua concretezza,  e la necessità che ad una naturale “struttura sociale pluralista” corrisponda “un assetto giuridico conforme”. Al di là della piena condivisione del modello istituzionale largamente articolato e pluralistico che viene (pur faticosamente) affermandosi nei lavori della Costituente, La Pira sembra sostenere che l’opzione pluralistica avrebbe dovuto anche comportare la trasformazione delle imprese per garantirvi un ruolo attivo dei lavoratori, l’inserimento nel Senato pure della rappresentanza delle “comunità di lavoro” (senza peraltro cadere nel corporativismo), la previsione ufficiale e la disciplina giuridica dei partiti politici, la garanzia del pluralismo scolastico, il richiamo nella Costituzione dei Patti Lateranensi (“anche se c’è qualche punto che potrebbe essere sottoposto a revisione bilaterale”).

Quanto poi alla polemiche sulla laicità dello Stato, la sua risposta è che se “non dobbiamo fare uno Stato confessionale”, non è neanche accettabile uno Stato che non prenda atto dell’orientazione religiosa di tanti uomini e donne, nonché della necessaria presenza ed azione degli organismi sociali in cui si manifestano le confessioni religiose.

Ma La Pira, da acuto giurista, coglie anche la necessità dell’adozione di norme organizzative efficaci e coerenti con il nuovo sistema di valori che si viene definendo: ad esempio, la decisa richiesta di una autorevole ed autonoma Corte costituzionale (a lungo fortemente osteggiata dai partiti di ispirazione marxista) è motivata sia perché in tal modo si garantisce davvero la superiorità delle disposizioni costituzionali sulla volontà delle forze politiche temporaneamente maggioritarie, sia perché così si dà assicurazione che il futuro legislatore debba rispettare  la visione politica di fondo sottesa alle disposizioni costituzionali che si vengono approvando.

Quanto al notissimo (ma spesso deformato) episodio della proposta di La Pira di far precedere il testo costituzionale dalla premessa “In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione”, anzitutto è bene ricordare che questa proposta viene presentata solo alla fine delle votazioni sugli articoli della Costituzione, che non contiene riferimenti ad una specifica religione e soprattutto che La Pira vorrebbe che fosse adottata “per acclamazione o unanimemente”, poiché a suo parere su di essa potrebbero ritrovarsi tutti, credenti e non credenti: peraltro, dinanzi a diverse obiezioni, malgrado il proprio profondo convincimento sulla sua opportunità  (“ho compiuto secondo la mia coscienza il gesto che dovevo compiere”), ritira la proposta poiché ritiene che non si possa mettere ai voti un richiamo del genere.

D’altra parte, come abbiamo accennato in riferimento al suo intervento svolto durante la Settimana sociale del 1945, per La Pira ciò che effettivamente caratterizza una costituzione è la coerenza sostanziale dei suoi istituti con una serie di valori culturali e di esigenze.

  1. C’è da notare che se La Pira alla Costituente svolge incontestabilmente un ruolo di assoluto rilievo, tuttavia in termini umani non si rende omogeneo alla classe politica che viene formandosi nei partiti e nelle nuove istituzioni repubblicane, restando fortemente caratterizzato dalle sue caratteristiche personali di uomo di cultura dalla fortissima religiosità, “prestato” alla politica o forse – meglio – in essa “inviato”. E c’è anche da dire che già in questa fase non mancano ironie dovute alla sua manifesta “audacia umanamente imprudente ed illogica” (espressione da lui stesso usata nella biografia di Vico Necchi per riferirsi alle modalità da utilizzare per testimoniare pienamente i propri valori), “audacia” che in realtà aveva già usato in vari momenti di confronto nel periodo fascista e che ora lo portano, ad esempio, a utilizzare linguaggi e comportamenti fortemente caratterizzati dalla sua fede, così “scandalizzando” molti, abituati a forme espressive assai più neutre (ma Moro ricorderà la “signorile comprensione” dell’Assemblea costituente dinanzi ad un suo “largo e fermo segno di croce” in occasione di uno dei suoi interventi, forse perché egli aveva non già “ostentato, ma mostrato la sua fede, intuendo che nessuno ne sarebbe stato turbato”). Al tempo stesso, peraltro, su questo personaggio così caratterizzato ed impegnato, continuano ad emergere vere e proprie maldicenze o denigrazioni: se Papini nel 1938 su “Il frontespizio” (nell’articolo Discorsetti ai cattolici) non si era certo trattenuto, ora Benedetto Croce ne scrive come di “un democristiano, che mi dicono un socialista o comunista convertito, che fa vita ascetica in un convento ed insegna diritto nell’Università di Firenze”.

Può essere interessante notare come La Pira, chiamato a commentare su “Cronache sociali” la Costituzione appena approvata con circa il 90% dei voti a favore malgrado un contesto politico ormai durissimo, esprima certo un complessivo giudizio positivo (malgrado alcune “deficienze ed incoerenze”), dopo averla peraltro valutata alla luce non solo della esistenza di solidi principi fondamentali, ma anche della idoneità del nuovo testo costituzionale ad essere davvero “adeguato a quelle riforme di struttura che vanno operate nell’attuale ordinamento sociale, economico e politico”.

Evidentemente pesa molto la preoccupazione, particolarmente forte proprio nel 1948 fra i componenti del cosiddetto “gruppo dossettiano”, che le concrete modalità della ricostruzione economica in corso ed i relativi interventi sociali nel paese non siano coerenti con i principi e valori codificati nel nuovo patto costituzionale. Ciò a cui, infatti, aspira La Pira è un “ordine nuovo” fondato “sul lavoro e non più sul capitale. Un ordine nel quale ogni uomo abbia una funzione costruttiva ed organica nel corpo sociale. Un ordine dove l’eguaglianza, la libertà, la proprietà siano per tutti una realtà e non soltanto un nome”.

Pochissimi anni dopo, nella povera Italia dell’inizio degli anni cinquanta, senza neppure provvedere a ricordare e – tanto meno – ad esaltare il proprio contributo nella elaborazione della Costituzione, sarà Sindaco di Firenze impegnatissimo a cercare di tradurre in attività amministrativa i nuovi valori e principi: nel convegno del 1951 dei laureati cattolici, anzi, dirà anche che forse era più facile scrivere alcune norme che ora attuarle. Pertanto la sua nuova “trincea” era mutata ed ora consisteva nella soddisfazione dei bisogni essenziali dei cittadini: “la casa, il lavoro, l’assistenza”.

Ma ben presto inizierà ad utilizzare anche le nuove disposizioni costituzionali di principio per giustificare alcune sue coraggiose iniziative di amministratore locale.