Il conferimento del premio Nobel per la Pace all’Unione Europea ci offre l’occasione per riflettere sul ruolo svolto dai popoli e dai governi di questo continente per la costruzione della pace. E lo facciamo a partire dai due testi lapiriani che vi proponiamo qui a seguire. Se da un lato colpisce la chiara visione che La Pira aveva delle conseguenze che il processo di distensione avrebbe avuto sul futuro europeo, dall’altra non possiamo che constatare che ancora lungo è il cammino da percorrere per legittimare pienamente il prestigioso premio. Si tratta di superare completamente la logica di potenza: cioè la logica dell’esportazione della democrazia e della pace mediante i bombardamenti, ma anche quella basata sul commercio delle armi e sulla tutela delle sfere di influenza; e si tratta anche – e forse è questa la premessa – di abbandonare la violenza “bene educata” delle aggressioni dei mercati, la logica del profitto di pochi in favore di una ben più lungimirante logica della ordinata crescita di molti. Parafrasando Clausewitz, possiamo dire che la pace è cosa troppo seria per lasciarla fare solo alle istituzioni e alle cancellerie, come l’economia è cosa troppo seria per lasciarla fare solo alle banche e alle agenzie di rating.
La via della pace è costituita da quello che noi abbiamo chiamato il “sentiero di Isaia”, ossia la via del disarmo iniziata a Mosca il 5 agosto 1963 col trattato nucleare (“il punto di Archimede”, disse Kennedy, capace di sollevare il pianeta verso la pace definitiva!): quel cammino deve essere proseguito! Deve essere il cammino nel quale sono avviate tutte le nazioni: un disarmo che si realizza in modo crescente, tanto verticalmente che orizzontalmente. Tanto, cioè, in rapporto alle esplosioni e all’esistenza medesima delle bombe atomiche, quanto in rapporto alla geografia sempre più estesa del disarmo, ossia in rapporto all’ordinata crescita, all’ordinato ampliamento delle zone denuclearizzate: “isole di pace” che diverranno gradualmente interi continenti sino ad estendersi a tutto il pianeta! Europa gradualmente denuclearizzata? Diventata, gradualmente, ordinatamente, una grande “isola di pace”? Il “continente della pace”? E’ questo un sogno, una fantasia, un’ingenuità politica? O non è, invece, all’opposto, la sola realtà valida, il destino vero, la grandezza autentica biblica, cristiana, civile, del nostro continente? La geografia della grazia e della civiltà, la geografia delle cattedrali, che caratterizza in modo tanto marcato lo spazio europeo (e, perciò, mediterraneo: si pensi a Gerusalemme!) non potrebbe coincidere con la geografia del disarmo e della pace? Si sa, la tesi è ardita: ma quale tesi storica non è, strutturalmente, un rischio ed una sfida? Si vis pacem para pacem!
Dal discorso alla Tavola Rotonda Est-Ovest – Belgrado 1965
L’Europa, tutta l’Europa, dall’Atlantico agli Urali, diventa la leva di Archimede destinata a sollevare verso il monte dell’unità e della giustizia il mondo intero. Ritorno all’Europa? Sì, in un certo senso, in quanto si tratta di un servizio di liberazione, di giustizia, di pace per i popoli di tutti i continenti! Da qui il superamento dei blocchi e il disarmo si estenderanno a tutti i continenti; da qui l’onda del negoziato e della pace investirà i popoli di tutta la terra! Qui troveranno il loro pernio, il loro punto di convergenza e di unità gli equilibri nuovi, storici, politici, culturali, scientifici e spirituali, del mondo!
Dal discorso al Congresso della Federazione Mondiale delle Città Unite – Sofia 1972